Le app che permettono agli smartphone di ascoltarci: quali dati sono usati per le pubblicità

Un'azienda propone un servizio di active listening, ma i giganti del tech non ne hanno bisogno mostrarci le pubblicità

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Redazione

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Pubblicato: 9 Marzo 2024 18:51

La società di marketing statunitense Cox Media Group ha pubblicizzato per un breve periodo sul proprio sito un servizio per aziende chiamato Active Listening. Si trattava di un metodo che avrebbe permesso di raccogliere dati tramite i microfoni dello smartphone degli utenti che avrebbero installato determinate app.

Questo avrebbe confermato la convinzione che molti utenti hanno che l’unico modo che le aziende hanno per mandare loro pubblicità con la precisione dimostrata negli ultimi anni sia ascoltare di nascosto le conversazioni che fanno dal vivo. In realtà è stato dimostrato che non solo che questa pratica non viene utilizzata, ma che ce ne sono di migliori e più efficienti per ottenere lo stesso scopo.

Il caso di Cox Media e gli smartphone che ascoltano gli utenti

Cox Media, un’azienda americana che si occupa di marketing, ha pubblicizzato sul proprio sito internet un servizio che avrebbe dovuto permettere alle società che l’avessero acquistato di ascoltare le conversazioni dei propri clienti tramite smartphone.

Più precisamente, il servizio avrebbe raccolto dati tramite applicazioni specifiche, che avrebbero chiesto l’autorizzazione di accedere al microfono dei dispositivi su cui erano installate. In questo modo avrebbe potuto raccogliere i dati delle conversazioni, analizzandoli e profilando gli utenti per una maggiore precisione nel mostrare loro determinate pubblicità.

Il servizio è stato rapidamente reso indisponibile quando il sito specializzato 404news ne ha notato l’esistenza. Questo è bastato però per riaccendere il dibattito sulla questione dell’active listening, l’idea che i dispositivi tecnologici ascoltino le nostre conversazioni per poi mostrarci pubblicità che riguardano il loro contenuto.

Tutte le principali aziende tecnologiche, da Google a Amazon fino a Facebook e Apple, hanno specificato che sui loro dispositivi è impossibile, per le applicazioni background, quindi quelle che non si stanno attivamente usando a schermo, accedere al microfono.

Perché le aziende non hanno bisogno di ascoltarci per calibrare le pubblicità

Quanto affermato dalle grandi aziende è probabilmente vero. In diversi casi, tra cui anche uno studio indipendente dell’università di Boston Northeastern, hanno dimostrato che nessuna applicazione ascolta gli utenti degli smartphone. Eppure a molti sembra che, poco dopo aver parlato con un amico di un prodotto, le pubblicità dello stesso appaiano in ogni app, sito e pagina che si visita.

In realtà questo risultato è ottenuto tramite la profilazione, resa a sua volta possibile dai cookies. Si tratta di elementi che i siti web danno ai nostri dispositivi in modo da riconoscerci come utenti. Sono utili per permetterci di fare alcune operazioni, come un carrello in un sito di e-commerce, anche senza login. Ma sono anche perfetti per raccogliere i dati di ogni nostro click o scroll.

Questo avviene grazie ai cosiddetti cookies di terze parti. Quando un sito implementa una funzione legata a un altro sito, come la condivisione via Facebook, dà a quella piattaforma la possibilità di usare i propri cookies tramite quella pagina. Così le grandi aziende sono in grado di tracciare i loro utenti attraverso ogni angolo di internet.

Un video visto su una piattaforma di streaming dà informazioni a un social, un sito di e-commerce e uno di musica. Se a questo si aggiunge che buona parte dei servizi che utilizziamo appartengono a una manciata di società che a loro volta controllano anche buona parte del mercato pubblicitario su internet, ecco spiegato come è possibile profilare un utente senza ascoltarne le conversazioni.

L’utilizzo del microfono di un dispositivo è inoltre molto dispendioso in termini di batteria. Riempirebbe poi i server di una mole enorme di dati, difficilissima da analizzare in confronto alla semplice lista dei nostri accessi, dei video che abbiamo visto o dei post a cui abbiamo messo un “mi piace”.