Omicron continua la sua corsa, ma la velocità inizia finalmente a rallentare, segno, dicono gli esperti, che potremmo finalmente essere vicini al picco, che potrebbe forse arrivare a fine gennaio o al massimo a inizio febbraio (qui dopo quanti giorni c’è il picco della carica virale).
Intanto, l’occupazione dei posti letto nelle aree mediche Covid in Italia è cresciuta al 29%, con un incremento pari a 1 punto percentuale rispetto alla settimana precedente. Una leggera salita rispetto al 28% di venerdì e sabato e al 27% di giovedì.
La situazione negli ospedali: quali Regioni sono messe peggio
Questi i nuovi dati che emergono dall’ultimo monitoraggio dell’Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, secondo cui rimane stabile invece l’occupazione dei posti letto Covid in terapia intensiva, al 18%. Un dato rimasto sempre uguale da martedì 11 gennaio. Sono 8 le regioni che superano la soglia del 20%: Abruzzo, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Marche, Trento, Toscana, Piemonte e Valle d’Aosta.
Riguardo alle aree non critiche invece ecco i dati regionali: Liguria (38%, stabile), Lombardia (34%, un punto percentuale in più), Sicilia (35%, stabile) e Valle d’Aosta (69%, +1) superano la soglia del 30%. La Calabria arriva al 41% (+1), l’Abruzzo sale al 29% (+1); la Basilicata al 26% (+1); la Campania al 29% (+2); l’Emilia Romagna al 27% (+1).
Le Marche salgono al 27% (+1), il Piemonte al 30% (+1), la Puglia al 21% (+1), la Sardegna al 15% (+1) e la Toscana al 25% (+1). Il Friuli Venezia Giulia è stabile al 29%. Stabili anche Lazio (27%), Molise (13%), Province autonome di Trento (25%) e Bolzano (18%). Scendono invece Umbria, al 33% (-1), e Veneto, al 25% (-1).
Nuovo allarme dai medici anestesisti
Intanto, dagli ospedali arriva un nuovo allarme, lanciato questa volta dalla Società italiana di anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva. “Centinaia di pazienti vengono rilevati come positivi e dovranno essere operati, trapiantati e assistiti nel postoperatorio intensivo. Occorre programmare oggi ciò che fra poche settimane – finita l’ultima ondata dell’emergenza pandemica – diventerà con ogni probabilità una nuova emergenza sanitaria”.
Queste le parole durissime del presidente di Siaarti Antonino Giarratano. Gli anestesisti sono preoccupati per quello che reputano al momento “un fenomeno trascurato: la sanità per pazienti Covid asintomatici non critici“. Oggi, riflette Angelo Gratarola, responsabile Siaarti anestesia e medicina perioperatoria, “viviamo una sorta di daltonismo delle fasce di rischio. Si rischia infatti l’arancione territoriale per pazienti ricoverati non a causa del Covid, ma per le sole positività incidentali scoperte al pronto soccorso”.
Un problema concreto, rispetto al quale il Ministero della Salute dovrebbe offrire indicazioni e linee operative per poter sottoporre ad intervento chirurgico pazienti semplicemente positivi al virus. Non a caso, il governo ha appena deciso di escludere dal computo dell’occupazione dei posti letto negli ospedali, sia nelle aree non critiche che in rianimazione, i positivi asintomatici (qui le nuove regole dal 1° febbraio).
La quarta dose di vaccino serve davvero?
Intanto, da un nuovo studio condotto in Israele, vengono rilevate non poche criticità rispetto alla quarta dose di vaccino Pfizer o Moderna. La quarta dose non fornirebbe molta protezione ulteriore contro il contagio della variante Omicron (qui i principali sintomi nei vaccinati). Ricordiamo che in Israele la quarta dose viene somministrata al personale medico, alle persone fragili e a tutti gli over 60.
“La crescita dei livelli di anticorpi che vediamo con Moderna e Pfizer è leggermente superiore a quella che abbiamo visto dopo la terza dose di vaccino”, spiega Gili Regev-Yochay, direttrice dell’unità malattie infettive dello Sheba Medical Center di Tel Aviv, che ha condotto la ricerca. “Malgrado la crescita del livello di anticorpi, però la quarta dose offre soltanto una difesa parziale contro il virus”.
Infatti, gli esperti hanno visto molte persone infettate con Omicron nonostante il quarto richiamo. Un po’ meno che nel gruppo di controllo, “ma sempre tante”. Secondo Regev-Yochay, “il vaccino è eccellente contro le varianti Alfa e Delta”, ma non abbastanza per Omicron, che ha già dimostrato tutta la sua diversità rispetto alle precedenti mutazioni Covid.
Lo studio è ancora allo stadio preliminare e per questo non sono stati diffusi tutti i dati. La ricerca è stata condotta però su 150 persone che hanno ricevuto una quarta dose di vaccino Pfizer due settimane fa. Altre 120, che avevano fatto tre dosi Pfizer, hanno ricevuto una settimana fa una quarta dose con Moderna.
Si tratta della prima ricerca sulla quarta dose condotta anche con la combinazione di vaccini diversi, ma i risultati dei due gruppi dopo una settimana appaiono molto simili. Chiaramente questi risultati aprono una riflessione sulla strategia della quarta dose. Secondo Regev-Yochay è probabilmente una buona idea dare la quarta dose ai gruppi ad alto rischio. Tuttavia l’attuale strategia potrebbe essere corretta rivolgendosi solo alle persone più anziane.
Rischio paralisi immunitaria?
Sempre più esperti si dicono contrari alle dosi ravvicinate. “Non possiamo continuare con dosi di richiamo ogni 3-4 mesi”, avverte il capo della strategia vaccinale dell’Ema, Marco Cavaleri. Ci potrebbe infatti essere anche un rischio “paralisi immunitaria”: a un certo punto, cioè, i vaccini troppo ravvicinati potrebbero smettere di essere davvero efficaci.
Secondo Guido Rasi, consulente del Commissario per l’emergenza Covid Francesco Paolo Figliuolo ed ex direttore esecutivo dell’EMA-Agenzia europea del farmaco, non è così scontato che si arrivi così in fretta a un nuovo richiamo. “Non ha senso mantenere il sistema immunitario continuamente attivato. Abbiamo una memoria che ci aiuta anche quando gli anticorpi calano” ha spiegato in una intervista a Repubblica.
“Forse non sarà in grado di evitare l’infezione, ma la malattia grave sì. In ogni caso non possiamo andare avanti con campagne vaccinali di massa ogni pochi mesi. Non è sostenibile. Bisognerebbe pensare a una risposta più strutturata”.
La Germania riduce a 3 mesi l’immunità per i guariti
Tutto questo anche se Omicron è talmente contagiosa che in un Paese è stato deciso di ridurre l’immunità ai guariti. La Germania ha infatti ridotto da 6 a 3 mesi il periodo di validità dell’immunità per chi è guarito dal Covid.
La decisione si basa sulla valutazione scientifica dell’Istituto Robert Koch, l’ente governativo per le malattie contagiose, secondo cui, data la predominanza della variante Omicron molto più contagiosa, si ritiene che vi sia un rischio maggiore di infettarsi una volta passati 3 mesi.