Omicron, dopo quanti giorni c’è il picco della carica virale

I dati preliminari di uno studio condotto dall'Istituto Nazionale delle Malattie Infettive in Giappone rivela quanto e fino a quando la carica virale è maggiore nei pazienti positivi alla variante Omicron

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Redazione

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Continua a crescere il numero delle persone positive alla variante Omicron, in Italia come nel resto del mondo. Così aumentano anche le ricerche scientifiche volte a capire l’origine e l’evoluzione di questa nuova mutazione del virus, che sembra essere molto più contagiosa (anche se meno aggressiva) rispetto alla Delta. Si sta parlando molto, per esempio, degli ultimi dati preliminari di uno studio pubblicato dall’Istituto Nazionale delle Malattie Infettive del Giappone, che rivela quanto e fino a quando la carica virale è maggiore nei pazienti positivi alla variante Omicron.

Variante Omicron, quando si raggiunge il picco della carica virale

Lo studio giapponese si è concentrato sui pazienti – osservati durante la ricerca – che sono risultati positivi alla variante Omicron. Ad oggi, i dati resi pubblici non si concentrano sul periodo di incubazione (di cui vi abbiamo già parlato qui) ma sulla carica virale e su quando questa raggiunge il suo picco massimo. 

Secondo quanto sostenuto dagli scienziati, i positivi alla variante Omicron hanno mantenuto una carica virale alta anche dopo il quinto giorno, raggiungendo il picco massimo tra il terzo e il sesto giorno dopo la diagnosi o l’insorgenza dei primi sintomi (qui l’elenco di quelli più comuni).

Studi precedenti suggerivano invece che il periodo di picco di trasmissione per le persone risultate positive ad altre varianti era compreso tra due giorni prima della comparsa dei sintomi e tre giorni dopo.

Variante Omicron, il nuovo studio giapponese che mette in dubbio il periodo di quarantena

L’Italia, come altri governi al mondo, ha cambiato le nuove regole relative alla quarantena (riassunte qui) per evitare il blocco delle attività e- in molti casi – dell’intero Paese. Il ministero della Salute, nella revisione delle nuove disposizioni anti contagio, ha tenuto conto dei dati a disposizione – fino ad ora – sul periodo di incubazione del virus. Lo studio giapponese, tuttavia, sembra cambiare le carte in tavola, suggerendo che il rischio di contagio è maggiore anche dopo tre/cinque giorni di isolamento.

La variante Omicron, come spiegato dall’Istituto Nazionale delle Malattie Infettive giapponese, contiene un numero maggiore di mutazioni nella sua proteina spike, con conseguenti cambiamenti sostanziali nelle sue capacità di infettività, trasmissibilità e/o evasione immunitaria.

Fin dalla rivelazione dei primi casi Omicron, in Giappone il governo è ricorso ai ripari, cambiando le regole di isolamento e quarantena per i pazienti positivi alla variante. Lì le persone infette da SARS-CoV-2 sono ricoverate in ospedale in conformità con la legge sul controllo delle malattie infettive o la legge sulla quarantena. Non avendo abbastanza dati a disposizione sulla nuova mutazione, tuttavia, per i casi Omicron già da fine novembre si seguono criteri di dimissione diversi rispetto ai casi non Omicron.

Alla luce dei nuovi studi, inoltre, dal 5 gennaio 2022 i pazienti positivi a Omicron vengono rilasciati dalle strutture mediche solo dopo due test negativi consecutivi. Tuttavia, vi è la preoccupazione che questi criteri di dimissione possano portare a un ricovero prolungato, fino a riempire troppo le strutture mediche ei centri di salute pubblica. Da qui è nata la necessità di esaminare la durata della diffusione del virus nei casi di Omicron, in modo tale da avere delle prove certe prima di semplificare i criteri di dimissione e mettere in discussione il periodo di quarantena.

I nuovi dati preliminari, tuttavia, sembrano ora mettere in dubbio molte delle regole oggi seguite per l’isolamento e la quarantena, comprese quelle in Italia.