Quale sarà l’impatto della guerra sulle rinnovabili

L'instabilità politica e i rapporti in rapido deterioramento con la Russia stanno spingendo l'Europa a trovare nuove fonti di energia

Serviva una guerra in Europa per spostare il dibattito pubblico verso le importanti tematiche che riguardano la transizione energetica e l’emancipazione dagli altri Paesi. Gli obiettivi dell’Accordo di Parigi, pensati per ridurre le emissioni di carbonio e contrastare gli effetti del riscaldamento globale, sono oggi lo spunto per un nuovo corso che ha nelle rinnovabili la soluzione anche a problemi distanti dalla questione ambientale.

Dalla Russia arriva oggi circa il 40% del gas che gli abitanti del Vecchio Continente usano per scaldare le proprie case e produrre elettricità. Ma anche circa il 47% del carbone e il 27% del greggio.

Per anni l’Europa ha scelto di affidarsi a Mosca per via dei bassi costi delle forniture, perdendo via via la propria indipendenza. Affidarsi a pochi fornitori si è rivelata, nuovamente, una scelta sbagliata. Non abbiamo imparato nulla dalle crisi che periodicamente hanno interessato l’Occidente, innescate proprio dall’instabilità politica dei Paesi produttori di materie prime energetiche e da conflitti scoppiati a pochi passi dai siti di estrazione.

E oggi assistiamo alla spasmodica ricerca di alternative all’energia russa. Possibilmente pulite, sia in senso letterale che metaforico, e non soggette ai repentini cambiamenti innescati dalle mire espansioniste di una superpotenza nucleare.

Guerra in Ucraina, le rinnovabili tra accelerazioni e rinvii

Ma la guerra in Ucraina sta veramente spingendo i leader mondiali verso la strada delle energie rinnovabili? Non proprio, considerando che per attuare vere politiche green sono necessari ingenti investimenti e cambiamenti strutturali che richiedono anni e, a volte, decenni. Liberarsi dal giogo russo, invece, è un’urgenza.

Con il veloce deterioramento dei rapporti tra Mosca e il resto del mondo, infatti, i Paesi europei stanno cercando nuovi fornitori di materie prime energetiche non rinnovabili che possano sostituire la Russia nel breve periodo, o comunque nel tempo necessario per avviare la produzione locale e verde.

Case, aziende e mezzi di trasporto dovranno continuare a funzionare anche negli anni che separano l’Unione Europea – e non solo – dalla transizione verso fonti green e non penalizzate dagli equilibri geopolitici e da crisi internazionali. Dal vento e dal sole, fino ad arrivare al nucleare e all’idrogeno: le strade sono tante, e nessuna percorribile nell’immediato.

Anche perché i Paesi hanno poche risorse da investire ora, considerando che sono altrettanto urgenti le misure per fare fronte all’inflazione e agli effetti della pandemia di Covid sull’economia e il mondo del lavoro. La crisi ucraina, comunque, ha fatto scattare un campanello d’allarme per i leader europei, e non è escluso che si riescano a trovare fonti di energia pulita molto prima del previsto.

Le strategie dell’Europa e dell’Asia per la crisi energetica

Il divorzio tra Unione Europea e Federazione Russa costerà, solo per quanto riguarda le forniture di gas, 170 miliardi di euro all’anno, da spendere nelle rinnovabili per i prossimi 6 anni. Una cifra enorme, ma che rappresenta solo l’1,3% del Pil comunitario. Per gli analisti la decarbonizzazione del continente sarebbe tra l’altro la strada più economica per l’indipendenza energetica.

La Germania ha deciso di puntare sulle pale eoliche e sui pannelli solari, anticipando il piano di transizione ecologica al 2035. Ben 15 anni prima del suo obiettivo iniziale. Il Belgio ha deciso di posticipare almeno fino al 2025 il pensionamento di due impianti nucleari, nonostante i timori per la sicurezza e alcuni limiti normativi, e di puntare su nuovi stabilimenti a idrogeno.

Anche il Regno Unito sta valutando di sfruttare la forza del vento al largo delle sue coste e l’energia del sole. Ma in Gran Bretagna, come nell’Unione Europea, sono necessarie nuove leggi e nuovi incentivi per premere davvero l’acceleratore sullo sviluppo e la diffusione di queste tecnologie.

I Paesi asiatici hanno invece implementato misure per limitare l’impatto economico degli alti prezzi dei combustibili fossili, a discapito dell’ambiente. La Cina sta aumentando le importazioni di carbone. L’India sta sfruttando il dietrofront dell’Occidente e le sanzioni per stringere accordi convenienti sulle forniture di gas dalla Russia. Giappone e Corea del Sud hanno iniziato ad acquistare gas naturale liquefatto dagli Stati Uniti e dall’Australia.

Proprio il GNL è tra le soluzioni che stanno valutando anche i Paesi europei per il prossimo periodo. Rivolgendosi non solo a Washington, ma anche al Qatar. A costi ancora superiori di quelli russi. E forse difficilmente sostenibili.

Così qualcuno sta pensando anche di tornare al carbone o convertire all’idrogeno e al petrolio gli stabilimenti che oggi producono energia elettrica dal gas. Scelte che, per quanto economiche, potrebbero però far fallire la missione di far abbassare la temperatura di 1,5° C. Il minimo necessario per evitare il disastro climatico.

Ucraina, le rinnovabili a rischio a causa dei russi nel Paese

Un discorso a parte merita di essere fatto per l’Ucraina, fortemente provata dall’invasione russa anche per quanto riguarda il settore energetico. Il gas russo che arriva nell’Unione Europea passava nel 2021 per il 26% da Kiev. Questa percentuale era già in costante discesa da prima dell’inizio del conflitto, a causa dell’apertura di nuovi gasdotti. Tra cui il discusso Nord Stream 2, di cui vi abbiamo parlato qui.

Con i rubinetti chiusi da Mosca, l’Ucraina potrebbe perdere almeno 3 miliardi di dollari all’anno in diritti di transito, circa il 7% delle entrate statali. Nonostante l’importante business, però, Kiev ha iniziato il processo di transizione ecologica da oltre un decennio, con ottimi risultati.

Peccato che quasi la metà degli impianti di fonti di energia rinnovabile si trovino nei territori occupati dall’esercito russo o caduti sotto i bombardamenti aerei. Nello specifico si tratta dell’89% delle pale eoliche, del 46% di centrali a biomassa del 36% dei pannelli solari, il 29% impianti a biogas e del 16% di quelli idroelettrici. Una dura sconfitta per l’ambiente e per l’indipendenza energetica del Paese.

Come farà l’Italia a ottenere l’indipendenza energetica

Per quanto riguarda il nostro Paese, l’Italia consuma tra i 70 e gli 80 miliardi di metri cubi di gas metano in un anno. Insieme alla Germania e ad alcune repubbliche dell’Est siamo il Paese più vulnerabile a un’eventuale chiusura dei rubinetti da parte di Vladimir Putin.

Le forniture di gas arriveranno nella Penisola dall’Algeria, dalla Libia, dal Mozambico, dall’Angola e dall’Azerbaijan, come anticipato qua. Poi ci sarà il GNL che arriverà su mare attraverso l’Atlantico e il Mediterraneo, da Usa, Egitto e Qatar, in nuovi rigassificatori. Ai tre già operanti se ne dovrebbero aggiungere infatti altri due.

In base alle previsioni di Roberto Cingolani, ministro della Transizione Ecologica, nel giro di due o tre anni l’Italia potrebbe diventare totalmente indipendente dalla Russia. Qui le tre mosse del piano di emergenza italiano.

La buona riuscita del programma dipenderà anche e soprattutto da quanto saremo capaci di sfruttare le energie rinnovabili e con che velocità costruiremo nuovi impianti, ma soprattutto da come decideremo di comportarci negli anni cruciali che ci separano dall’energia pulita.