Le frane e i cambiamenti climatici, qual è il loro legame?

L'Italia è uno degli stati europei caratterizzati da maggiori aree a rischio franoso e, anche a causa dei cambiamenti climatici, sono un fenomeno in continuo aumento

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Matteo Paolini

Giornalista green

Nel 2012 ottiene l’iscrizione all’Albo dei giornalisti pubblicisti. Dal 2015 lavora come giornalista freelance occupandosi di tematiche ambientali.

La Società italiana di Medicina ambientale (Sima), nel commentare la tragedia di Ischia, ha ribadito che il cambiamento climatico ha la capacità di influenzare l’intensità e il numero dei fenomeni meteorologici rendendoli dunque più pericolosi e distruttivi. Secondo i dati, negli ultimi 12 anni, in Italia, si sono verificati 516 allagamenti provocati da piogge intense. Se si considerano tutti gli eventi climatici estremi degli ultimi anni, la situazione è ancora più allarmante, infatti, dal 2010 al 31 ottobre 2022 si sono registrati 1.503 fenomeni che hanno colpito 780 Comuni e hanno causato 279 vittime.

Eventi climatici estremi in aumento

Gli eventi estremi legati al clima in Italia sono in aumento. Secondo i calcoli di SIMA, nel 2022 ne sono stati registrati 130, il numero più alto della media annua dell’ultimo decennio. Il verificarsi sempre più frequente di giornate con caldo record, alluvioni, grandinate, trombe d’aria e acquazzoni preoccupa la comunità scientifica. Il nubifragio che ha colpito l’isola di Ischia, spiega SIMA, è un ulteriore esempio del cambiamento climatico, ormai sotto gli occhi di tutti. Alessandro Miani, presidente della società, sottolinea come la crisi ambientale abbia la capacità “di influenzare l’intensità e il numero dei fenomeni meteorologici, rendendoli dunque più pericolosi e distruttivi”.

Il rischio delle precipitazione intense

Uno degli effetti più visibili del cambiamento climatico, spiega Miani, è la riduzione delle precipitazioni, che si stima possa essere compreso tra il 10 e il 60%. Questo fenomeno sta prendendo sempre più la forma di eventi estremi concentrati in autunno-inverno, talora associati ad uragani mediterranei. Si stima che in futuro potremo assistere a un numero maggiore di nubifragi, alluvioni, trombe d’aria e cicloni, tutti gli eventi molto più distruttivi di quelli che si verificano attualmente.

Come si forma una frana

L’abbondanza delle precipitazioni improvvise dopo un lungo periodo di siccità è uno dei fattori che contribuiscono alla formazione di una frana. Una frana è un movimento di materiale che deriva da un distacco da pendii montuosi o terreni in pendenza. Insieme alle alluvioni, rappresenta uno degli eventi più frequenti di dissesto idrogeologico. Le cause di questi fenomeni possono essere molteplici, come la pioggia, le fratture del terreno, il disboscamento o la costruzione di edifici.

Ispra evidenzia che c’è stato un forte aumento delle aree urbanizzate dalla seconda guerra mondiale, il che significa che ci sono più elementi a rischio di frane. La superficie edificata è passata dal 2,7% degli anni ’50 all’attuale 7,65%. Questo scenario è spesso aggravato dalla mancanza di una corretta pianificazione territoriale e dal progressivo abbandono delle aree rurali montuose e collinari.

Il territorio italiano è particolarmente predisposto a eventi di frana a causa della presenza di numerose colline e montagne. Questo fa sì che l’Italia sia uno degli stati europei con il maggior numero di aree a rischio frana, che incidono sull’ambiente e sulla sicurezza delle comunità.

La pericolosità delle frane

Ispra ha definito dei livelli di rischio in cinque classi: pericolosità molto elevata (P4), elevata (P3), media (P2), moderata (P1) e aree di attenzione (AA). Sono calcolate sulla probabilità e la gravità dell’evento. Sfruttando questa classificazione, viene redatto dalle regioni un piano di assetto idrogeologico (Pai) che ha lo scopo di rendere noti gli eventi franosi e idrici e definire le attività conosciute di tutela del territorio e di intervento. Ad aree caratterizzate da maggiore sono rischio connesso leggi più severe sull’utilizzo delle superfici.

Secondo la mosaicatura 2020-2021 sulla pericolosità delle frane, la superficie totale delle aree a rischio di frana in Italia è pari a 60.481 kmq, circa il 20% del territorio nazionale. L’8,7% delle superfici italiane è classificato come ad alto rischio (P3 e P4).

È stato stimato che in queste aree a rischio frana vivono 1,3 milioni di abitanti, la maggior parte dei quali risiede nella Valle d’Aosta (12,09%), seguita da Basilicata (7,02%) e Molise (6,08%). I valori più bassi si registrano in Lombardia (0,47%), Friuli-Venezia Giulia (0,37%) e Veneto (0,14%).

I danni causati dalla frana

Una frana è un pericolo concreto sia per gli abitanti delle aree colpite che per l’ambiente circostante, nonché per le economie locali. I danni potenziali alle infrastrutture di collegamento, agli edifici abitati e alle strutture industriali sono elevati. Si stima che 1,8 milioni di edifici, 565mila dei quali in aree a elevato rischio frane, potrebbero essere colpiti. La provincia caratterizzata dal maggior numero di edifici in zona a elevato rischio frane è Salerno, con 31.379 edifici, seguita da Genova, Torino e Lucca.

Combattere il dissesto idrogeologico

Il dissesto idrogeologico va combattuto con la prevenzione, secondo FIPER, la Federazione di Produttori di Energia da Fonti Rinnovabili, la cura e la coltivazione dei boschi è parte della soluzione. FIPER, infatti, porta avanti da sempre la campagna per una gestione sostenibile del nostro patrimonio forestale, una vera e propria coltivazione del bosco. Coltivare i boschi significa infatti mantenerli giovani, più forti e capaci di resistere agli attacchi patogeni e parassitari, più solidi nel far fronte agli eventi meteorologici estremi senza crollare e far franare il terreno.