Mentre l’Unione europea cerca di alleggerire gli oneri normativi per le imprese, la battaglia contro le pratiche ingannevoli di sostenibilità ambientale (il greenwashing) rischia una battuta d’arresto.
Tra dichiarazioni vaghe e normative in bilico, la lotta al greenwashing — quella strategia comunicativa con cui aziende e organizzazioni si presentano più “verdi” di quanto siano realmente — sembra destinata a perdere slancio.
Che cos’è il greenwashing
Secondo stime della Commissione europea, oltre il 50% delle affermazioni ambientali attualmente presenti sul mercato sono infondate o ambigue.
E ora, proprio mentre l’Ue sta adottando provvedimenti per semplificare la vita alle imprese, cresce il timore che si stia abbassando la guardia nei confronti di un fenomeno sempre più diffuso e sofisticato, tanto da apparire quasi “istituzionalizzato”.
Il termine greenwashing, coniato dall’ambientalista statunitense Jay Westerveld nel 1986, nasce dalla fusione di “green” (verde) e “whitewashing” (insabbiamento). Indica una strategia di marketing che mira a creare un’immagine ambientale positiva, ma falsa o ingannevole.
Le forme più comuni? Affermazioni come “a impatto neutro”, “100% ecologico”, “naturale” o etichettature come “bio” o “eco”, non supportate da prove concrete. Oppure l’utilizzo di etichette ambientali non certificate o la presentazione di prodotti come “riparabili” quando non lo sono. Basta poi l’esperienza empirica per verificare come il colore verde sia sempre più utilizzato, talvolta anche a sproposito. L’obiettivo è quello di attrarre un consumatore sempre più attento alle tematiche ambientali, senza però modificare realmente i processi produttivi.
Il caso Shein
Anche in Italia il fenomeno assume contorni sempre più rilevanti. Un caso emblematico è quello del colosso del fast fashion Shein, finito nel mirino dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.
L’azienda è accusata di aver diffuso dichiarazioni ambientali “generiche, vaghe, confuse e/o fuorvianti” relative alla propria produzione e, in particolare, alla linea “evoluSHEIN”. La collezione, promossa come sostenibile, non avrebbe infatti informato i consumatori sul fatto che i capi non fossero riciclabili, contravvenendo così ai criteri di trasparenza previsti dalle normative europee.
Armi Ue contro il greenwashing
Negli ultimi anni l’Unione Europea ha avviato un percorso normativo per contrastare il greenwashing e garantire una maggiore tutela dei consumatori. Tra le principali iniziative spiccano:
- la Direttiva sulla responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde, che impone una maggiore chiarezza nelle comunicazioni ambientali e dovrà essere recepita entro il 27 marzo 2026;
- la Direttiva “Green Claims”, ancora in fase di approvazione, che punta a regolamentare le dichiarazioni ambientali pubblicitarie, richiedendo prove scientifiche verificabili;
- la Csrd (Corporate Sustainability Reporting Directive), in vigore dal 2024, che obbliga le grandi imprese a rendicontare dati ambientali, sociali e di governance secondo standard europei comuni;
- la Csddd (Corporate Sustainability Due Diligence Directive), che impone alle imprese di monitorare e prevenire i danni ambientali e le violazioni dei diritti umani lungo tutta la catena di fornitura.
Tutte queste misure sono pensate per rafforzare la trasparenza e contrastare pratiche fuorvianti. Ma proprio quando il quadro normativo sembrava consolidarsi, è arrivata una nuova fase politica.
Il report “Greenwashing 2025”, che sarà presentato a Circonomìa il 22 maggio ad Alba, analizza criticità e prospettive della normativa europea.
Il Pacchetto Omnibus
Lo scorso 26 febbraio, la Commissione Europea ha presentato il cosiddetto “Pacchetto Omnibus”, una serie di proposte legislative pensate per ridurre gli oneri burocratici sulle imprese, in particolare per le Pmi. L’obiettivo dichiarato: tagliare del 25% gli obblighi amministrativi e del 35% per le Pmi entro la fine del mandato.
A ciò si aggiunge il meccanismo “stop the clock”, che consente di rinviare l’entrata in vigore di alcune normative già approvate, inclusi alcuni standard relativi alla sostenibilità. Una misura pensata per non soffocare le imprese, ma che rischia — come denuncia il rapporto “Greenwashing 2025” — di svuotare di efficacia gli strumenti europei contro le pratiche scorrette.
Ue tra competitività e green
Attualmente l’Ue è impegnata nel trovare il giusto equilibrio fra la tutela dell’ambiente e la sostenibilità economica delle imprese. Una sfida non da poco, che parte dal settore dell’automotive, il primo per l’impatto sulla manifattura nel Vecchio Continente.