Prenotare un tavolo al ristorante significa spesso versare una caparra digitale per “assicurare” la prenotazione. Non è solo la prassi di locali esclusivi: la richiesta di un anticipo tramite carta di credito è anche in molte trattorie e sale ricevimenti, dal brunch domenicale alle grandi cerimonie. Infatti, le piattaforme di prenotazione, da TheFork alle app di grandi hotel, integrano meccanismi di caparra digitale, automatizzando la trattenuta o il rimborso in base a regole precise.
Dietro questo gesto si cela un universo di regole poco note, spesso scoperte solo quando si verifica l’imprevisto. Basti pensare alla storia di una coppia di futuri sposi che si è vista trattenere una caparra di mille euro dopo la cancellazione forzata del ricevimento nuziale, oppure a chi ha dovuto rinunciare all’anniversario in famiglia per motivi di salute, perdendo comunque la somma anticipata settimane prima.
Vediamo come stanno le cose.
Indice
Come funziona la caparra digitale al ristorante?
La caparra digitale è un’evoluzione dell’istituto civilistico della caparra, modellato sulle esigenze del settore della ristorazione. Sempre più ristoratori, per tutelarsi dal rischio di “no-show”, cioè dalle prenotazioni non onorate, chiedono una somma anticipata al momento della prenotazione online: tale somma è trattenuta dalla carta di credito.
L’ art. 1385 c.c. stabilisce che:
“La caparra confirmatoria è la somma che una parte versa all’altra al momento della conclusione del contratto, a garanzia dell’adempimento.”
Pertanto, se il cliente si presenta, la caparra viene imputata al prezzo finale, se invece il cliente non rispetta la prenotazione, il ristoratore ha diritto di trattenerla.
Invece, la caparra penitenziale (art. 1386 c.c.) si collega al diritto di recesso:
“Chi recede perde la caparra versata o deve restituire il doppio di quella ricevuta, a seconda della parte che esercita il recesso.”
Nel caso dei ristoranti, la maggior parte delle “caparre digitali” si qualifica come caparra confirmatoria, anche quando definita “anticipo” dal ristoratore. Inoltre, rileva la distinzione civilistica tra acconto e caparra. L’acconto è un’ anticipazione del prezzo, sempre restituibile in caso di mancata prestazione, mentre la caparra ha la funzione di “sanzione” o deterrente contro l’inadempimento.
Posso riavere indietro la caparra se disdico la prenotazione?
La risposta dipende dal tipo di caparra applicata, dalle condizioni contrattuali comunicate dal ristorante e dal rispetto delle tempistiche di disdetta previste. Se la caparra è confirmatoria, il cliente che disdice la prenotazione senza giustificato motivo, in genere perde l’importo versato, salvo diversa pattuizione. Tuttavia, nei casi in cui il ristoratore abbia previsto espressamente la possibilità di disdetta entro un determinato termine – ad esempio 48 ore prima dell’orario previsto – la caparra deve essere restituita integralmente, oppure può essere trasformata in un voucher utilizzabile per future prenotazioni.
Tale modalità è ormai consolidata: l’annullamento della prenotazione almeno 24-48 ore prima consente al ristoratore di riorganizzare il servizio e al cliente di recuperare la caparra. La restituzione della caparra nel caso di disdetta entro i termini stabiliti costituisce una regola equa e trasparente, adottata sia nei regolamenti interni sia nelle piattaforme di prenotazione digitali.
È importante sottolineare che, affinché il cliente possa ottenere la restituzione della caparra o il rimborso integrale in caso di disdetta, la relativa condizione deve essere chiaramente indicata nelle condizioni di prenotazione, che vanno sempre lette con attenzione prima di confermare e versare la somma richiesta.
E se non mi presento (no-show), perdo la caparra?
Se il cliente non si presenta all’orario concordato e non ha comunicato la disdetta nei termini previsti, si verifica il cosiddetto no-show. In questo caso, la caparra viene trattenuta dal ristoratore, che così si tutela contro un danno diffusissimo nella ristorazione moderna.
Secondo recenti stime di settore, i no-show possono arrivare a rappresentare fino al 20% delle prenotazioni nei ristoranti di fascia alta, con un impatto economico notevole: tavoli lasciati vuoti, ingredienti freschi sprecati, personale organizzato inutilmente e impossibilità di accogliere altri clienti in lista d’attesa. Proprio per contrastare questo fenomeno, la caparra digitale è una prassi sempre più diffusa, sia nei locali di livello che nelle realtà più piccole. Le piattaforme di prenotazione online oggi offrono strumenti avanzati per gestire i no-show: dai promemoria automatici (tramite SMS o e-mail) fino all’inserimento in “blacklist” temporanee dei clienti che non rispettano più volte gli impegni presi.
Non è raro che le condizioni prevedano penali automatiche, anche di importo significativo (fino a 100 euro per ogni coperto prenotato e non onorato), che vengono trattenute direttamente dalla carta di credito registrata in fase di prenotazione.
La caparra digitale deve essere fatturata?
La differenza tra caparra e acconto rileva anche ai fini fiscali. L’acconto quale anticipazione sul prezzo che viene sempre fatturato con applicazione dell’IVA, perché è una parte del corrispettivo della prestazione. Invece, la caparra confirmatoria non è di per sé un pagamento di un servizio ma una garanzia contro l’inadempimento; per questo, salvo che la prestazione non si esegua, la caparra non costituisce un’operazione soggetta immediatamente a IVA.
Se la prenotazione va a buon fine, la caparra digitale va fatturata perché diviene parte del corrispettivo e l’IVA si applica sul totale, caparra inclusa. In caso di mancata presentazione, invece, la caparra confirmatoria trattenuta a titolo di risarcimento non genera un’operazione imponibile ai fini IVA, in quanto il presupposto impositivo viene meno per mancanza di effettiva prestazione.
Invece, quando si tratta di caparra penitenziale, il trattamento fiscale è simile: la caparra trattenuta a fronte del recesso non viene considerata come corrispettivo di una prestazione e non è soggetta a IVA, salvo diversa previsione contrattuale.
Ai fini della documentazione fiscale, il ristorante deve emettere una ricevuta non fiscale (ad esempio una ricevuta di caparra) al momento dell’incasso della caparra; lo scontrino o la fattura con applicazione dell’IVA sarà emesso soltanto se il cliente usufruisce effettivamente del servizio.
I consigli dell’avvocato: cosa fare se la caparra viene trattenuta ingiustamente
Se la caparra digitale viene trattenuta dal ristorante nonostante la disdetta comunicata nei termini previsti o in assenza di condizioni di prenotazione chiare, la prima cosa da fare è raccogliere ogni traccia scritta della prenotazione, delle condizioni accettate e della comunicazione di disdetta. I sistemi digitali lasciano quasi sempre una prova documentale, che diventa fondamentale sia in fase stragiudiziale sia eventualmente in giudizio.
Il secondo passaggio è inviare al ristoratore una diffida formale di rimborso, tramite PEC o raccomandata, nella quale vanno richiamate le condizioni di prenotazione e le regole di buona fede e correttezza (artt. 1175 e 1375 c.c.). Spesso, una comunicazione ben argomentata induce il ristoratore a rivedere la propria posizione, anche per evitare possibili conseguenze sanzionatorie.
Se la diffida non produce effetti, prima di adire il giudice, è possibile segnalare il caso all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), specie se si ravvisino profili di pratica commerciale scorretta, come la mancata trasparenza nelle condizioni contrattuali o l’assenza di consenso informato. L’AGCM ha più volte sanzionato operatori del settore per analoghe condotte.
In ultima istanza è possibile procedere in giudizio per ottenere il rimborso della caparra, tenendo presente che la giurisprudenza più recente riconosce la tutela del cliente nei casi di abuso o di mancata chiarezza contrattuale. Un’azione giudiziale è opportuna, ad esempio, se la caparra trattenuta ha un importo rilevante, come accade spesso in caso di prenotazioni per banchetti, cerimonie o matrimoni.