Criptovalute e cripto-asset, quale trattamento Iva deve essere applicato

Quale trattamento Iva deve essere applicato alle criptovalute e agli Nft? A fornire alcune indicazioni ci ha pensato direttamente l'Agenzia delle Entrate

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Pierpaolo Molinengo

Giornalista economico-finanziario

Giornalista specializzato in fisco, tasse ed economia. Muove i primi passi nel mondo immobiliare, nel occupandosi di norme e tributi, per poi appassionarsi di fisco, diritto, economia e finanza.

Pubblicato: 21 Ottobre 2024 09:11

Sono molteplici le attività e gli strumenti che ruotano intorno alle criptovalute e alle criptoattività in generale. Una delle nuove frontiere che si sono aperte riguardano gli Nft, ossia i Non fungibile Token, dei quali, benché si stiano diffondendo, è complesso riuscire a darne una definizione. Nel suo Crypto-Asset Reporting Framework (Carf) – un documento datato 2022 redatto su mandato del G20 – l’Ocse ha affrontato il tema delle criptovalute con un intento ben preciso: cercare di rendere trasparente il mercato e tentare di contrastare l’erosione della base imponibile. L’obiettivo viene centrato con l’introduzione di alcuni obblighi di segnalazione e di scambio di informazione in maniera automatica, ma si limita a definire gli Nft come digitali unici e non fungibili il cui principale scopo è quello di certificare e garantire la proprietà, l’autenticità e l’unicità di un bene digitale. E permettere agli utenti di accedere a dei contenuti e degli eventi.

Gli Nft sono considerati e vengono generalmente utilizzati come dei beni da collezione. E in molti casi vengono utilizzati per effettuare dei pagamenti e degli investimenti. Questo è il motivo per il quale l’Ocse ha raccomandato un approccio look through, che prevede un’analisi del caso concreto, che vada a premiare, prima di tutto la sostanza più che la forma.

Criptovalute, la gestione degli Nft ai fini Iva

Sicuramente una disamina interessante sulle criptovalute riguarda gli Nft dal punto di vista dell’Iva, sul quale il Comitato Iva dell’Unione europea, il 21 febbraio 2023, ha pubblicato un interessante documento dal titolo Prime riflessioni sui token non fungibili (NFT). Stiamo parlando di quello che al momento è un vero e proprio work in progress, il cui scopo è fare in modo che gli Stati membri prendano una posizione comune circa il trattamento Iva degli Nft, il cui impiego, come abbiamo visto, è strettamente connesso con le criptovalute.

La legislazione dell’Unione europea non ha fornito, almeno per il momento, una definizione ufficiale di Nft, anche se gli scambi di criptovalute e il loro uso sono cresciuti esponenzialmente nel corso degli ultimi anni. Andando ad analizzare il fenomeno, però, gli Nft sono stati definiti come dei criptoasset che rappresentano dei diritti su dei beni sottostanti, i cosiddetti asset, che possono essere fisici o, più generalmente, digitali, come un’immagine, un brano musicale o un’opera d’arte.

L’Nft in quanto unico e non fungibile si differenzia dalla criptovaluta. L’Nft si caratterizza da un codice di identificazione, che serve a identificare in maniera unica il token. Si identifica, inoltre, con dei metadati che si riferiscono allo specifico asset.

Ma non basta: un contratto intelligente viene incorporato dall’Nft. Questo è un documento scritto in codice informatico, il cui scopo è quello di individuare e rendere automatici alcuni diritti ed obblighi dell’acquirente e del venditore. L’accordo deve essere utilizzato nel momento in cui l’Nft viene creato o venduto, come ad esempio le royalties attraverso le quali il creatore viene remunerato ogni qualvolta l’Nft viene effettivamente venduto.

La domanda, da un punto di vista strettamente fiscale e dell’Iva, è se a questo punto l’Nft debba appartenere al mondo dei servizi o dei beni. Il documento redatto dal Comitato Iva parte dal presupposto che nell’attuale opinione maggioritaria gli Nft sono considerati dei servizi elettronici, opinione che scaturisce dall’ampia definizione che ne viene fornita dall’articolo 7, par. 1 del Regolamento di esecuzione n. 282/2011, secondo il quale i:

Servizi prestati tramite mezzi elettronici comprendono i servizi prestati tramite Internet o una rete elettronica la cui natura rende la prestazione essenzialmente automatizzata e che comporta un intervento umano minimo, impossibile da garantire in assenza di tecnologie informatiche.

I limiti dell’identificazione

Ad ogni modo per quanto riguarda gli Nft la qualificazione come servizio digitale non può essere generalizzata, perché è necessario verificare come lo strumento si atteggi nei casi concreti. Il documento del Comitato Iva, in questo caso, sembra accogliere l’approccio pragmatico che è stato raccomandato direttamente dall’Ocse.

In molti casi, anche quando sono strettamente connessi con le criptovalute, l’Nft può essere considerato come un titolo di proprietà. Si viene a verificare questa ipotesi nel caso in cui lo strumento venga utilizzato come un semplice mezzo o una prova del trasferimento del diritto del proprietario a disporre del servizio o del bene. In un certo senso può essere equiparato ad un certificato notarile. Nel caso in cui si venisse a configurare questa eventualità dovrebbero essere applicate le stesse norme Iva che si applicano al trasferimento di un qualsiasi bene o servizio.

Altre volte, invece, l’Nft può essere assimilabile ad un voucher monouso o multiuso, come quando permette al suo possessore l’utilizzo di un bene o di un servizio specifico nel momento in cui ne usufruisce e dopo l’Nft viene tolto completamente dalla circolazione. In questo caso il trasferimento del voucher monouso deve essere considerato come una cessione di beni o una prestazione di servizi, mentre l’effettiva consegna non ha alcuna rilevanza ai fini dell’Iva.

Ma non solo. L’Nft potrebbe essere considerato come composto da più elementi, dei quali uno è principale e un altro accessorio: il token principale è un bene accessorio correlato o un asset sottostante come una criptovaluta. Seguendo la massima accessorium sequitur principale, all’elemento accessorio si applica il trattamento Iva dell’elemento principale (Cgue, sentenza del 25 febbraio 1999, causa C-349/96).

Quando si deve applicare l’Iva all’Nft

Se l’Nft è l’elemento principale, in altre parole, dovrebbe essere necessario applicare l’Iva. Discorso diversi, invece, è il caso in cui il token è l’elemento principale, come nell’ipotesi in cui la maggior parte del valore dell’Nft risieda nella sua unicità. Essendo il token digitale fornito unicamente via Internet con un intervento umano minimo, da un punto di vista strettamente dell’Iva deve considerarsi un servizio elettronico.

A definire quale trattamento iva deve essere applicato agli Nft, in Italia, è intervenuta l’Agenzia delle Entrate, attraverso la circolare n. 30 del 27 ottobre 2023, che ha affrontato il tema del trattamento fiscale delle criptovalute.

L’AdE ha definito il token come l’atto di proprietà, che viene identificato con il certificato di autenticità scritto su catena di blocchi di un bene, il quale ha la caratteristica di essere un bene unico. La circolare sembrerebbe propendere per la tesi con la quale si considera l’Nft composto da due elementi, che vanno ad assumere la veste principale o accessorio secondo l’interesse delle parti.

Devono, quindi, essere applicate le regole Iva dei servizi elettronici se il sottostante ha natura digitale. Se , invece, il sottostante è un bene materiale, il trasferimento dell’Nft è regolamentato dalla disciplina Iva di questo asset.