Striscioni e manifesti contro il concordato preventivo biennale hanno riempito Milano: “Concordato preventivo biennale: non cadere nella trappola! Informati bene prima di aderire”. L’iniziativa arriva da Federcontribuenti: “Non contestiamo la misura, ma le modalità con cui viene spiegata e proposta ai cittadini. Modalità che, come abbiamo esposto al Garante dei Contribuenti, riteniamo lesive della libertà decisionale del contribuente e in contrasto con i principi costituzionali di equità e trasparenza”, spiega il presidente dell’associazione, Marco Paccagnella.
L’allarme di Federcontribuenti
E per attaccare il concordato preventivo, pilastro della riforma fiscale del governo Meloni, Federcontribuenti ha scelto la città d’Italia con più partite Iva.
Tra i rischi del concordato, argomenta Paccagnella, ci sarebbe “l’impossibilità per 2 anni di accedere a tutti gli strumenti di protezione del patrimonio che la normativa prevede”. E “questo, in un momento di grave crisi economica, con prospettive fosche sul futuro, una situazione internazionale molto incerta e nessuna garanzia di stabilità finanziaria per imprese e partite Iva è molto rischioso”.
Gli striscioni sono corredati da un QR Code che rimanda direttamente al sito dell’associazione (www.cpb.tax) dal quale è scaricabile un report che, viene promesso, permetterà all’utente di valutare l’effettiva convenienza dell’adesione al concordato preventivo biennale.
La “trappola” fiscale
Federcontribuenti parla di una vera e propria “trappola” fiscale, elencando 3 criticità:
- essendo la tassazione predeterminata, cosa succede se le entrate future non corrispondono alle previsioni?
- gli obblighi fiscali per chi aderisce sono vincolanti, dunque occorre pagare anche se nel periodo considerato le performance sono state scarse;
- in caso di difficoltà economiche, viene messa in dubbio la capacità dell’aderente di proteggere il proprio patrimonio.
Le adesioni
Secondo un sondaggio del Sole 24 Ore, in 9 studi professionali su 10 le adesioni al concordato non raggiungono il 10%. L’adesione è possibile entro il 31 ottobre, ma se il trend non dovesse avere una repentina accelerazione sull’ultimo miglio le adesioni non riuscirebbero a raggiungere la soglia sperata dal governo. “Ci aspettiamo un’adesione massiccia”, aveva spiegato il viceministro dell’Economia, Maurizio Leo, vero dominus della riforma fiscale del governo Meloni.
Per l’Esecutivo si tratterebbe di un inciampo non da poco: sulle adesioni al concordato preventivo biennale si basa parte della stima delle entrate da destinare alle misure pensate per la Manovra 2025.
Come si legge nel decreto fiscale pubblicato sabato 19 ottobre sulla Gazzetta Ufficiale, le maggiori entrate erariali previste per il biennio 2024-2025 derivanti dal concordato preventivo biennale e “le eventuali maggiori entrate” derivanti dal ravvedimento speciale per chi aderisce al concordato, sono destinate al fondo per la riduzione della pressione fiscale “per essere prioritariamente destinate alla riduzione delle aliquote” dell’Irpef.
Cosa succede se non si aderisce
L’adesione al concordato è facoltativa, ma per invogliare i contribuenti il governo ha previsto una politica del doppio binario. Da una parte viene promessa una sanatoria con un pagamento simbolico e rateale che prevede uno sconto sulle imposte, con nessuna sanzione e zero interessi legali.
Dall’altra parte, chi non dovesse aderire finirà in una sorta di black list: chi non garantisce la sua adesione finirà automaticamente negli elenchi di contribuenti scelti dall’amministrazione finanziaria per essere sottoposti a controllo.