Il contenuto del Manifesto di Ventotene è come le onde che si infrangono contro l’isola tirrenica sul quale è stato scritto: va e viene, ripreso per convenienza da promotori o detrattori dell’Unione europea e poi subito lasciato tornare nel dimenticatoio.
L’attenzione sul documento è risalita dopo le critiche rivolte da Giorgia Meloni a diversi passaggi, accompagnate da un polemico “non so se questa è la vostra Europa, ma certamente non è la mia”. Bene, l’Europa messa nera su bianco a Ventotene nel 1941 è senza dubbio figlia del suo tempo, ma lo spirito del manifesto va ben oltre il tempo e le opinioni superficiali di chi vuole strumentalizzarlo.
Cos’è e chi ha scritto il Manifesto di Ventotene
Iniziamo col capire di cosa stiamo parlando. Il Manifesto di Ventotene in realtà viene chiamato così per convenienza: il suo vero titolo è “Per un’Europa libera e unita – Progetto di un manifesto”. Si tratta di un documento scritto nel 1941, in piena Seconda Guerra Mondiale, dagli antifascisti Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi condannati al confino dal regime fascista sull’omonima isola del Mar Tirreno. Il testo divenne di dominio pubblico solo tre anni più tardi, nel 1944, grazie alla pubblicazione per mano del socialista Eugenio Colorni, che nello stesso anno fu assassinato dalla violenza squadrista.
Il Manifesto di Ventotene è diviso in tre parti. Le prime due, redatte da Spinelli, vertono sulla crisi sociale e su come organizzare praticamente l’Europa unita dopo la guerra. La terza sezione, firmata da Rossi, parla invece di riforme ed economia. Al manifesto contribuirono anche altri socialisti e antifascisti, incluso Colorni, in un’Europa ancora devastata dall’incubo e dall’occupazione nazifascista.
Proprio la genesi socialista è stata al centro delle critiche mosse da Giorgia Meloni. Peccato che l’ambito della sinistra italiana di metà Novecento fosse lontano anni luce dalla realtà attuale. Bisogna però intendersi bene: Spinelli e Rossi non erano comunisti, ma membri di una sinistra che si opponeva tanto al fascismo quanto alla deriva stalinista in Unione Sovietica (il che attirò sul manifesto le critiche di socialisti e comunisti italiani). Proprio per quest’ultima corrente, Spinelli fu espulso dal Partito Comunista, mentre Rossi indugiava su posizioni più liberali al punto da fondare il movimento Giustizia e Libertà. Nel 1955 Rossi contribuì poi al Partito Radicale, mentre Spinelli fu eletto deputato ed eurodeputato da indipendente nelle liste del Pci.
La vera questione (tecnica) del “socialismo europeo”
Il significato stesso di socialismo e di federalismo che i due proponevano, da un punto di vista tecnico, sono quanto di più vicino all’idea dei tanto auspicati Stati Uniti d’Europa, come quelli d’America. No, non è soltanto una provocazione: la macchina federale americana, vale a dire gli apparati e l’intera struttura governativa (dal Pentagono alla Cia, dalla burocrazia all’esercito), offre lavoro a oltre sei milioni di persone. Tecnicamente gli Usa sono dunque il Paese più socialista del mondo, in quanto lo Stato impiega tra le sue fila un numero di cittadini maggiore rispetto a qualunque altra nazione. Al di là di qualunque ideologia ormai morta e sepolta.
Perché si dice che Vetontene è un pilastro dell’Ue
Quando nacque e si sviluppò l’Europa unita, le istituzioni comunitarie tributarono la giusta importanza a coloro che sono tuttora considerati i padri fondatori. Tra questi figura anche Altiero Spinelli – co-autore del Manifesto di Ventotene nonché eurodeputato e membro della Commissione Ue negli Anni Settanta e Ottanta -, al quale è intitolato il palazzo dell’Europarlamento di Bruxelles. Questo perché il documento stilato 84 anni fa suggeriva un europeismo federalista che, sebbene mai sperimentato, è alla base dell’impronta politica che l’Ue vuole lasciare soprattutto in un periodo storico in cui gli Usa vogliono delegare parte di riarmo e Difesa alla loro creatura europea. Non è un segreto, infatti, che molte delle Costituzioni dei singoli Stati europei dopo la guerra siano state scritte sotto dettato statunitense, incluse le varie forme di aggregazione comunitaria che hanno poi portato all’attuale Ue.
Le idee di Ventotene arrivarono sulla terraferma italiana nel 1943 e stimolarono la nascita di un movimento federalista europeo. Il filo diretto tra Ventotene e Bruxelles divenne sempre più evidente nel dopoguerra. Da eurodeputato e membro della Commissione Ue, nel 1984 Spinelli promosse il “Progetto di Trattato per l’Unione Europea”, considerato il “genitore” del decisivo Trattato di Maastricht del 1992. In particolare, dal manifesto del 1941 fu ripreso integralmente quell’impianto funzionalista (cioè per una compiuta integrazione economica) che portò alla formazione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio nel 1951, prima configurazione concreta dell’integrazione europea. Ancora oggi, il documento di Ventotene è considerato uno dei testi fondanti dell’Ue, tradotto e studiato in tutte le lingue ufficiali degli Stati membri.
Il vero messaggio di Ventotene e quel “non detto” sull’esercito
In parole povere il testo di Rossi e Spinelli portò, con inevitabile interpretazione postuma da parte dei padri biologici dell’Ue, all’idea di una federazione europea ispirata ai principi di pace e libertà, con base democratica dotata di Parlamento e governo e alla quale ogni Stato membro affida ampi poteri, dal campo economico alla politica estera.
La tesi degli autori è che la restaurazione dei vecchi Stati-nazione avrebbero fatto ripiombare l’Europa nella guerra. In questo senso una sovrastruttura comunitaria era necessaria anche ai piani degli Usa, ai quali serviva un’Europa pacificata al suo interno e controllabile attraverso istituzioni economiche e politiche sovranazionali. Oltre che con la Nato, il vero e attuale esercito comune europeo sotto l’egida degli egemoni americani.
A questo proposito, per scongiurare il ritorno a quelle che Rossi e Spinelli definiscono “gelosie nazionali”, si auspica una federazione europea non solo priva di barriere doganali e protezionistiche, ma provvista anche di una chimerica Difesa comune. Nulla di definito all’epoca, ma significativo. Il manifesto suggeriva un’Europa che si dotasse dei mezzi sufficienti per instaurare un “ordine comune”, pur lasciando ai diversi popoli ampi spazi di autonomia.
Perché le critiche di Giorgia Meloni sono decontestualizzate
Sembra un volo pindarico, ma non lo è. Per inquadrare la vera impostazione del Manifesto di Ventotene, è più che utile analizzare le critiche mosse da Meloni. La premier ha isolato alcuni passaggi del testo, decontestualizzandone la sostanza per suggerire una qualche venatura anti-democratica. In realtà lo stesso concetto di “democrazia”, oggi così centrale e presente nei discorsi pubblici, non è mai comparso nella pratica politica europea prima degli Anni Cinquanta. Come non compare mai, per dirne un’altra, nella Costituzione degli Stati Uniti.
Un primo passaggio additato dalla Meloni recita: “La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista“. Un altro postula invece che la proprietà privata “deve essere abolita, limitata, corretta, estesa caso per caso”. Peccato che la premier si sia dimenticata di citare la seconda e più importante parte della frase: “non dogmaticamente in linea di principio”. Tradotto: Spinelli proponeva una ricetta economica mista (proprietà privata e statalizzazione) che non sfociasse negli eccessi visti in Unione Sovietica. Un dettaglio non da poco. Tant’è vero che, qualche passo dopo, il Manifesto di Ventotene si rivolge direttamente anche agli “imprenditori che, sentendosi capaci di nuove iniziative, vorrebbero liberarsi dalle bardature burocratiche e dalle autarchie nazionali”.