Telefoni, stop alle offerte per chi cambia operatore

Cosa sono le "operator attack" e perché gli emendamenti voluti dalla maggioranza puntano alla loro totale abolizione: ecco cosa cambierà per i clienti

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Luca Incoronato

Giornalista

Giornalista pubblicista e copywriter, ha accumulato esperienze in TV, redazioni giornalistiche fisiche e online, così come in TV, come autore, giornalista e copywriter. È esperto in materie economiche.

Nel gergo legato al mondo della telefonia, sono note come “operator attack” e potrebbero essere considerate illegali tra non molto. Nello specifico si tratta di tariffe particolarmente scontate e, dunque, convenienti, rivolte agli utenti che intendono cambiare contratto, provenendo da determinati operatori. Una sorta di battaglia aziendale a suon di sconti, che mira a “rubare” clienti, che spesso sono costantemente alle prese con la portabilità del proprio numero, sommersi da sms promozionali.

Addio all’operator attack

Sono due gli emendamenti al Disegno di legge Concorrenza, passati in commissione al Senato dopo essere stati proposti dalla maggioranza di Giorgia Meloni. Di fatto mettono al bando la diffusa pratica nel mondo della telefonia dell’”operator attack”.

Non ci saranno più offerte scontate e particolarmente vantaggiose, rivolte a una cerchia estremamente ridotta di utenti, identificata in base al loro operatore di appartenenza. È naturale chiedersi, però, se tutto ciò sia un bene per il mercato e, in un’ultima analisi, per l’utente finale. Quando si parla di “operator attack”, infatti, si fa riferimento a delle offerte ben al di sotto della media di mercato. Ad oggi si aggirano intorno a 5-8 euro al mese, con un pacchetto di dati e minuti davvero allettante.

Spesso sono ben celate, pubblicizzate unicamente in negozio e non online, oppure su alcune pagine digitali non direttamente connesse alla home dell’operatore in questione. Tutto ciò che occorre fare è accettare la portabilità, a patto di provenire da una determinata azienda telefonica. Una sfida tra colossi, a vantaggio dell’utente medio, ben disposto a un costante passaggio.

Stando a quanto riportato da Repubblica, alla base di tutto ciò ci sarebbe una segnalazione dell’Antitrust: “Tali condotte possono avere un effetto estremamente negativo sullo sviluppo della concorrenza nella telefonia mobile”.

In sintesi, si ritiene che queste proposte fuori mercato giochino un ruolo nel blocco dello sviluppo dei nuovi operatori, tentando di provocare l’uscita dal mercato di alcuni di essi. È stato evidenziato, infatti, come le aziende nel mirino dei grandi colossi fossero generalmente Iliad, Poste Mobile, Fastweb e Spusu. Mai Kena, Very e Ho, operatori virtuali di Tim, Wind Tre e Vodafone. In ultima analisi, il pubblico sarà contrario agli emendamenti, ma questi mirano a tutelare lo stimolo concorrenziale.

Tutela dei consumatori

Nella segnalazione effettuata, l’Antitrust evidenzia anche la necessità di tutelare i consumatori. Per quanto l’utente possa avvantaggiarsi di un costo particolarmente basso, le offerte proposte risultano essere poco trasparenti. Per tale motivo sono già state sanzionate proprio dall’Antitrust e dal Tribunale di Milano.

Non mancano però i detrattori di tale procedimento. Parte della classe politica ritiene, infatti, che questo atteggiamento possa condurre a una sorta di “guerra dei prezzi”. Le big dovrebbero allinearsi in toto alle tariffe di compagnia virtuali o come Iliad, in grado di abbassare notevolmente le cifre dei propri pacchetti. Il risultato potrebbe essere un tracollo dei ricavi dei gestori tradizionali.

In tal senso si è espresso Antonio Nicita del Pd, che a Repubblica ha spiegato la propria visione dei fatti: “Gli emendamenti sono un caso di over-regulation rispetto a casi già trattabili con le norme esistenti, qualora necessario. Concordo con Agcm che il winback selettivo generi distorsioni concorrenziali ma solo se associato a una dominanza individuale o collettiva”. Ad ogni modo non è ancora detta l’ultima parola. Gli emendamenti sono passati in commissione al Senato. Ora sono attesi dall’esame del Parlamento, tra Senato e Camera.