Meloni, in arrivo rivoluzione degli aerei low cost: il piano

Le compagnie aeree low cost ricevano incentivi milionari per migliorare la connettività dei territori, ma il nuovo Governo cercherà la svolta

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Luca Bucceri

Giornalista economico-sportivo

Giornalista pubblicista esperto di sport e politica, scrive di cronaca, economia ed attualità. Collabora con diverse testate giornalistiche e redazioni editoriali.

Tante idee, tante proposte, ma non ancora il potere per metterle in atto. È attesa nel centrodestra per il ritorno al Governo, con l’esecutivo che prende via via sempre più forma in attesa dell’incarico ufficiale ricevuto dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella dopo le consultazioni di rito. Mentre tra Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia proseguono le riunioni per cercare di far chiarezza sui ministri e i compiti che i partiti avranno all’interno del nuovo Governo (vi abbiamo parlato qui del cosiddetto “patto della Scrofa”), l’Italia attende di conoscere chi guiderà il Paese verso le sfide del futuro.

Tra queste c’è, tra le tante, anche quella collegata al turismo in Italia che verrà presa in carico, soprattutto, dal nuovo ministro delle Infrastrutture e delle mobilità sostenibili che appena si insedierà dovrà mettere mano agli incentivi che lo Stato italiano mette sul piatto alle compagnie aeree low cost. Queste ultime, secondo quanto raccolto dal Corriere della Sera, potrebbero presto essere “vittime” di misure compensative per poter mantenere gli incentivi italiani.

Incentivi alle low cost, come funziona in Italia

Ogni anno, infatti, l’Italia mette a disposizione 500 milioni di euro di incentivi che, nella maggior parte delle volte, finisce in tasca alle compagnie aeree low cost per la politica per migliorare la connettività dei territori prevista nell’ambito europeo. Si tratta di un fondo che, attraverso finanziamenti pubblici e/o privati, gli aeroporti italiani mettono a disposizione per poter dare e avere dei collegamenti da e per il continente per connettere nel modo migliore possibile l’Italia al resto del mondo (qui vi abbiamo parlato dei ritardi del passaporto elettronico).

I soldi messi a disposizione, però, troppo spesso vengono utilizzati per migliorare i collegamenti esterni al Bel Paese e non quelli interni, con la conseguenza logica che le tratte operate tra le città all’interno del territorio italiano diventano sempre meno rispetto a quelle che lavorate per l’estero. Negli ultimi tempi, secondo alcuni addetti ai lavori, i fondi hanno finito quindi per concentrarsi troppo sul lato turistico e sempre meno su quello della mobilità dei residenti e per questo, nelle ultime settimane, tra il dicastero e l’Ente nazionale per l’aviazione civile (Enac) si è discusso tanto.

L’obiettivo per l’accessibilità: il piano

Come vi avevamo già detto, in Italia è partito l’iter per rivoluzionare gli aeroporti che traccia il futuro da qui al 2035 degli scali italiani. Al nuovo Governo, dunque, sarà passata la palla sulla questione, con un’eredità molto chiara da parte dei predecessori: supportare l’implementazione dei livelli di connettività del territorio.

Il piano infatti è quello di mettere in atto una compensazione tra gli scali che vogliono operare voli continentali. Se infatti alcuni aeroporti vogliono favorire collegamenti da e per il continente, secondo il progetto futuro dovranno anche garantire l’accessibilità aria-aria verso gli aeroporti identificati come hub. L’obiettivo, riportato nel “Piano Nazionale degli aeroporti”, è quello di avere rotte interne tanto quanto sono quelle esterne all’Italia.

C’è, poi, un’altra proposta che il prossimo ministro potrebbe valutare, ovvero quella di stanziare una somma annuale per incentivare i collegamenti delle aree remote. Secondo gli addetti ai lavori potrebbe trattarsi di sborsare 10 euro per ogni passeggero in partenza da uno scalo collocato in un’area a connettività ridotta (che sia per via aerea o stradale-ferroviaria) con lo Stato che potrebbe quindi spendere non più di 50 milioni di euro all’anno per la mobilità dei circa 5 milioni di italiani che risiedono nelle aree “remote” del Paese.