Giorgio Armani Operations in amministrazione giudiziaria: fra le accuse “caporalato”

L'azienda, costola della Giorgio Armani Spa, non avrebbe vigilato adeguatamente sulla filiera produttiva per prevenire fenomeni illeciti. La replica alle accuse

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Mauro Di Gregorio

Giornalista politico-economico

Laurea in Scienze della Comunicazione all’Università di Palermo. Giornalista professionista dal 2006. Si interessa principalmente di cronaca, politica ed economia.

La Giorgio Armani Operations Spa è in amministrazione giudiziaria: l’ipotesi di reato è quella di sfruttamento del lavoro tramite l’utilizzo negli appalti per la produzione di opifici abusivi e manodopera cinese in nero e clandestina. Le indagini sono state condotte dai carabinieri del Nucleo ispettorato del lavoro di Milano e sono state coordinate dai pm Luisa Baima Bollone e Paolo Storari. L’amministrazione giudiziaria è stata disposta dalla Sezione misure di prevenzione del tribunale di Milano.

Le accuse a Giorgio Armani Operations

Giorgio Armani Operations è stata di fatto commissariata per un anno dopo l’accusa di non avere vigilato sulla filiera produttiva. La costola del gigante della moda si occupa della progettazione e della produzione dei capi d’abbigliamento e degli accessori. Il ciclo di produzione, viene scritto, andava avanti anche “per oltre 14 ore al giorno, anche festivi”. I lavoratori erano “sottoposti a ritmi di lavoro massacranti” in una situazione di “pericolo per la sicurezza” della manodopera, che lavoravano e dormivano in “condizioni alloggiative degradanti”. Le paghe “anche di 2-3 euro orarie, tali da essere giudicate sotto minimo etico”.

Secondo le accuse l’azienda, controllata dalla Giorgio Armani Spa, sarebbe stata “ritenuta incapace di prevenire e arginare fenomeni di sfruttamento lavorativo nell’ambito del ciclo produttivo non avendo messo in atto misure idonee alla verifica delle reali condizioni lavorative ovvero delle capacità tecniche delle aziende appaltatrici tanto da agevolare (colposamente) soggetti raggiunti da corposi elementi probatori in ordine al delitto di caporalato”.

Secondo il quadro tracciato, si è potuto accertare che “la casa di moda affidi, attraverso una società in house creata ad hoc per la progettazione, produzione e industrializzazione delle collezioni di moda e accessori”, ossia la Giorgio Armani Operations Spa, “mediante un contratto di fornitura, l’intera produzione di parte della collezione di borse e accessori 2024 a società terze, con completa esternalizzazione dei processi produttivi”.

L’azienda fornitrice, però, “dispone solo nominalmente di adeguata capacità produttiva e può competere sul mercato solo esternalizzando a sua volta le commesse ad opifici cinesi, i quali riescono ad abbattere i costi ricorrendo all’impiego di manodopera irregolare e clandestina in condizioni di sfruttamento”.

Tramite questo presunto schema, si sarebbe riusciti a “realizzare una massimizzazione dei profitti inducendo” l’opificio cinese “che produce effettivamente i manufatti ad abbattere i costi da lavoro (contributivi, assicurativi e imposte dirette) facendo ricorso a manovalanza in nero e clandestina, non osservando le norme relative alla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro nonché non rispettando i Contratti Collettivi Nazionali Lavoro di settore riguardo retribuzioni della manodopera, orari di lavoro, pause e ferie”.

A gennaio con accuse simili venne commissariata l’Alviero Martini.

Multe e persone indagate

A partire da dicembre 2023 sono partiti i controlli su 4 opifici “tutti risultati irregolari nei quali sono stati identificati 29 lavoratori di cui 12 occupati in nero e anche 9 clandestini“. I carabinieri hanno effettuato “accertamenti sulle modalità di produzione, confezionamento e commercializzazione dei capi di alta moda procedendo al controllo dei soggetti affidatari delle forniture nonché dei sub affidatari non autorizzati costituiti esclusivamente da opifici gestiti da cittadini cinesi nella provincia di Milano e Bergamo”.

Sono stati indagati per caporalato 4 titolari “di aziende di diritto o di fatto di origine cinese” e 9 “persone non in regola con la permanenza e il soggiorno“.

Infine, sono state comminate “ammende pari a oltre 80.000 euro e sanzioni amministrative pari a 65.000 euro e per 4 aziende è stata disposta la sospensione dell’attività per gravi violazioni in materia di sicurezza e per utilizzo di lavoro nero“.

I carabinieri sostengono che non si tratti di “fatti episodici” ma di un “sistema di produzione generalizzato e consolidato” che riguarda diverse “categorie di beni”, come “borse e cinture”, e che “si ripete, quantomeno dal 2017 sino ai più recenti accertamenti dello scorso febbraio” con la produzione “della merce a marchio Giorgio Armani”.

La replica dell’azienda

Dopo la diffusione della notizia, l’azienda ha diramato una nota: “La società ha da sempre in atto misure di controllo e di prevenzione atte a minimizzare abusi nella catena di fornitura. La GA Operations collaborerà con la massima trasparenza con gli organi competenti per chiarire la propria posizione rispetto alla vicenda”.