“Dobbiamo prepararci all’economia di guerra”: cosa significa

Economia di guerra: perché se ne parla? A margine del Consiglio europeo di Versailles sulla guerra in Ucraina, Draghi ha parlato proprio di questo: cos'è e quali effetti

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Miriam Carraretto

Giornalista politico-economica

Esperienza ventennale come caporedattrice e giornalista, sia carta che web. Specializzata in politica, economia, società, green e scenari internazionali.

Economia di guerra: perché se ne parla? A margine del Consiglio europeo tenutosi a Versailles per discutere della posizione comune Ue sulla guerra in Ucraina, il presidente del Consiglio Mario Draghi ha parlato proprio di economia di guerra. Vediamo bene cosa ha detto, per non snaturare il senso del suo discorso e spiegare cosa sta accadendo dentro ai nostri confini e quali rischi corriamo davvero, come europei e come italiani.

Pensando al presente e al futuro dell’Unione, Draghi ha spiegato che non vede il rischio di un allargamento della guerra, “lo hanno detto anche i nostri alleati. Più pesanti sono le sanzioni e minore è il rischio di un allargamento del conflitto” ha detto. Ma questo non basta a dirci al riparo.

Perché Draghi ha detto che dobbiamo prepararci a un’economia di guerra

Il capo del governo ha anche chiarito che “non siamo all’interno di un’economia di guerra” ma “dobbiamo prepararci”.  Il premier atterra su questo punto perché, dice, “ho visto degli allarmi esagerati. Prepararsi non vuol dire che ciò debba avvenire, altrimenti saremmo già in una fase di razionamento”. Ma, come ovvio, la frase pronunciata dal premier ha destato moltissimo stupore, e preoccupazione. Non ultimo, perché arriva dopo l’allarme circolato in alcuni ambienti riguardo all’ipotesi (remota) di un attacco nucleare (qui gli effetti che ci sarebbero per l’Italia).

Da Versailles, e ancora prima, ciò che emerge con prepotenza rispetto all’Unione a 27 è che è arrivato il momento di riorientare le nostre fonti di approvvigionamento, “e ciò significa costruire delle nuove relazioni commerciali”.

Draghi aveva già ventilato l’ipotesi, per l’Italia, di riaprire le vecchie centrali a carbone. Ma attenzione: ciò non significa sospendere del tutto l’investimento nella transizione energetica green. A differenza di quanto molti hanno scritto, il governo continuerà anche, parallelamente, a puntare alla riconversione della nostra economica verso una maggiore sostenibilità, e dunque verso l’utilizzo di risorse rinnovabili. Draghi lo ha ribadito ancora a Versailles.

Economia di guerra: cos’è e cosa significa

Tornando all’economia di guerra, la domanda a questo punto è: cos’è e cosa succede in un sistema economico di questo tipo? L’economia di guerra è l’insieme delle azioni intraprese da uno Stato per mobilitare la sua economia durante il periodo bellico.

L’economia di guerra si riferisce all’economia di un Paese in guerra e si caratterizza per la priorità data alla produzione di beni e servizi che supportano lo sforzo bellico, cercando anche di rafforzare l’economia nel suo insieme.

Nell’economia di guerra, lo Stato sottopone a una regolamentazione molto estesa l’economia di mercato, si attua cioè una sorta di statalismo, senza però sospendere del tutto né il liberismo né la proprietà privata dei mezzi di produzione e la libera circolazione della manodopera, cioè dei lavoratori.

Nell’economia di guerra l’approvvigionamento della popolazione, dell’apparato produttivo e dell’esercito viene garantito da un sistema burocratico-amministrativo di allocazione e distribuzione delle risorse. Di fatto, viene sospesa o comunque limitata pesantemente l’economia di mercato, che viene sostituita, in parte o in tutto, da un’economia pianificata in cui a livello centrale si decide cosa si deve produrre e cosa no.

Durante i periodi di conflitto, i governi possono adottare misure per dare priorità alle spese per la difesa e la sicurezza nazionale, ad esempio, compreso proprio il razionamento citato da Draghi in conferenza stampa, in cui il governo controlla la distribuzione di beni e servizi e l’allocazione delle risorse. Materie prime, energia, lavoro, tutto, viene definito a livello centrale, e smette di vigere il libero mercato.

In tempo di guerra, ciascuno si muove in maniera autonoma, riconfigurando e riconvertendo la propria economia sulla base di specifiche priorità individuate. Ma nel caso della Ue, nella evenienza (remota) di una guerra diffusa, queste priorità potrebbero essere definite a livello centrale, a Bruxelles, e poi declinate nazionalmente.

Cosa succede all’economia in guerra

In un’economia di guerra, poi, le tasse vengono utilizzate principalmente per la difesa. Allo stesso modo, se il Paese prende in prestito ingenti somme di denaro, quei fondi potrebbero essere destinati principalmente al mantenimento dell’esercito e al soddisfacimento delle esigenze di sicurezza nazionale.

Le imprese si riconvertono per produrre ciò che serve per combattere – viene in mente, con tutte le dovute differenze, la riconversione delle aziende a inizio pandemia che si sono messa a produrre mascherine per la pandemia -, scatta il razionamento delle materie prime, delle risorse alimentari, dell’energia, per fare in modo che ogni risorsa resti a sostegno della guerra.

Da notare che in alcuni periodi bellici si è avuta una importante accelerazione del progresso tecnologico che rende più forte la società al termine del conflitto, sempre ammesso che non ci sia stata una distruzione estesa causata dalla guerra stessa (è stato così per esempio per gli USA nella Prima e nella Seconda guerra mondiale).

Non dimentichiamo che, storicamente, la guerra è stata usata anche preventivamente per tamponare pesanti perdite o presunti shock causati da crisi monetarie, in particolare espandendo servizi e lavoro in ambito militare e riordinando il sistema sociale ed economico stesso.

Adattare l’economia alla guerra è, comunque, molto rischioso: una parte dei consumi viene trasferita dalla sfera civile a quella militare, i costi della guerra riducono le entrate, la produzione di materiale bellico spazza via tutto il resto, non ci sono più investimenti e si rischia una forte inflazione.

Quali rischi per l’Italia

Cosa dobbiamo aspettarci in Italia nelle prossime settimane? In questo momento il nostro Paese, come il resto d’Europa (ma noi siamo più esposti a causa della dipendenza energetica dalla Russia, come la Germania), sta vivendo una fase di stoccaggio, di scorte.

E’ necessario organizzare e pianificare bene le scorte, di energia, di gas, di materie prime come il grano, per non farsi trovare impreparati se la situazione dovesse peggiorare.