Clima pazzo, in Italia è allarme agricoltura: cosa sta succedendo e quali rischi

Agricoltura piegata, quasi allo stremo. La fotografia che viene scatta su uno dei settori chiave del Made in Italy è drammatica

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Miriam Carraretto

Giornalista politico-economica

Esperienza ventennale come caporedattrice e giornalista, sia carta che web. Specializzata in politica, economia, società, green e scenari internazionali.

Agricoltura piegata, quasi allo stremo. La fotografia che viene scatta su uno dei settori chiave del Made in Italy è drammatica. Prima la siccità dell’estate e dell’autunno – la peggiore degli ultimi 500 anni, costata all’agricoltura italiana 6 miliardi di euro di danni – poi le piogge torrenziali, ora la neve e il gelo: tutti questi elementi, segno inequivocabile della tropicalizzazione che sta cambiando il volto del nostro Paese, spiegano la crisi profonda del mondo agricolo.

La nuova analisi della Coldiretti sulla banca dati aggiornata Isac Cnr, che per il 2022 aveva già registrato nel Belpaese una temperatura superiore di 2,09 gradi rispetto alla media storica – ma l’anomalia è stata addirittura di 2,54 gradi nel Centro Italia e di 2,65 gradi nel Mezzogiorno – evidenzia come questa ondata artica piombata sullo Stivale è accompagnata da minime sotto zero e da nevicate locali fino al mare.

Piogge tropicali, ma l’Italia è senza acqua

A preoccupare sono stati settimane fa i forti temporali con precipitazioni violente, che hanno provocato danni diretti sui terreni secchi, che non riescono ad assorbire l’acqua che cade violentemente e tende ad allontanarsi per scorrimento con frane e smottamenti. Tutto questo unito a un enorme paradosso: il nostro deficit idrico rimane ancora troppo grave. Per dare un dato, nel 2022 si è registrata la caduta del 30% di precipitazioni in meno, con terreni, fiumi e laghi a secca.

Ad esempio, al Ponte della Becca in provincia di Pavia il Po si trova a -3,3 metri rispetto allo zero idrometrico, con le rive ridotte a spiagge di sabbia come in estate, mentre i grandi laghi hanno percentuali di riempimento che vanno dal 35% del lago di Garda al 34% di quello Maggiore fino ad appena al 19% di quello di Como.

Gli effetti del caldo eccessivo e poi del gelo sull’agricoltura

Non solo. Il caldo anomalo ha portato al risveglio delle piante da frutto come noccioli, pesche, ciliegie, albicocche, agrumi e mandorle, dove iniziano ad aprirsi le gemme a fiore fuori stagione, e che ora rischiano di essere danneggiate proprio dal freddo artico giunto soprattutto al Nord, dove si è passati in molte dai 20 gradi di sabato 4 febbraio a -2 di martedì 7.

Il brusco abbassamento delle temperature con freddo, gelo e neve colpisce l’Italia dopo un mese di gennaio 2023 che ha fatto registrare una temperatura di quasi un grado superiore alla media storica del periodo 1991-2020 (+0,96 gradi), +1,46 addirittura al Nord Italia.

L’arrivo del grande gelo, con bufere di vento artico che hanno sradicato alberi e fatto crollare le temperature nelle campagne – continua la Coldiretti – colpisce le coltivazioni invernali come cavoli, verze, cicorie e broccoli, ma anche fiori e gemme delle piante da frutto, mentre nelle serre esplodono i costi del riscaldamento per ortaggi e fiori, per di più proprio alla vigilia di San Valentino, dove la vendita di fiori subisce, come ogni anno, un’impennata decisa.

L’evidenza del cambiamento climatico è anche nella più elevata frequenza di eventi estremi, sfasamenti stagionali, precipitazioni brevi e intense e un rapido passaggio dal sole al maltempo. L’attività che più di tutte patisce la radicalizzazione di questi fenomeni è proprio l’agricoltura: Coldiretti stima i danni provocati dalla siccità e dal maltempo, solo nel 2022, in 6 miliardi di euro.

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Boom dei costi: agricoltura al collasso

Ora, la guerra in Ucraina e i rincari energetici stanno facendo addirittura raddoppiare i costi per la produzione della frutta e della verdura italiane (fino a +119%), con effetti devastanti sulle aziende agricole.

L’analisi di Coldiretti su dati Crea divulgata a Fruit Logistica di Berlino mostra come l’impennata dei costi di produzione abbia colpito tutte le fasi dell’attività aziendale, dal riscaldamento delle serre ai carburanti per la movimentazione dei macchinari, dalle materie prime ai fertilizzanti fino agli imballaggi. Gli incrementi hanno impattato duramente anche sula plastica per le vaschette, le retine e le buste, la carta per bollini ed etichette, il cartone ondulato come il legno per le cassette, mentre si allungano anche i tempi di consegna.

Aumenti che sono stati per la maggior parte assorbiti dalle imprese agricole stesse – nota Coldiretti -, inasprendo le difficoltà del settore, con quasi 1 produttore di ortaggi su 5 (19%) che ha addirittura lavorato in perdita.

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Pesa anche la concorrenza sleale de Paesi stranieri

Ma a pesare è anche la concorrenza sleale delle produzioni straniere: quasi 1 prodotto alimentare su 5 importato in Italia non rispetta le normative in materia di tutela della salute e dell’ambiente o i diritti dei lavoratori vigenti nel nostro Paese. Come accade per le nocciole dalla Turchia, su cui pende l’accusa di sfruttamento del lavoro delle minoranze curde, così come l’uva e l’aglio dell’Argentina e le banane del Brasile, dove verrebbe impiegato lavoro minorile.

Le pere cinesi Nashi, per citare un altro esempio, arrivano regolarmente nel nostro Paese – rivela Coldiretti -, ma quelle italiane non possono andare in Cina perché non è stata ancora concessa l’autorizzazione fitosanitaria. In Canada, nonostante l’accordo Ceta con l’Unione europea, l’Italia non può esportare i pomodorini perché i canadesi vorrebbero che venissero trattati con il bromuro di metile, che da noi è vietato. Niente kiwi in Giappone, poi, perché non è ancora completato il dossier fitosanitario aperto dal 2008.

Alle barriere commerciali si aggiungono anche i danni causati dalla concorrenza sleale – denuncia Coldiretti – con  spesso spinto addirittura da agevolazioni e accordi preferenziali stipulati dall’Unione Europea.

Vola l’export di frutta e verdura

A fronte di questo quadro preoccupante, la buona notizia però è che le esportazioni di frutta e verdura fresche e trasformate superano per la prima volta i 10 miliardi di euro.

I dati Istat rielaborati da Coldiretti evidenziano che il solo settore ortofrutticolo italiano garantisce solo da noi 440mila posti di lavoro, pari al 40% del totale in agricoltura (in Italia ci sono 1 milione di occupati in agricoltura), con un fatturato di 15 miliardi di euro all’anno, pari al 25% della produzione agricola totale, grazie all’attività di oltre 300mila aziende agricole su più di 1 milione di ettari coltivati in Italia e vanta ben 119 prodotti ortofrutticoli Dop e Igp.

Dalle mele alle pere, dalle ciliegie alle uve da tavola, dai kiwi alle nocciole fino alle castagne, ma anche verdure e ortaggi tipici della dieta mediterranea come pomodori, melanzane, carciofi, cicoria fresca, indivie, sedano e finocchi: sono questi i prodotti che rendono forte il Made in Italy.

Il primo mercato di esportazione per l’ortofrutta Made in Italy è la Germania, con circa un quarto del totale esportato, grazie anche a un aumento del 7% degli acquisti. Il secondo mercato di riferimento è la Francia, dove si registra però un arretramento del 2% – rileva Coldiretti -, mentre al terzo posto c’è la Gran Bretagna, che al contrario vede un incremento dell’export del 15%, nonostante i problemi commerciali legati alla Brexit.