Il sistema accademico nazionale si trova a un punto di rottura: soldi ne girano più che mai, con il Fondo di finanziamento ordinario degli atenei arrivato a 9,4 miliardi e i fondi extra del Pnrr che continuano a piovere fino al 2026. Ma il divario con i Paesi avanzati è ancora alto. Mediobanca calcola che servirebbero almeno altri 9 miliardi per riportare gli investimenti universitari italiani ai livelli medi dell’area Ocse.
Intanto, alcune università rischiano di finire fuori gioco, travolte dalla spirale tra tagli, crollo delle iscrizioni e una governance che sembra più interessata alle proprie scalate di carriera che alla formazione delle nuove generazioni.
Rischio estinzione per alcuni atenei
Stefano Paleari, consigliere del ministero dell’Università e della Ricerca ed ex rettore dell’Università di Bergamo, ha lanciato un avvertimento poco rassicurante: alcune università italiane rischiano di scomparire sotto il peso di un sistema che investe poco e pretende troppo. Al Senato, durante il convegno “Per un’università nuova in un’Italia migliore”, Paleari ha descritto un quadro in cui l’inerzia e la miopia istituzionale mettono a repentaglio la sopravvivenza di diversi atenei, già in difficoltà di fronte alle mutate condizioni demografiche ed economiche.
Personale docente e strutture universitarie: squilibri e criticità
Oltre alla diminuzione delle iscrizioni, il corpo docente delle università italiane sembra un club per veterani: una netta prevalenza di professori associati e ordinari rispetto ai giovani ricercatori. I tempi biblici per accedere alla carriera accademica stanno creando una voragine generazionale, con i giovani ricercatori bloccati in un limbo fatto di contratti precari e zero prospettive. A questo si aggiunge un personale tecnico-amministrativo che, per stare al passo con le innovazioni tecnologiche nella didattica e nella ricerca, avrebbe bisogno di una formazione continua e mirata, ma spesso si ritrova a navigare a vista.
La situazione finanziaria non aiuta: l’Italia investe solo l’1% del Pil nell’istruzione superiore, briciole rispetto alla media Ue (1,3%) e Ocse (1,5%).
Critiche al sistema di governance accademica
Ernesto Galli della Loggia ha espresso un giudizio severo sull’autonomia universitaria, sottolineando come il sistema si sia progressivamente trasformato in una competizione tra atenei, piuttosto che in un motore per la crescita culturale nazionale. Secondo il professore, l’Anvur avrebbe assunto un ruolo preponderante, mentre il reclutamento accademico risulta inefficace: “L’Università ha smesso di pensarsi come un sistema al servizio della complessiva crescita culturale del Paese per pensarsi come un insieme di singoli atenei impegnati soprattutto nella competizione per assicurarsi ognuno un sempre maggior spazio”.
Sicurezza e influenze esterne: un rischio per la ricerca
Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano ha evidenziato il pericolo legato a interferenze straniere nel settore accademico. La preoccupazione è che alcuni governi possano sfruttare la natura aperta dell’università italiana per acquisire conoscenze strategiche e know-how di alto valore.
Università telematiche: dibattito aperto
Maurizio Gasparri, senatore di Forza Italia, ha manifestato forti perplessità sulla proliferazione degli atenei online. “Il sapere on line mi piace poco, lo studio è lo scambio e questo è insostituibile. Troppi guadagni per troppe università telematiche sono inversamente proporzionali alla quantità dei saperi”, ha dichiarato.
Le università a distanza hanno conosciuto una crescita esponenziale negli ultimi anni, arrivando a rappresentare l’11,5% delle nuove immatricolazioni, rispetto al 2,5% registrato nel 2012.