PNRR, l’Italia non ce la fa e dice addio a 100 miliardi

Il Ministro Fitto ammette l'impossibilità di realizzare diversi progetti entro il 2026, ora il rischio concreto è di incassare forse la metà dei 209 miliardi previsti.

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Redazione

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Sono a forte rischio i famosi 209 miliardi di euro che l’Italia dovrebbe incassare dall’Ue secondo il Recovery Plan. Secondo diversi osservatori, a causa dell’incapacità del sistema paese di mettere a terra le risorse, alla fine ne incasseremo al massimo la metà, e il Ministro per gli Affari Europei Raffaele Fitto ha ammesso che diversi progetti previsti per il 2026 sono di fatto irrealizzabili. Tra sistema industriale datato e burocrazia inestricabile, del resto, siamo riusciti a spendere solo il 40% dei fondi settennali europei.

I numeri

“Ad oggi, considerando la ripartizione fra risorse e investimenti intorno alla quale è strutturato il PNRR, per il Tema Imprese e lavoro si riscontra un livello di attuazione pari al 41% rispetto al 100% di fine 2025, per quanto riguarda le riforme, e del 47% per la componente investimenti”. Lo segnala un rapporto del Censis sul “Sistema camerale dopo il ciclo di riforme“, presentato alla Conferenza nazionale delle Camere di Commercio, a Firenze.

“Su entrambi i versanti – aggiunge lo studio – si registra uno scarto da colmare rispetto all’avanzamento previsto entro il 31 marzo 2023, che è pari a cinque punti percentuali nel caso delle riforme, ma sale a 17 punti nel caso degli investimenti”. Per il Tema “Imprese e lavoro, ambito di elezione per il ruolo camerale, “sono allocate dal Piano risorse per 34,7 miliardi di euro, di cui 25,7 miliardi su interventi legati alla competitività, alla concorrenza e all’innovazione, 5,9 sul lavoro, 3,1 miliardi per interventi sul settore agricolo”. “Il numero di imprese -si precisa- che a fine periodo 2021-2026 avranno ricevuto incentivi, aiuti e crediti d’imposta saranno oltre 146 mila, di cui 115 mila specificamente destinatarie di crediti fiscali”. (qui avevamo già anticipato i rischi sull’attuazione del Pnrr).

Pnrr, Italia in ritardo: i dati della Corte dei Conti

Secondo quanto verificato dalla Corte dei Conti, tra il 2020 e il 2022, sono stati spesi un po’ più di 20 miliardi, meno della metà delle risorse programmate (il 49,7%) e il 12% del totale, inclusi gli incentivi all’edilizia e all’industria. Ma senza tenere in considerazione bonus e aiuti alle imprese, la spesa risulta della metà, il 6% (qui abbiamo parlato delle sfide del Pnrr per la Pubblica amministrazione).

Alla luce di questi dati i magistrati contabili prevedono che il Pnrr potrebbe rimanere inattuato per circa 15 miliardi, il 19,5% in meno rispetto al cronoprogramma, obbligando il Governo a cercare di recuperare dal 2024 con una spesa annua superiore a 45 miliardi (qui abbiamo riportato le dichiarazioni del ministro Giorgetti sul raggiungimento di tutti gli obiettivi del 2021 e del 2022, necessari per la terza tranche da 19 miliardi).

La Corte dei Conti calcola ad oggi che la maggior parte dei fondi del Piano sono stati spesi per raggiungere gli obiettivi di digitalizzazione e innovazione, per il 18,8% del totale, per il 16,7% sono stati indirizzati a quelli della transizione ecologica, e il 16,4% delle infrastrutture, spinte dagli appalti delle Ferrovie.

A frenare l’attuazione del Pnrr ci sono le percentuali molto basse dell’1,2% in ambito di inclusione e coesione e lo 0,5% sulla salute.

La situazione sarebbe ancora più complessa se si considerano gli obiettivi nazionali e del Piano complementare, per buona parte in capo al ministero delle Infrastrutture e dei trasporti guidati da Matteo Salvini: ai 40 traguardi ancora non raggiunti, se ne aggiungono altri 37 incompiuti nei primi sei mesi del 2023.

Fitto: “Progetti irrealizzabili”

“Se noi oggi capiamo, e lo possiamo capire anche da questa Relazione, che alcuni interventi da qui al 30 giugno 2026 non possono essere realizzati, ed è matematico, è scientifico che sia così, dobbiamo dirlo con chiarezza e non aspettare il 2025 per aprire il dibattito su di chi sia la colpa“. Il Recovery plan arranca, tra carenze amministrative e rincari di energia e materie prime. E il ministro degli affari europei e del Pnrr Raffaele Fitto, intervenendo alla presentazione della relazione della Corte dei Conti sul Pnrr alla Camera, ammette “in chiaro” che a qualche progetto – forse molti – si dovrà rinunciare. O meglio: la sua idea è che potrebbero essere recuperati finanziandoli con fondi di coesione che hanno scadenze più lontane nel tempo. Ovviamente non sarebbe affatto lo stesso. L’impatto sulla crescita dei prossimi tre anni dovrebbe essere rivisto al ribasso.

I rapporti Roma-Bruxelles

Dagli ambienti di governo si denuncia sottotraccia un’atmosfera ostile all’Italia nelle decisioni in ambito Ue (“prima, quando c’era Draghi, non era mica così” – si lascia scappare un collaboratore del Ministro). Del resto l’accordo sui motori termici che premia la Germania e taglia fuori l’Italia sembrerebbe confermarlo, e proprio Mario Draghi, al passo d’addio da Palazzo Chigi, non aveva mancato di rimarcare come una cosa sia riempire un foglio di investimenti, un’altra realizzarli. Con sforzi diplomatici che evidentemente il governo in carica non può o non vuole affrontare. Dall’Ue fanno infatti notare come non ci sia alcuna preclusione verso l’Italia, ma piuttosto un atteggiamento poco costruttivo da parte di quest’ultima, come dimostrerebbe il ‘ricatto’ sul via libera al Mes in cambio di dilazioni temporali sul PNRR. Un modo di trattare che evidentemente non è abituale nelle stanze di Bruxelles.