La guerra fra Israele e Hamas scoppiata da una settimana esaspera il già intricatissimo scacchiere mediorientale e rischia di scatenare echi che minacciano di riverberarsi sull’economia mondiale. Si teme che le milizie in Libano e Siria che sostengono Hamas possano unirsi direttamente ai combattimenti. Se anche altri Paesi dovessero schierarsi il pericolo è quello di una possibile recessione mondiale.
Il costo della guerra fra Israele e Hamas
Gli equilibri mondiali sono già stati pesantemente alterati dalla guerra fra Russia e Ucraina: dall’indomani dello scoppio del conflitto è cambiato tutto per quanto riguarda il prezzo del grano e di altri cereali, il prezzo degli idrocarburi e di tutti i prodotti che per arrivare sulle tavole dei consumatori devono essere prodotti o trasportati tramite l’impiego di gas o gasolio. L’economia in generale ha subito le bordate di un’inflazione galoppante. Ora al conflitto sul confine euro-asiatico se ne aggiunge anche uno in Medio Oriente.
Oltre a ciò la guerra in Ucraina è già costata, sotto forma di aiuti, 131,9 miliardi di euro all’Europa e 69,5 miliardi agli Stati Uniti. Soldi doverosamente versati per sostenere l’esercito e il popolo ucraini, ma distratti dai piani di sviluppo dell’Occidente.
Oggi agli osservatori, in particolare, non può sfuggire che la maggior parte dei paesi arabi (alcuni dei quali forti esportatori di petrolio) non ha condannato apertamente l’incursione di Hamas. Tali Paesi si sono limitati a fare generici proclami contro la violenza e ad auspicare che si possa trovare una rapida soluzione per la pace. Sono rimasti tiepidi anche quei Paesi che da anni hanno avviato una normalizzazione dei rapporti con Israele.
L’Iran è già oggi un fornitore di armi e denaro di Hamas. Un’escalation che dovesse portare l’Iran ad aumentare il suo coinvolgimento nel conflitto sarebbe probabilmente riequilibrato da un maggiore impegno di Stati Uniti e Unione europea al fianco di Israele. In questo scenario, Bloomberg Economics stima che i prezzi del petrolio potrebbero salire a 150 dollari al barile e la crescita globale scendere all’1,7%. Si tratterebbe di una recessione che ridurrebbe di circa 1 trilione di dollari la produzione mondiale.
Le diplomazie, in tale eventualità, dovrebbero lavorare per scongiurare effetti simili a quelli della guerra arabo-israeliana del 1973, che portò all’embargo petrolifero e ad anni di stagflazione nelle economie industriali.
L’ombra della guerra sulle presidenziali Usa
Un’altra guerra in una regione produttrice di energia potrebbe riaccendere l’inflazione. Per quanto riguarda i rincari energetici si è già registrata un’impennata del gas. Bloomberg pone l’accento anche sul fatto che negli Stati Uniti il prossimo anno si voterà per le elezioni presidenziali e i prezzi della benzina sono fondamentali per il sentiment degli elettori: un’impennata dei prezzi alla pompa non verrebbe facilmente perdonata ai democratici e i repubblicani potrebbero uscirne avvantaggiati.
Tre scenari nella guerra Israele-Hamas
Bloomberg Economics ha dunque ipotizzato tre scenari.
Nel primo le ostilità rimangono in gran parte limitate a Gaza e Israele: l’impatto sull’economia globale in questo scenario sarebbe minimo. Altri Paesi potrebbero facilmente compensare la perdita dei barili iraniani.
Nel secondo scenario il conflitto si estende a Paesi vicini come il Libano e la Siria, con l’Iran che fornisce risorse e di fatto partecipa alla guerra per procura. Tale scenario vedrebbe una crescita del prezzo dei barili di greggio (+10%) e un aumento dell’inflazione globale (+0,2%).
Il terzo scenario prevede l’escalation fino allo scontro diretto Israele-Iran. Si tratta di un’eventualità catastrofica ma poco probabile e da scongiurare in ogni modo, perché gli Usa e l’Ue non rimarrebbero a guardare. In tale caso il prezzo del greggio andrebbe alle stelle e ci sarebbe un calo di 1 punto percentuale nella crescita globale che nel 2024 andrebbe all’1,7%, secondo il modello di Bloomberg Economics.
Questo in caso la Cina nel frattempo non dovesse scatenare un’escalation su Taiwan. In quel caso ogni previsione andrebbe rivista in peggio.