L’industria italiana è crollata negli ultimi 15 anni: solo il Nord-Est resiste

La Cgia di Mestre certifica il crollo dell'industria italiana nel periodo 2007-2022. In Europa solo la Spagna ha registrato risultati peggiori

Foto di Mauro Di Gregorio

Mauro Di Gregorio

Giornalista politico-economico

Laurea in Scienze della Comunicazione all’Università di Palermo. Giornalista professionista dal 2006. Si interessa principalmente di cronaca, politica ed economia.

Una ricerca della Cgia di Mestre certifica il declino dell’industria italiana. Negli ultimi 15 anni si sono registrati cali generalizzati, ad eccezione di un’unica isola felice: il Nordest, che invece è cresciuto del +5,9%.

La crisi dell’industria italiana negli ultimi 15 anni

Nel periodo 2007-2022 in Europa c’è solo una nazione che ha sperimentato una situazione peggiore dell’Italia: la Spagna, in cui il valore aggiunto reale dell’attività manifatturiera è sceso del -8,9%. Il Belpaese invece ha registrato un -8,4%. Ha fatto meglio la Francia, con il suo -4,4%. La Germania si conferma invece la locomotiva d’Europa con il suo +16,4%.

Questa la situazione per quanto riguarda i settori considerati (fra parentesi la variazione in milioni di euro dal 2007 al 2022):

  • Estrattivo +125% (+6.259)
  • Manifattura -8% (-22.344)
  • Acqua, reti fognarie, trattam. rifiuti e risanamento -11,3% (-2.126)
  • Energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata -22,1% (-6.947)

L’ultimo quindicennio è stato il più difficile per le economie occidentali a partire dal secondo dopoguerra. A distanza di pochi anni si sono rincorse diverse crisi mondiali: la crisi dei mutui e del sistema bancario del 2008-2009, la crisi dei debiti sovrani del 2012-2013, la pandemia da Covid-19 nel 2020-2021 (i cui strascichi continuano a farsi sentire) e la guerra fra Russia e Ucraina. Nel 2023 si è poi aggiunta anche la guerra fra Israele e Hamas a complicare il quadro, guerra che ha già innescato una crisi nel commercio marittimo che fa temere un rialzo generalizzato dei prezzi.

L’andamento dell’industria nelle Regioni italiane

Tra il 2007 e il 2022 il valore aggiunto reale dell’industria del Sud è crollato del -27%, quello del Centro del -14,2% e quello del Nordovest del -8,4%. Solo il Nordest ha registrato un risultato positivo, come anticipato: +5,9%.

Per quanto riguarda le regioni, la Basilicata è quella che ha registrato la crescita del valore aggiunto dell’industria più importante: +35,1%. Secondo l’Ufficio studi della Cgia di Mestre il risultato si deve soprattutto al settore estrattivo grazie alla presenza di Eni, Total e Shell nella Val d’Agri e nella Valle del Sauro. Al secondo posto si piazza il Trentino-Alto Adige (+15,9%), spinto dal settore agroalimentare, dall’energia, delle acciaierie e delle imprese meccaniche. Chiude il podio l’Emilia Romagna (+10,1%). L’ultima regione a registrare valori positivi è il Veneto in quarta posizione (+3,1%). Per il resto il declino è generalizzato.
Questa la classifica delle regioni italiane relativamente all’industria (fra parentesi la variazione in milioni di euro dal 2007 al 2022):

  • Basilicata +35,1% (+969);
  • Trentino-Alto Adige +15,9% (+950);
  • Emilia-Romagna +10,1% (+3.746);
  • Veneto +3,1% (+1.227);
  • Friuli-Venezia Giulia -6,6% (-587);
  • Lombardia -7,7% (-6.484);
  • Toscana  -8,1% (-2.025);
  • Piemonte  -9,5% (-3.017);
  • Marche  -9,7% (-1.043);
  • Liguria  -10,5% (-798);
  • Puglia  -19,3% (-2.183);
  • Lazio  -19,8% (-3.912);
  • Abruzzo -20,9% (-1.497);
  • Campania  -25% (-4.003);
  • Umbria -28,3% (-1.596);
  • Molise  -29,2% (-345);
  • Calabria  -33,5% (-1.157);
  • Valle d’Aosta  -33,7% (-296);
  • Sicilia 11.202 -43,3% (-4.853);
  • Sardegna -52,4% (-2.654).

La manifattura nelle province

La Cgia di Mestre ha monitorato tutte e 107 le province italiane. I dati hanno evidenziato come tra il 2007 e il 2021 la crescita del valore aggiunto industriale nominale più elevata è stata a Trieste (+102,2%). Seguono Bolzano (+55,1%), Parma (54,7 per cento), Forlì-Cesena (+45%) e Genova (+39,5%).

Le province in cui si sono registrate le maggiori perdite sono Sassari (-25,9%), Oristano (-34,7%), Cagliari (-36,1%), Caltanissetta (-39%) e Nuoro (-50,7%).

Quello di Milano è il territorio a più alta vocazione manifatturiera con 28,2 miliardi di euro di valore aggiunto nominale nel 2021; seguono Torino (15,6 miliardi), Brescia (13,5 miliardi), Roma (12,1 miliardi) e Bergamo (11,9 miliardi).