La guerra economica dell’Ucraina, ecco come Kiev ha ristrutturato il proprio debito

Oltre al terribile conflitto in corso sul terreno, Kiev affronta anche lo spettro economico del dopoguerra. Riuscendo nella grande impresa di un accordo coi creditori internazionali. Ma davvero il deficit ucraino non fa più paura?

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Pubblicato: 8 Settembre 2024 18:49

La guerra in corso ha devastato l’Ucraina sotto ogni aspetto: materiale, umano, naturalistico, economico. L’orrore dei combattimenti sul campo è senza dubbio il più atroce, ma di questi tempi Kiev si sta preoccupando anche del “dopo”, domandandosi come il Paese potrà rimettersi in piedi.

Ricordiamo che attualmente l’Ucraina è uno Stato tecnicamente fallito, preda di debiti con Paesi terzi, di speculazioni straniere e corpo sul quale si scaglieranno gli avvoltoi della ricostruzione post-bellica. Auspicando il cambio di egemone, passando da Mosca a Washington, Kiev ha mostrato di voler cedere ancora una volta parte della propria sovranità. Un passaggio doloroso, ma inevitabile. Eppure, ultimamente, il Paese ha evitato e continua a evitare il default finanziario, portando a termine una ristrutturazione del proprio debito che ha pochissimi precedenti nella storia.

Cos’è la ristrutturazione del debito di un Paese

Cominciamo col definire la questione. In linea generale, la ristrutturazione del debito prevede un accordo con il quale le condizioni originarie di un prestito (tassi, scadenze, divisa, periodo di garanzia) vengono modificate per alleggerire l’onere del debitore. Nel caso di uno Stato nazionale si parla di debito sovrano, che riguarda il bilancio della macchina pubblica. Ambito nel quale l’Ucraina versa in condizioni disastrose, affossata da aiuti non gratis e prestiti finanziari di guerra e, come se non bastasse, preda di ampie sacche di corruzione.

Possono usufruire della ristrutturazione debitoria soltanto quegli enti pubblici o imprese possedute da privati, che si trovano in una situazione di crisi o di insolvenza. Un esempio divenuto eclatante è quello dell’Argentina nel gennaio 2005. Il Paese ristrutturò unilateralmente il suo debito di circa 82 miliardi di dollari e l’offerta fu accolta, dopo aver fatto terrorismo economico sulla situazione interna, da meno del 50% dei privati dell’Europa, Stati Uniti e Giappone. Il dato dichiarato dall’Argentina, mai certificato dagli istituti internazionali preposti, è stato del 76,15% di accettazione.

La ristrutturazione del debito sovrano dell’Ucraina

Dall’ormai lontanissimo febbraio 2022, il Tesoro ucraino non si è più potuto rifinanziare sui mercati internazionali. I bond nazionali sono valutati a livelli da bancarotta dello Stato: CC per S&P e Fitch, CA per Moody’s. Pochi mesi dopo l’invasione su larga scala da parte della Russia, il consulente finanziario dell’Ucraina, Rothschild & Co., ha consegnato al responsabile del debito pubblico del Paese una “cartella nera” molto voluminosa, contenente i dettagli delle principali ristrutturazioni del debito sovrano degli ultimi 30 anni. Quello è stato il momento che avrebbe preparato la svolta economica di una nazione coinvolta nel peggiore conflitto dall’epoca della Seconda Guerra Mondiale. Il funzionario Yuriy Butsa rimase folgorato dalla lettura del plico giunto da Washington, ottenendo un grado di competenza in materia che non poté maturare nel 2015 perché non coinvolto nella rielaborazione del debito richiesta da Kiev dopo l’annessione della Crimea da parte della Russia.

Come spiegato da Reuters, di fronte a un’economia paralizzata dai costi e dalla distruzione della guerra, nell’agosto 2022 l’Ucraina ha concordato con i creditori di sospendere i pagamenti dei suoi titoli. Senza una plausibile fine del conflitto nel breve termine, a fine agosto 2024 Kiev ha siglato una delle più rapide e più grandi ristrutturazioni del debito della storia. Eclissata per grandezza dell’operazione solo da Argentina e Grecia, la ristrutturazione di oltre 20 miliardi di dollari di debito farà risparmiare al governo guidato da Volodymyr Zelensky ben 11,4 miliardi di dollari nei prossimi tre anni. Una somma fondamentale sia per l’attuale sforzo bellico sia per il programma del Fondo Monetario Internazionale legato al Paese.

“Una situazione stabile, in cui non ci siano più dubbi sostanziali, non può che giovare all’Ucraina”, ha osservato Arvid Tuerkner, responsabile per l’Ucraina e la Moldavia presso la Banca europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo, uno dei principali partner multilaterali di Kiev. La sopravvivenza economica della macchina statale ucraina è stata finora garantita esclusivamente dai prestiti dei cosiddetti “alleati”:

  • nazioni come Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada, Francia, Germania e Giappone;
  • grandi gruppi finanziari americani ed europei;
  • istituzioni internazionali come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, che da sole hanno già garantito oltre 85 miliardi di dollari.

Il resoconto su come è stato raggiunto l’accordo tra l’Ucraina e i detentori di obbligazioni si basa su interviste con cinque fonti coinvolte nei colloqui, sia governative sia investitori, che hanno accettato di parlare a Reuters in condizione di anonimato.

Perché i creditori dell’Ucraina hanno accettato un taglio del debito

Dal punto di vista tecnico, dopo il febbraio 2022 l’Ucraina aveva ottenuto una moratoria di due anni sui pagamenti del debito, fino alla scadenza di agosto 2024. A quel punto, ancora invischiata in una terribile guerra di logoramento, Kiev sembrava non avere altra scelta: dichiarare il default. L’ammissione di insolvenza e la condizione di bilancio non autonomo hanno però sorprendentemente portato a un accordo coi creditori. Il tutto grazie a una clausola inserita nel programma di assistenza a favore di Kiev, di circa 15,6 miliardi di dollari, concluso dal Fmi nel marzo 2023.

L’intenzione occidentale, il che vuol dire dell’amministrazione americana, era chiaramente quella di non puntare al dissanguamento dell’Ucraina, come invece avvenuto in altri casi di debito e default sovranazionali. Per informazioni citofonare alla Grecia o all’Argentina. Il timore era che un Paese dilaniato anche nel morale si potesse gettare nelle braccia di una Russia indebolita ma rinnovata nei suoi propositi imperiali, con in agguato la potente Cina pronta ad approfittarne. Fu così che anche la Commissione Ue spinse per un “equo accordo” sulla ristrutturazione del debito ucraino, impegnandosi assieme a Washington a risanare parte del deficit del bilancio pubblico 2024 di Kiev: un’operazione da circa 43 miliardi di dollari.

Poco prima della scadenza di agosto, e precisamente il 23 luglio 2024, al termine di una trattativa durate tre giorni la garanzia offerta dall’istituto franco-britannico Rothschild & Co. ha portato all’ok alla ristrutturazione del debito nazionale offshore, cioè maturato dai creditori privati internazionali. Tra questi figurano colossi del calibro di BlackRock, Fidelity, Amundi, Amia Capital e Pimco. In precedenza, a giugno, i colloqui si erano interrotti dopo un paio di settimane, con il comitato centrale degli obbligazionisti che lamentava che la svalutazione richiesta dall’Ucraina era “significativamente superiore” al 20% che la maggior parte si aspettava. Poi, però, si è sbloccato tutto. Come precisato da Il Manifesto, si tratta di “19,67 miliardi di dollari emessi in eurobond, che salgono a 23,6 miliardi se si calcolano gli interessi finora maturati”. Nel gergo finanziario, l’intesa prevede una duplice mossa che ha generato nuovi titoli di credito dal minore valore nominale: swap (scambio) e haircut (sforbiciata). In poche parole, i creditori dell’Ucraina hanno accettato una svalutazione del 37% dei titoli che detenevano legittimamente. Al netto degli interessi, che tuttavia sono stati rimaneggiati in modo da seguire l’andamento dell’economia nazionale (che a questo punto sarà rivista al rialzo nel prossimo anno).

La trappola dietro la “magia”

Lo scenario economico futuro per l’Ucraina non però tutto rose e fiori. La stessa Unione europea che si è esposta retoricamente, secondo il dettato americano, per la ristrutturazione del debito ucraino si è anche battuta per stigmatizzare tale procedura. Al punto che a dicembre 2023 la definizione stessa di “ristrutturazione” dei debiti sovrani è stata cancellata con la candeggina dal vertice sulla riforma dell’Eurozona. Una mossa più propagandistica che altro, per mantenere alto lo standard di un’Europa sempre più divisa e alla quale però ambiscono nuovi Stati molto importanti nell’avversione al sempre più ampio fronte anti-occidentale.

Nonostante la propaganda, Bruxelles continua a seguire i dettami classici dell’iter della ristrutturazione del debito sovrano. A partire dalle modalità con cui viene attivata l’assistenza finanziaria del Fondo salva-Stati europeo, aperto soltanto ai Paesi i cui debiti sono giudicati sostenibili. Se non lo sono, devono essere ristrutturati. In linea generale, questa pratica di risanamento del deficit non risolve i problemi sul lungo termine. Anzi, li nasconde sotto il tappeto.

Nonostante l’auspicato risanamento delle risorse pubbliche ucraine, in oltre due anni e mezzo di guerra il Paese ha completamente dissolto almeno un terzo della sua economia. Il celebrato rimbalzo registrato nel 2023 è stato pari al 5% e, anche ammettendo un salto legato all’intervento occidentale, gli esperti affermano che la situazione non potrà tornare ai livelli precedenti il conflitto. Senza contare poi che il futuro dell’Ucraina dovrà per forza di cose passare dalla produzione agricola. Un altro bel problema, visto che la superficie coltivabile in tutto il Paese ha perso ben il 20% dei terreni. Problema che appare insormontabile se si guarda anche alla distruzione della maggior parte delle arterie stradali e logistiche, oltre alle strutture energetiche. Per un conto totale della ricostruzione che, attualmente, supera i 500 miliardi di dollari. Con la questione ancora apertissima dell’utilizzo dei beni russi congelati, non caldeggiata dall’Unione europea, e l’incertezza sul comportamento degli indicatori obbligazionari del Paese nel futuro.