Bitcoin crolla a 108.000 dollari dopo le minacce dazi di Trump alla Cina

Bitocin e altre criptovualute stanno soffrendo la volatilità dei mercati dopo le minacce di Donald Trump che potrebbe imporre nuovamente dazi al 100% sulle importazioni cinesi

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Matteo Runchi

Editor esperto di economia e attualità

Redattore esperto di tecnologia e esteri, scrive di attualità, cronaca ed economia

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Il Bitcoin e tutte le altre principali criptovalute hanno perso tra il 10% e il 40% del proprio valore in poche ore, dopo che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha minacciato di imporre nuovamente dazi al 100% alle importazioni cinesi negli Stati Uniti. I criptoasset hanno seguito la traiettoria dei mercati finanziari americani, che hanno perso tra il 2% e il 3%.

Trump ha minacciato i nuovi dazi a seguito di una serie di restrizioni commerciali che la Cina ha attuato nei confronti di diverse aziende, in particolare occidentali e americane, nell’ambito del trasporto di merci via mare e delle terre rare.

Il Bitcoin e le altre criptovalute hanno sofferto questa notizia perché spesso si comportano in modo simile a mercati speculativi.

Crolla il valore dei Bitcoin

Nel pomeriggio americano di venerdì 10 ottobre il valore di tutte le principali criptovalute è calato rapidamente nel giro di poche ore. Il Bitcoin, il criptoasset più scambiato al mondo e quello con la maggiore capitalizzazione di mercato, è passato da valere 117.000 dollari per token a 108.000, per poi risalire a 113.000 prima della chiusura.

Anche le altre principali crypto hanno subito gravi cali. Nelle ore in cui Bitcoin perdeva l’8% del suo valore, questi asset hanno subito oscillazioni anche peggiori:

  • Ethereum, 3.631 dollari, -9,3%;
  • Solana, 177.97 dollari, -14,0%;
  • Binance Coin, 1.057,76 dollari, -15,2%.

Come spesso accade, il valore delle crypto ha seguito un andamento simile a quello dei principali indici di Borsa americani. L’S&P 500, che annovera le 500 società di maggior valore della Borsa statunitense, ha chiuso in ribasso del 2,71%. Il Nasdaq, il principale indice di Wall Street, ha invece perso il 3,56%.

Trump contro la Cina: nuovi dazi

La ragione di questo calo viene dalla nuova minaccia del presidente americano Donald Trump di nuovi dazi alla Cina. Il Tycoon ha parlato di tariffe doganali al 100%, simili a quelle che i due Paesi si erano reciprocamente imposti all’inizio del suo mandato, durante una delle fasi più critiche della guerra commerciale tra Pechino e Washington.

Da allora Cina e Usa hanno tentato di collaborare, rimuovendo buona parte dei dazi e avviando trattative per un nuovo accordo commerciale. Di recente, però, la Cina ha imposto alcune restrizioni commerciali che hanno incrinato i rapporti con la Casa Bianca.

Le due più importanti sono:

  • una tassa sulle imbarcazioni cargo statunitensi che approdano nei porti cinesi, misura opposta a quella imposta da Washington sulle navi cinesi;
  • una restrizione delle esportazioni di terre rare.

Trump ha dichiarato:

A partire dal primo novembre 2025 (o prima, a seconda di eventuali ulteriori azioni o cambiamenti intrapresi dalla Cina), gli Stati Uniti d’America imporranno alla Cina una tariffa del 100%, in aggiunta a qualsiasi tariffa attualmente applicata. Sempre il primo novembre, imporremo controlli sulle esportazioni su qualsiasi software essenziale.

Perché il Bitcoin ha perso valore

Al di là della traiettoria dei mercati finanziari, che grosso modo le criptovalute finiscono sempre per imitare, la ragione per cui Bitcoin e altri token hanno reagito così male all’annuncio di nuovi dazi verso la Cina ha a che vedere con i prossimi tagli dei tassi di interesse.

Essendo simili a mercati speculativi, i criptoasset tendono ad andare meglio quando c’è molto denaro in circolazione e a soffrire i periodi di restrizione.

I nuovi record del valore di Bitcoin erano legati proprio alle recenti decisioni della Federal Reserve, la banca centrale americana, che ha tagliato per la prima volta da anni i tassi di interesse.

Dazi del 100% alla Cina da parte degli Usa rischierebbero di far aumentare nuovamente l’inflazione nel Paese, costringendo la Fed a smettere di tagliare, se non ad aumentare ancora i tassi.