Migranti, il piano von der Leyen cambia tutto: cosa prevede

La presidente della Commissione europea scrive ai capi di Stato e di governo in vista del vertice Ue del 9-10 febbraio. Da muri ai controlli, ai rimpatri: ecco cosa vuole Bruxelles

Foto di Maurizio Perriello

Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

L’atteggiamento dell’Ue nei confronti sul tema migranti è mutato negli ultimi mesi. Da un’impostazione che per molto tempo, secondo molti, è stata troppo laissez faire, si è arrivati all’annunciata stretta incarnata dalla stessa presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.

La leader comunitaria ha inviato una lettera a tutti i capi di Stato e di governo degli Stati membri in vista del vertice straordinario del 9-10 febbraio.

In cosa consiste il piano von der Leyen

Il contenuto della missiva è alquanto inedito, perché imprime una decisa accelerazione alla gestione diretta dei flussi migratori nel Mediterraneo, virando verso la strada dell’intransigenza. La numero uno dell’Esecutivo Ue apre sostanzialmente alla possibilità di utilizzare i fondi del bilancio dell’Unione per costruire barriere e muri anti-migranti. Una svolta autentica, visto che poco più di un anno fa la stessa Bruxelles aveva negato la stessa identica possibilità richiesta da alcuni Stati (qui avevamo parlato della stretta del Governo sulle Ong).

La nuova rotta dell’Unione europea è disegnata da un piano formato da 15 punti. Il primo punto prevede di “rafforzare le frontiere esterne attraverso misure mirate da parte dell’Ue”. In cosa consistono queste misure? Innanzitutto nella “mobilizzazione di fondi Ue per aiutare gli Stati membri a rafforzare le infrastrutture per il controllo delle frontiere“. La parola chiave è proprio “infrastrutture”, che non era specificata nella precedente bozza ed è stata inclusa dopo lunghe e complesse trattative in sede comunitaria a Stoccolma tra i 27 ministri dell’Interno dei Paesi Ue.

Non è tutto: Ursula von der Leyen propone anche di potenziare “il supporto per le attrezzature e la formazione” per Tunisia, Egitto e Libia, che dovranno “rafforzare le loro capacità di ricerca e soccorso” nel Mediterraneo. Anche in questo caso viene infine incontro a “vecchie” richieste: fornire agli Stati africani più motovedette per monitorare le acque territoriali e riportare a terra i profughi intercettati. Da qui potrebbe concretizzarsi inoltre un accordo con Tunisia ed Egitto per contrastare la tratta di esseri umani tramite controlli congiunti da parte di agenti e magistrati europei.

Barriere anti-migranti: si può fare?

La commissaria Ylva Johansson, da parte sua, ha precisato che “il bilancio Ue non prevede risorse sufficienti per finanziare i muri anti-migranti”, ma ha lasciato intendere che se gli Stati dovessero ridefinire le loro priorità, allora l’iniziativa sarebbe possibile. La conferma è arrivata anche dalla lettera firmata Von der Leyen. Anche “nei nostri finanziamenti esterni, stiamo superando in modo significativo l’obiettivo del 10% per la spesa relativa alla migrazione. Quest’anno i progetti di gestione delle frontiere e contro il contrabbando in Nord Africa e nei Balcani occidentali supereranno il mezzo miliardo di euro. Riunire i vari aspetti delle relazioni dell’Ue ci consentirà di fare leva sui progressi in materia di migrazione come parte centrale di relazioni più ampie con i principali partner”, riferisce Bruxelles.

Dal punto di vista pratico costruire questi muri è certamente fattibile, come dimostrano le strutture già esistenti in Europa e nel mondo. A partire dal muro “virtuale” rappresentato dall’area Schengen che, con lo scoppio della crisi migratoria, è stata coadiuvata dalla costruzione di oltre mille chilometri di barriere fisiche. Che vanno dalla piccola enclave spagnola di Ceuta e Melilla, in Marocco ai muri di filo spianto in Ungheria voluti da Viktor Orban. Il muro costruito nel 2015 al confine con la Serbia si estende per 175 chilometri e oppone un roveto metallico alto quattro metri. Un progetto fortemente voluto e approvato anche dalla popolazione di confine per “preservare le radici cristiane” del Paese e del Vecchio Continente. L’esempio è stato presto seguito anche da Slovenia, Austria e Macedonia. Successivamente anche la Bulgaria ha predisposto quasi 176 chilometri di recinzione di filo spinato lungo il confine con la Turchia.

La rotta dei Balcani

Al centro del piano Ue non c’è dunque solo la rotta mediterranea, ma anche quella balcanica, la cui gestione interessa un numero nutrito di Stati dell’Est Europa. Per evitare che i flussi lungo questa direttrice migratoria diventino fuori controllo, l’Austria ha chiesto di finanziare con i fondi comunitari la costruzione di un’altra barriera tra Bulgaria e Turchia. Proposta che ha incassato il beneplacito di von der Leyen. “Dovrà essere una priorità”, ha affermato.

La vera novità riguarda però gli hotspot sull’altra sponda dell’Adriatico. Nei Balcani sarà infatti rafforzata la presenza di Frontex e “nella prima metà del 2023” verrà lanciato un progetto pilota per istituire hotspot in cui effettuare le cosiddette “procedure di frontiera”. Queste ultime prevedono un esame accelerato delle domande d’asilo ai confini d’Europa, con conseguente rimpatrio veloce per chi non ha diritto (già a fine 2022 l’Italia e il Sud Europa avevano criticato l’Ue e avanzato le loro richieste).

La questione di rimpatri e ricollocamenti

Sul capitolo rimpatri, Ursula von der Leyen ha mostrato l’intenzione di stringere accordi con i Paesi d’origine nel prossimo futuro. La vocazione umanitaria però riesce a trovare spazio nelle sue parole, seppur “a margine”: la presidente della Commissione Ue afferma che “bisogna intensificare i corridoi umanitari e avviare progetti per attirare lavoratori qualificati”.

E l’Italia? Il nostro ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha parlato di “una terza via” oltre a quella dei rimpatri forzati e di quelli volontari assistiti: i “rimpatri forzati accompagnati”. Si tratta, testuali parole, di “un’operazione di ritorno” dei migranti “associata a progettualità di reintegrazione”.

Un altro capitolo del piano europeo è dedicato anche ai tanto chiacchierati ricollocamenti, inflazionato pomo della discordia per gli Stati di primo approdo e quelli del Nord Europa. Ursula von der Leyen chiede di accelerare con il piano per la redistribuzione dei richiedenti asilo, in modo da aiutare i Paesi che, come l’Italia, accusano più di altri la pressione dei continui sbarchi via mare. Un’altra necessità riguarda il monitoraggio sui movimenti secondari.

Il monitoraggio dei movimenti secondari

“C’è l’urgenza di affrontare il tema dei movimenti secondari dei migranti, ma anche di garantire di efficace solidarietà a Paesi in difficoltà”, si legge in un altro passaggio della lettera scritta da von der Leyen.

La presidente della Commissione sostiene che bisogna concentrarsi sull’adozione del Regolamento di Dublino, finora “scarsamente applicato”, riducendo gli incentivi per i movimenti secondari e consentendo agli Stati membri di collaborare meglio tra loro. In attesa di un meccanismo “permanente” di redistribuzione dei migranti.

Il caso della Geo Barents

A riportare in auge la questione migranti di recente ha contribuito molto il caso della Geo Barents. La nave di ricerca e soccorso di Medici Senza Frontiere ha salvato decine di profughi in diverse operazioni compiute negli scorsi giorni. I 237 migranti a bordo dell’imbarcazione sbarcheranno a La Spezia e una parte sarà ospitata a Genova.

Secondo la Ong, il Governo italiano “continua a violare il diritto internazionale e i diritti umani delle persone soccorse in mare: i naufraghi a bordo di Geo Barents toccheranno terra al porto di La Spezia, tra i più lontani mai concessi“. A bordo sono presenti anche 74 minori non accompagnati.