Li chiamiamo “cervelli in fuga” – nei talk televisivi, sui giornali, persino durante le conversazioni che intratteniamo al bar con amici e conoscenti – e lo facciamo consapevoli. Ci stiamo rivolgendo ai professionisti che spesso hanno studiato nel nostro Paese, figure nella maggior parte dei casi qualificate e specializzate, che ad un certo punto però si trasferiscono all’estero con la promessa o la speranza di lavorare e vivere in condizioni migliori di quelle in Italia. E andandosene generano perdite per milioni di euro, alle casse erariali e non solo, che il governo tuttavia sta continuando ad ignorare.
Un esempio lampante, riportato all’attenzione dall’associazione Anaao Assomed, è quello dei medici che lasciano il Belpaese ogni anno: non solo non ce ne sono abbastanza di operatori sanitari (ve ne abbiamo parlato qui), ma quelli che ci sono e per cui lo Stato ha speso soldi in formazione e ricerca, vanno via nella stragrande percentuale.
Sistema sanitario in crisi in Italia: cosa sta succedendo
I motivi che hanno portato a una vera e propria crisi in ambito sanitario, in Italia, sono diversi. Da anni il sistema pubblico lamentava carenze che con la pandemia si sono poi acuite. Come se non bastasse, una volta rientrata l’emergenza Covid, i “vecchi” problemi, quelli di sempre, sono tornati a bussare ancora più prepotentemente alla porta.
Mancano i medici e gli operatori sanitari, molti ospedali rischiano di chiudere per carenza di personale e – intanto – ai giovani professionisti vengono garantite sempre meno tutele, un po’ come sempre minori sono i servizi che di conseguenza vengono garantiti ai cittadini.
Per anni medici, infermieri e operatori si formano, studiano, frequentano le nostre Università e poi, quando non hanno scelta o semplicemente in vista di prospettive migliori, vanno altrove – spesso all’estero – a pagare le tasse. Insomma, come già accennato sopra, lo Stato investe a perdere, perché il suo mercato del lavoro non è allettante o competitivo e le garanzie che offre sempre meno e sempre più precarie.
Dove vanno i medici che lasciano l’Italia?
Secondo i dati forniti dall’Associazione dei medici e dirigenti sanitari del Servizio Sanitario Nazionale, riportati dal Sole 24 Ore, Inghilterra e Germania sono le destinazioni preferite dai medici italiani, poi la Francia e sta crescendo anche la Spagna. Il motivo? Prima di tutto stipendi più alti. Offerte queste che stanno diventando sempre più allettanti, specie a fronte dei continui aumenti spinti dall’inflazione (qui la situazione in Italia).
“In Germania si guadagna quasi il doppio rispetto ai 56mila euro lordi che percepisce un giovane medico specializzato a inizio carriera, mentre in Inghilterra e Francia si guadagna circa un terzo in più”, ha dichiarato Pierino Di Silverio, segretario di Anaao Assomed.
Il buco da milioni di euro che il governo sta ignorando
E la situazione non sembra destinata a migliorare, senza interventi. Dall’indagine recentemente condotta da Anaao Assomed, infatti, risulta che un camice bianco su tre, in Italia, lascerebbe volentieri il posto di fronte a un’altra opportunità. In termini economici, lo ripetiamo, è una perdita: costa oltre 150 mila euro ogni professionista in ambito sanitario che lo stato italiano forma – attraverso le università, i corsi di specializzazione, le borse di studio e di ricerca etc. – a fronte di percorso che dura in media anni.
“A conti fatti – viene riportato – si tratta di isomilioni ‘regalati’ dall’Italia ogni anno agli altri Paesi che si trovano medici già formati”, senza dover investire nulla (ma incassando, come già abbiamo detto, le loro tasse).
C’è, di fatto, un buco di milioni di euro che stiamo ignorando. Ma intanto cosa sta facendo il governo? Certo, bisogna ammetterlo, dall’insediamento in carica della Presidente Giorgia Meloni a oggi di emergenze da gestire ce ne sono state. Eppure il ministro della Salute, Orazio Schillaci, appena arrivato al suo dicastero ha detto di essere intenzionato ad affrontare subito il nodo della fuga del personale sanitario.
Ma quali decisioni sono state prese per far fronte a turni massacranti, stress e stipendi non adeguati in questo ambito? Nell’ultima legge di bilancio è stato inserito un aumento dell’indennità per gli operatori sanitari del pronto soccorso, ma a partire dal primo gennaio 2024.
Le promesse di Giorgia Meloni, prima di diventare Premier
Giorgia Meloni, intanto, nel suo programma elettorale aveva inserito ben due punti dedicati a Università e Sanità (qui il documento integrale), ovvero:
- al punto 8, ha promesso di “rilanciare la scuola, l’università e la ricerca”, a partire da “l’incremento del numero di laureati in Italia” e “fondi premiali per le università che immettono subito gli studenti nel mondo del lavoro, ma anche dal “rafforzamento dei percorsi di orientamento post-laurea” e, sempre allo stesso punto, ha parlato anche di “riforma del sistema di accesso alle facoltà a numero programmato e riforma della legge sulla formazione specialistica medica”;
- al punto 11, un intero capitolo dedicato alla “Sanità a servizio della persona”, con interventi mirati per migliorare il SSN e di nuovo di “superamento del sistema di accesso alle facoltà a numero programmato e chiuso con accesso per tutti al primo anno e selezione per il passaggio al secondo anno”, tra cui appunto rientrano anche gli studenti di medicina e delle professioni sanitarie in generale.
Niente di preciso su quello che succede dopo ai medici, tante promesse generali al miglioramento delle condizioni precarie dei giovani lavoratori. E ad oggi, che è diventata Primo ministro, l’andamento sembra essere lo stesso. Le ultime riunioni del CdM di questo mese (qui il calendario), per esempio, sono state dedicate:
- il 16 marzo alla riforma fiscale (qui i punti cardine);
- il 9 marzo al cd. decreto immigrazione;
- l’1 marzo alla disciplina del “golden power” (qui i provvedimenti presi).
Tutti argomenti degni di nota, sia chiaro, ma – ad onor del vero – intanto c’è chi ha trovato il tempo, nella maggioranza, di togliere diritti – anche sanitari e di cura – alle coppie gay (in alcuni Comuni i figli non verranno più riconosciuti), parlare tanto – troppo – di maternità surrogata, ma anche la premura di emanare una circolare – immediatamente dopo le elezioni – dove si informava formalmente che “l’appellativo da utilizzare per il presidente del Consiglio dei ministri” sarebbe stato “Il signor presidente del Consiglio dei ministri, on. Giorgia Meloni”, e non “la Presidente”.