Dopo una settimana di falsi annunci e smentite in merito al suo stato di salute, nella giornata di sabato 30 aprile è scomparso Mino Raiola, il più potente, criticato e chiacchierato procuratore del mondo del calcio. Si è spento all’ospedale San Raffaele di Milano a 54 anni, dopo una vita da film e soprattutto dopo aver lottato fino all’ultimo contro la grave malattia che lo accompagnava da diverso tempo.
Spiazzante, eccessivo, geniale, genuino, divisivo. Amato oppure odiato, con lui non esistevano le mezze misure. Amato dai suoi assistiti, come Zlatan Ibrahimovic, che nell’autobiografia racconta: “Mino è la mia famiglia”. Odiato invece spesso dai presidenti dei club, che grazie a lui a volte facevano affari d’oro, altre finivano per perdere i giocatori a parametro zero. Erano le regole del gioco. Mai visto però un dirigente che gli abbia chiuso la porta o l’abbia bloccato sul telefono.
L’affetto di colleghi e giocatori per l’uomo che ha cambiato il mondo del calcio
Il Milan ad esempio – che a causa sua quest’estate ha perso Gigio Donnarumma senza incassare un euro – è stato fra i primi a esprimere il proprio cordoglio alla famiglia. Beppe Marotta, amministratore delegato dell’Inter, l’ha salutato così: “Sono affranto e dispiaciuto, era un amico”. E poi Andrea Agnelli, presidente della Juventus (“Ti voglio bene, Mino. Non prendere in giro in Paradiso, loro sanno la verità”), fino a Marco Verratti, centrocampista del Paris Saint-Germain suo assistito (“Grande Mino”), e Renzo Ulivieri, presidente degli allenatori: “Ha segnato un’epoca”.
Ed è andata davvero così. Mino Raiola ha rivoluzionato un mestiere, modificando le regole d’ingaggio. Non più rappresentante, ma intermediario. A tal punto da diventare più importante dei giocatori stessi. Irremovibile nel modo di lavorare come nello stile (da Silvio Berlusconi a Florentino Perez, incontrava tutti in t-shirt e pantaloni corti), è rimasto fedele ai propri ideali senza mai variare una virgola. In un tempo in cui gli stravolgimenti avvengono di ora in ora, lui non è mai cambiato, ma il mondo del calcio è cambiato con lui in maniera irreversibile.
Gli affari d’oro del re del calciomercato: quanto ha guadagnato
Un personaggio irripetibile, come anche i ricavi che ha collezionato in 25 anni di carriera. Secondo la rivista Forbes, nel 2020 la sua agenzia aveva guadagnato ben 75 milioni di euro. E che scuderia: oltre a Donnarumma e Ibrahimovic, pure Pogba, Balotelli, Nedved, Haaland, De Ligt. Nessuno di loro è rimasto nella mediocrità: tutti (almeno dal punto di vista dell’ingaggio percepito) divenuti giocatori eccelsi.
Nato a Nocera Inferiore, figlio di immigrati, era partito dalla pizzeria del padre in Olanda per arrivare a diventare il re del calciomercato. Se aveva da dire qualcosa, lo faceva: fosse anche ad un top manager come Guardiola, una leggenda come Ferguson o la stessa Fifa, massimo organo mondiale del sistema. Parlava sei lingue, ma diceva di pensare in dialetto campano: “È più veloce”. Lascia moglie, due figli e un grande vuoto. Senza di lui, le sue frasi da titolo, le sue trattative, le sue intuizioni, la sua ironia spietata, i suoi bermuda, il sistema calcio sarà un posto diverso. E di sicuro un po’ più triste.