Federica Cappelletti, calcio, amore e passione alla guida della serie A. “Mollare non fa parte del mio essere”

La presidente della serie A femminile e moglie dell'indimenticabile Paolo Rossi racconta il suo percorso, le emozioni dietro le sue scelte e le sue ambizioni per il futuro dello sport al femminile.

Foto di Emanuela Galbusera

Emanuela Galbusera

Giornalista di attualità economica

Giornalista pubblicista, ha maturato una solida esperienza nella produzione di news e approfondimenti relativi al mondo dell’economia e del lavoro e all’attualità, con un occhio vigile su innovazione e sostenibilità.

Pubblicato: 7 Marzo 2025 09:16

Caparbia, resiliente e determinata, Federica Cappelletti è una donna che ha vissuto con intensità ogni scelta e ha saputo trasformare ogni sfida in un’opportunità. Giornalista e scrittrice, ha scelto di mettere l’amore davanti alla carriera, quell’amore viscerale e profondo per Paolo Rossi, leggenda azzurra e campione del mondo del 1982, da cui ha avuto due splendide figlie e di cui porta avanti i valori, con il cuore sempre rivolto ai progetti della Fondazione che porta il suo nome.

Oggi è alla guida della Divisione Serie A Femminile Professionistica della FIGC, impegnata a dare voce e spazio alle calciatrici italiane, contribuendo a una svolta storica per il movimento. Premiata da Forbes Italia per il suo impegno nel Women Empowerment, ha recentemente celebrato il successo dell’album Panini Calciatrici, un momento epocale che ha segnato “un punto di non ritorno” per il calcio femminile. In questa intervista ci racconta il suo percorso, le sue scelte e le ambizioni per il futuro dello sport.

Giornalista professionista, scrittrice, madre, presidente della FIGC e tanto altro ancora. Sei una donna di grande determinazione: da dove nasce questa tua forza?

La determinazione è una mia peculiarità. Da sempre mi pongo degli obiettivi e cerco di raggiungerli, sin da quando ero ragazzina. Essere cresciuta con tre fratelli maschi mi ha forgiata alla risolutezza, alla volontà e soprattutto alla competizione. Mi sono fatta le ossa così.

Hai iniziato con il giornalismo, un settore competitivo in cui hai fatto molti sacrifici per arrivare all’assunzione. Qual è stata la sfida più grande che hai dovuto affrontare?

Non c’è stato un sacrificio in particolare, ma tanti sacrifici insieme. Già dall’età di 15 anni scrivevo, a 17 collaboravo con testate umbre occupandomi di pallavolo e pallacanestro, poi sono passata alla sanità. Lo sport, però, è stato il mio vero debutto. Con il tempo ho accettato di vivere con la valigia in mano, spostandomi da una redazione all’altra, da una città all’altra, da una regione all’altra per fare esperienza e collezionare contratti, perché all’epoca non era semplice ottenere un posto fisso. E poi è arrivata l’assunzione, un primo obiettivo raggiunto.  Contemporaneamente ho studiato, mi sono laureata due volte, prima in Lettere Moderne con una tesi in Storia dell’Arte all’Università di Perugia, poi in Scienze della Comunicazione a Roma, sfiorando anche una terza laurea in Psicologia. Ho sempre dato grande importanza alla preparazione e allo studio, per me sono sempre stati basilari. Ho scritto libri e sono diventata giornalista professionista, non ho mai smesso di studiare e lo dimostra anche il master in Management del Calcio che ho conseguito alla Bocconi lo scorso anno.

C’è un’intervista o un’inchiesta che ti ha segnata particolarmente?

Sono tante le interviste che mi hanno segnato. Quando scrivevo di sanità avevo una rubrica importante e ho avuto l’opportunità di intervistare il professor Barry Marshall sull’Helicobacter pylori. Ma l’intervista che fa parte dei miei ricordi più cari e che porto nel cuore è quella a Rita Levi Montalcini, nel giorno della sua nomina a senatrice a vita. La chiamai prima di Fernanda Pivano, un’altra grande intervista che ricordo, e di Margherita Hack e Dacia Maraini, che erano tutte candidate per quel ruolo, ma io sentivo che sarebbe stata scelta lei. Ci parlammo prima della nomina, lei non ci credeva e diciamo che fui il suo portafortuna. Mi rilasciò un’intervista molto intima e intensa e il giorno dopo eravamo su tutte le rassegne stampa nazionali: un grande orgoglio per me e un riconoscimento per lei, che definì quel titolo persino più importante del Nobel, perché arrivava dal suo paese, dall’Italia.

Ti sei allontanata dal giornalismo di redazione per seguire il cuore, una decisione che ha cambiato profondamente la tua vita. Te ne sei mai pentita?

No, mai. Paolo mi chiese di scegliere tra il lavoro e la famiglia, quindi lui e le nostre figlie. Fu una decisione difficile, sofferta per tutti i sacrifici che avevo fatto, però anche molto naturale. Stavo lasciando la mia passione per un amore talmente grande che ripagava tutto.

La tua storia d’amore con Paolo Rossi è raccontata nel libro Per sempre noi due. C’è un aneddoto che pochi conoscono ma che racconta bene chi era?

Il libro racconta la sua capacità di essere autentico in ogni occasione, di essere se stesso ovunque fosse, il suo romanticismo, la sua capacità di farmi sentire sempre speciale. Ci lasciavamo biglietti ovunque in casa e, per ogni ricorrenza, mi scriveva lettere bellissime, di una profondità incredibile.

Nel nome di Paolo Rossi porti avanti molte iniziative, tra cui una Fondazione a lui dedicata, di cui sei Presidente. Quali sono i progetti di cui vai più fiera?

Sono due in particolare. Il primo è il camp dedicato ai bambini meno fortunati, il più recente stato realizzato in Polonia fino a settembre con 80 orfani e rifugiati politici, organizzato con la Caritas. In quell’occasione abbiamo regalato loro una settimana di calcio e di spensieratezza, li abbiamo portati anche in giro per l’Italia. Vorremmo fare di più, realizzare anche un campo da calcio, un luogo di gioco e di svago, qualcosa che possa lasciare un’impronta non solo nel cuore, ma anche tangibile del passaggio della Fondazione di Paolo, anche perché questi erano i suoi desideri e i suoi valori.
Il secondo progetto su cui stiamo puntando e al quale tengo tantissimo è Casa Pablito, per fornire postazioni oncologiche dedicate alle persone che affrontano queste terapie pesanti. Vorrei alleggerire, per quanto possibile, la quotidianità di coloro che affrontano questa malattia, vorrei evitare a tanti malati oncologici quello che ho vissuto io, per esempio la sofferenza di continui spostamenti in ospedale durante la terapia.

Due anni fa la tua passione per il tuo e il tuo amore per il calcio sono stati “premiati” con la nomina a presidente della divisione serie A femminile professionista. Quanto ti ha reso orgogliosa?

È stato un bel riconoscimento e una scommessa vinta con me stessa. È una nomina arrivata in un momento difficile, molto doloroso per me, quando stavo ancora rimettendo insieme i pezzi della mia vita con due ragazzine da crescere. Un futuro da reinventare. Ho parlato con Mavi e Sofi, le mie figlie e quelle di Paolo, e loro erano felici di vedermi in questo nuovo ruolo.
Non amo le poltrone ma mi sono buttata perché mi piacciono molto le sfide, e voglio traghettare il calcio femminile italiano verso traguardi sempre più alti e ambiziosi. Diciamo che è stata un po’ la mia medicina, e voglio portare risultati sempre più concreti per ringraziare chi mi ha scelto.

L’anno prima, nel 2022, il calcio femminile in Italia ha raggiunto il professionismo, un primo traguardo importante, ma ce ne sono tanti altri da conquistare. Quali sono i tuoi obiettivi come presidente della FIGC femminile?

Il professionismo è stata una scelta coraggiosa della FIGC, una svolta culturale che da un lato ha portato grande dignità nel calcio femminile e alle calciatrici dando loro un mestiere vero e una retribuzione garantita, tutte le tutele pensionistiche assicurative, mediche e via dicendo. Ma dall’altro ha fatto lievitare in maniera esponenziale i costi delle società. Questo ha significato adeguarsi a nuovi standard, avere delle squadre sempre più competitive, ma anche personale preparato, infrastrutture di un certo livello, con criteri allineati alle licenze nazionali. Ha portato un grande problema di sostenibilità. Quindi uno degli ostacoli ma anche uno degli obiettivi ai quali tengo di più, è proprio la sostenibilità economica. Recentemente è stato rifinanziato il Fondo per il professionismo per il 2025, quindi il nostro scopo è quello di continuare con quella che in questa fase possiamo definire una start up, fino a creare un sistema che possa davvero sostenere in maniera definitiva il calcio femminile. Gli altri obiettivi sono riempire gli stadi, portare sempre più tifosi, creare degli impianti dedicati esclusivamente al calcio femminile e dare un’immagine nuova alla divisione serie A femminile, che poi sarà la serie A femminile.

Il calcio femminile è un movimento che sta conquistando sempre più consensi, abbiamo visto recentemente il successo dell’album Panini delle Calciatrici, sold out in pochissimo tempo. Qualcosa si sta muovendo?

Credo che l’album Panini, uscito dopo 64 edizioni del maschile, sia stato un punto di non ritorno, un momento storico, un riconoscimento fondamentale per il movimento calcistico femminile. È stato un progetto che ho fortemente voluto, che ho rincorso e in cui Panini ha creduto. Ed è stato un successo, dopo una settimana eravamo già in ristampa.

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Fonte: Ufficio stampa FIGC
La presidente della Divisione Serie A Femminile Federica Cappelletti, il presidente della FIGC Gabriele Gravina e il direttore mercato Italia Panini Alex Bertani

Quali sono (gli altri) successi di cui vai più fiera da quando ricopri questo ruolo?

Attualmente stiamo facendo un rebranding di tutta la serie A, stiamo creando un’immagine nuova. Abbiamo registrato numeri importanti negli stadi per le nostre competizioni di punta, la Coppa Italia, la Supercoppa, con dei record nazionali non solo a livello di presenza allo stadio ma anche di audience televisiva. Abbiamo portato a bordo Rai, Dazn, Sky, RDS come radio, le fanbase sono cresciute. Il movimento, cioè la serie A, sta facendo da traino insieme alla nazionale e noi stiamo dimostrando di avere tutte le carte per crescere e per diventare uno sport consolidato anche al femminile.

C’è un modello a cui ti ispiri per far crescere il movimento in Italia?

Mi ispiro alla Spagna e all’Inghilterra. Alla Spagna perché più vicina a noi, ha dimostrato nel giro di pochi anni di poter avere uno sviluppo significativo e soprattutto di essere vincente, infatti ha vinto un campionato del mondo. All’Inghilterra perché più avanti come mentalità, come organizzazione, come tempistiche.

Di recente sei stata premiata da Forbes Italia nella categoria Women empowerment. A chi hai dedicato questo riconoscimento?

Alle donne che rappresento, alla loro caparbietà, alla loro resilienza, al loro spirito positivo, alla loro voglia di competere in maniera sana e pulita. Ai loro sorrisi e alle loro sofferenze, a tutte le battaglie che hanno fatto.

Ci sono stati momenti in cui hai pensato di mollare?

Mai. Mollare non fa parte del mio essere. Ho perso mia madre che ero una ragazzina. Ho perso mio marito ritrovandomi con due bambine da crescere. Quando è successo ho guardato le mie figlie, avevano 8 e 10 anni, ho detto loro adesso piangiamo insieme, poi ci si rialza e si va avanti. Mollare non è mai stato nelle mie corde e spero che non lo sarà mai. Ovviamente ci sono momenti difficili, ma cerco sempre di guardare avanti, agli obiettivi da raggiungere.

Tornando al calcio, quanto è cambiata a livello culturale la percezione del calcio femminile e cosa manca per renderlo ancora più popolare?

La percezione è migliorata molto. Stiamo uscendo dalla nicchia e stiamo diventando sempre più popolari, possiamo parlare di calcio femminile senza vedere qualcuno che strabuzza gli occhi, ma ovviamente c’è molto da fare. Bisogna insistere sulla promozione e lavorare a un modello che parta dalla base, dalle scuole calcio fino al vertice, fino alla Serie A. Bisogna fare squadra ignorando i pregiudizi, che ancora ci sono, e dimostrare con i fatti e con i risultati che ci siamo, che siamo una realtà.

C’è un lato del calcio che il pubblico non vede, ma che secondo te meriterebbe di essere raccontato di più?

Le storie straordinarie delle calciatrici, storie da lacrime e da applausi. Le calciatrici hanno davvero tanto da raccontare, hanno vissuti profondi che andrebbero mostrati. Stiamo lavorando anche per questo.

Se potessi cambiare una cosa nel mondo dello sport oggi, quale sarebbe?

Cambierei la dimensione sessista che ancora esiste. Occorre andare oltre, guardare alla consistenza delle persone, ai loro contenuti, alla loro professionalità in campo e fuori.

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