Malattie della tiroide, ne soffrono 6 milioni di persone: come scoprirle e affrontarle

Le patologie della ghiandola che regola il metabolismo sono tra le cause più frequenti di consultazione per il medico, oltre che di esami diagnostici e di eventuali terapie chirurgiche

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Federico Mereta

Giornalista scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica. Raccontare la scienza e la salute è la sua passione, perché crede che la conoscenza sia alla base di ogni nostra scelta. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Pubblicato: 22 Maggio 2024 14:46

Più di sei milioni. Tante sono le persone che, ad ogni età, debbono fare i conti con una tiroide che lavora troppo o poco. E comunque male. Con tutte le conseguenze del caso, anche in chiave di spesa sanitaria. Perché le patologie della ghiandola sono tra le cause più frequenti di consultazione per il medico, oltre che di esami diagnostici e di eventuali terapie chirurgiche, con la necessità di evitare possibili eccessi di trattamento. Non per nulla, uno slogan per la Settimana Mondiale della Tiroide (SMT) che si celebra a partire dal 20 maggio per concludersi il 25 maggio, in occasione della Giornata Mondiale della Tiroide, recita: “Malattie tiroidee croniche: più informazione meno esami inutili”.

Insomma, occorre che ci sia appropriatezza nello studio e nella gestione delle patologie della ghiandola. Infatti classificare le malattie della tiroide tra le patologie croniche ha un grande significato, visto che la ricerca biomedica in questo settore richiede finanziamenti cospicui. Quindi questo riconoscimento consentirebbe l’accesso a maggiori finanziamenti per nuovi studi i cui risultati andrebbero a beneficio della popolazione interessata da tali patologie.

Come è fatta la tiroide e cosa accade se lavora male

La tiroide è una ghiandola endocrina a forma di farfalla che si trova nel collo, immediatamente sotto il pomo d’Adamo. Le due ali dell’organo formano i cosiddetti lobi, mentre la zona centrale, dove le due parti laterali si congiungono, ci chiama istmo. Pur essendo normalmente piccola, aumenti del volume ghiandolare possono essere legati a particolari patologie o al classico gozzo.
La tiroide è di grande importanza per il benessere dell’organismo. Produce infatti una serie di ormoni che operano direttamente su diversi organi e soprattutto influisce su fattori di grande importanza per la salute. Ad esempio, in chi ha la tiroide che lavora poco, ovvero soffre di ipotiroidismo, il cuore tende a battere più lentamente, la fatica si fa sentire molto di più, si soffre particolarmente il freddo e addirittura i valori di colesterolo nel sangue tendono a salire. L’esatto contrario accade se la ghiandola, o una sua parte, lavorano troppo, ovvero in caso di ipertiroidismo. Il cuore tende a battere più velocemente, tanto che a volte anche certe palpitazioni possono essere riferite ad un eccesso di funzione della ghiandola, e il metabolismo tende ad accelerare, con un possibile calo di peso.

Quanto conta lo iodio per la tiroide

La produzione di ormoni e la regolazione della tiroide dipendono dall’attività dell’ipofisi, una ghiandola che si trova all’interno del cervello: a governare l’azione ghiandolare è, infatti, l’ormone tireotropo o tireostimolante (TSH). Sulla spinta di questo, la tiroide produce i propri ormoni, in cui si inglobano alcune molecole di iodio: è per questo motivo che un insufficiente apporto di iodio all’organismo col tempo può portare a deficit di produzione degli ormoni tiroidei e quindi a manifestazioni di compenso da parte del tessuto ghiandolare, che tende quindi ad ipertrofizzarsi nel tentativo di rispondere alle richieste dell’organismo.
Quando esiste una carenza cronica di iodio, la tiroide reagisce cercando di sviluppare le proprie strutture al fine di produrre le quantità di ormoni necessarie al buon funzionamento dell’organismo. La ghiandola quindi aumenta di volume, fino al punto di creare una vera e propria tumefazione nel collo (gozzo), che a volte può essere non visibile perché si sviluppa verso l’interno, comprimendo così la trachea e l’esofago. A volte l’anomalo sviluppo della ghiandola può essere legato a un unico nodulo che si forma al suo interno; altre volte può essere dovuto ad una serie di piccoli noduli. Per cui occorre tenere sotto controllo l’evoluzione del quadro insieme al medico, che può scegliere le opzioni terapeutiche più efficaci.

Quali sono i principali esami per studiare la tiroide

La misurazione del TSH (ormone tireotropo prodotto dall’ipofisi) è il principale (e poco costoso) metodo per definire con precisione la funzionalità tiroidea. I dosaggi andrebbero fatti anche da giovani in tutti i soggetti con familiari di primo grado che soffrono di patologie autoimmuni della ghiandola. Per capire se la tiroide funziona troppo o troppo poco possono essere dosati anche gli ormoni tiroidei T3 (triiodotironina) e il T4 (tiroxina), la cui produzione è regolata dal TSH. La funzione tiroidea è meglio valutata con il dosaggio di FT3 e FT4 che corrispondono alla frazione dell’ormone realmente “attiva”. Valori normali di TSH e di FT3-FT4 indicano che la tiroide funziona regolarmente. Un aumento del TSH e bassi valori di FT3 e FT4 indicano la presenza di un ipotiroidismo, cioè di una ridotta funzione della tiroide; viceversa, siamo in presenza di ipertiroidismo.

Perché le malattie della tiroide vanno considerate croniche

“La maggior parte delle malattie della tiroide possono entrare di diritto nel gruppo delle malattie non trasmissibili, infatti, sia l’ipertiroidismo che l’ipotiroidismo sono patologie croniche, nella maggior parte dei casi di natura “autoimmune”, ovvero causate da una reazione immunitaria anomala che si rivolge contro le cellule della tiroide, causandone distruzione nel caso dell’ipotiroidismo o eccessiva stimolazione nel caso dell’ipertiroidismo – spiega Gianluca Aimaretti, Presidente SIE (Società Italiana di Endocrinologia). In entrambi i casi si tratta di patologie che hanno necessità di essere periodicamente controllate, senza eccedere nel numero dei controlli e nel tipo di esami da eseguire ciclicamente. Ad esempio, il dosaggio degli autoantianticorpi, il cui valore numerico può variare indipendentemente dalla variazione clinica della malattia, non va ripetuto ad ogni controllo, ma solo in particolari momenti del percorso di cura identificati dallo specialista”.

“È importante tuttavia sottolineare che, se è vero che da un lato la frequente ripetizione di esami clinici e strumentali non strettamente necessari, rappresenta una delle voci più dispendiose, per quanto riguarda il bilancio del nostro SSN, dall’altro non deve essere dimenticata, come invece purtroppo spesso accade, la necessità del monitoraggio della funzione tiroidea nei pazienti anziani con nota patologia, soprattutto se in terapia con ormone tiroideo o farmaci antitiroidei – sottolinea Fabio Monzani, Delegato della Società Italiana di Gerontologie e Geriatria – SIGG”.

“Proprio per la natura cronica della maggior parte delle patologie tiroidee – evidenzia Renato Cozzi, Presidente AME (Associazione Medici Endocrinologi) – è indispensabile che l’endocrinologo avvicini con empatia questi pazienti, che spesso incontrano lo specialista dopo lunghi periodi di attesa, ascoltando con attenzione i sintomi che lamentano, visitandoli mettendo anche la mano sul collo e rassicurandoli, una volta visti gli esami, che i loro sintomi sono curabili in maniera efficace quando dipendenti da una reale patologia tiroidea”.

L’impatto dei noduli tiroidei benigni e non

“Anche la patologia nodulare tiroidea è una patologia cronica – ricorda Laura Fugazzola, Presidente ETA – European Thyroid Association. La presenza di noduli di ridotte dimensioni, a volte più piccoli di 1 centimetro, è molto comune nella popolazione generale adulta (50 per cento degli over 50) ma la loro rilevanza clinica è molto scarsa. Per tale motivo l’esecuzione di ecografie tiroidee su grandi segmenti di popolazione, eseguite senza una motivazione clinica, è oggi sconsigliata perché evidenzierà noduli che avranno una scarsissima importanza clinica, ma che provocheranno inutile preoccupazione nel soggetto in cui sono stati casualmente rilevati. Diversamente, i noduli di dimensioni più grandi rispetto a quelli sopra descritti devono essere valutati per la possibilità di alterare la funzione tiroidea e per verificarne la loro natura. Noduli benigni che non alterano la funzione ghiandolare dovranno comunque essere controllati periodicamente e l’inserimento di questa condizione clinica tra le malattie croniche potrebbe contribuire a ridurre la spesa sanitaria attraverso una migliore programmazione dei controlli clinici, evitando quindi la ripetizione di esami inutili. Allo stesso tempo si potrebbe prevedere di inserire questa patologia, in quanto cronica, tra le esentabili dal pagamento del ticket”.

“Parlando dei tumori della tiroide – aggiunge Rossella Elisei, Presidente dell’AIT – Associazione Italiana Tiroide – in particolare la forma papillare, sono senz’altro da considerare tra le malattie croniche non trasmissibili in quanto spessissimo, e fortunatamente, guariscono o cronicizzano con una bassa probabilità di recidivare ma, essendo comunque i pazienti tiroidectomizzati e sottoposti a terapia con ormone tiroideo, devono essere seguiti per lungo tempo. Anche per questa patologia vi sono dei fattori di rischio che possono essere positivamente modificati, ad esempio evitando o minimizzando l’esposizione della regione del collo alle radiazioni ionizzanti. L’identificazione della malignità del nodulo avviene con l’agoaspirazione e l’esame citologico che però oggi vengono riservati solo a noduli di dimensioni maggiori di un centimetro e con caratteristiche ecografiche sospette. È importante ricordare che solo il 5% dei noduli tiroidei è di natura maligna e raramente si presenta in forma avanzata con lesioni a distanza. La terapia chirurgica e, quando opportuno la terapia radiometabolica, possono risolvere completamente la malattia. Viste le caratteristiche di queste malattie molto diffuse, ma spesso, non gravi e curabili con successo, è particolarmente importante promuovere un’informazione esauriente ma non allarmistica, evitando approfondimenti diagnostici non motivati”.