Ormoni e psiche, ecco cosa accade a chi fa regolarmente attività fisica

Fare attività fisica costante, a intensità moderata da 90 a 150 minuti a settimana, può aiutare l’organismo a produrre meglio gli ormoni

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Federico Mereta

Giornalista scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica. Raccontare la scienza e la salute è la sua passione, perché crede che la conoscenza sia alla base di ogni nostra scelta. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

I dati di Eurobarometro parlano chiaro. Nel 2022 solo un italiano su tre, per l’esattezza il 34%, svolge un’attività fisica significativa almeno una volta a settimana. Siamo sotto di quattro punti rispetto alla media Ue, che si aggira intorno al 38%.
Ma attenzione: questa discrepanza si rileva soprattutto considerando l’attività saltuaria, con un ritardo di 7 punti sulla media europea. Quindi sono ancora tante le persone che, per scelta per pigrizia o per reale impossibilità a sostenere sforzi fisici significativi, tendono alla sedentarietà. E magari rinunciano al “piacere” che può dare l’attività fisica che deve comunque essere commisurata alle potenzialità dell’organismo.

Quindi occorre sempre valutare caso per caso. Con una distinzione di base.
L’attività fisica si identifica con qualsiasi movimento corporeo prodotto dai muscoli scheletrici che si traduce in un consumo di energia. L’esercizio fisico, invece, è un’attività fisica caratterizzata da contrazioni muscolari strutturate, ripetitive e finalizzate al miglioramento o il mantenimento dello stato di forma fisica. Ed allora? Allora, come se fosse un farmaco, l’attività fisica va modulata. Tanto che si parla di “esercizio-terapia”. Occorre ragionare sul tipo, sulla giusta dose per intensità, frequenza e volume. E non bisogna sottovalutare effetti collaterali e controindicazioni. Non solo per il corpo, ma anche per la psiche e per gli ormoni che regolano il funzionamento del nostro organismo.

Come cambiano la dopamina e il benessere cognitivo

Una ricerca di base apparsa sul Journal of Psysiology è andata ad esplorare il miglioramento delle prestazioni cognitive che spesso rileva chi fa attività fisica regolare. La chiave di questa condizione sarebbe da ricercare nella dopamina, l’ormone legato al piacere, alla soddisfazione e alla motivazione, anche tende ad aumentare nei soggetti che si allenano. Ma non basta. Lo studio porta a pensare che proprio con l’attività fisica regolare si potrebbero migliorare i tempi di reazione, arrivando ad ipotizzare un ruolo del movimento “su misura” anche per pazienti con condizioni che interessano il sistema nervoso, come le dipendenze o la malattia di Parkinson.

La ricerca ha misurato il rilascio di dopamina nel cervello con la PET, che tiene traccia dell’attività metabolica e biochimica delle cellule del corpo. Ed è emerso che quando un partecipante pedalava sdraiato sulla macchina, il suo cervello aumentava la quantità di rilascio di dopamina e che questo processo era collegato a un miglioramento del tempo di reazione. Questo meccanismo potrebbe essere alla base del miglioramento delle prestazioni cognitive in chi fa attività aerobica, o comunque concorrere a migliorare la situazione.

Ma soprattutto dimostra che  la dopamina può essere  un importante neuromodulatore per migliorare i tempi di reazione. Fondamentale, in ogni caso, appare la scelta di fare movimento: quando per l’allenamento indichiamo al corpo di muoversi, ecco che si favorisce il rilascio di dopamina nel cervello. Pur se entrano in gioco anche altri fattori, come l’eccitazione, la motivazione e il maggior apporto di sangue ed ossigeno al cervello, questo meccanismo potrebbe essere di grande interesse.

Gli ormoni alla base del nostro benessere

Patologie diffusissime, come obesità, diabete, malattie della tiroide, infertilità, osteoporosi, sono tutte connesse ad alterazioni ormonali, che hanno tanti volti e che quasi tutti, prima o poi siamo destinati a conoscere.

“Si stima che la probabilità che ognuno di noi, nell’arco della vita, abbia a che fare con un problema ormonale si aggiri intorno al 75% – segnala Gianluca Aimaretti, presidente SIE (Società Italiana di Endocrinologia) e Direttore del Dipartimento di Medicina Translazionale (DiMET) dell’Università del Piemonte Orientale, che segnala, però, le rischiose lacune nella conoscenza.

La centralità del sistema ormonale fa sì che l’endocrinologo debba essere uno specialista competente su molteplici aree terapeutiche anche molto lontane fra di loro, eppure paga il prezzo di una scarsa consapevolezza del ruolo degli ormoni nel mantenimento della salute e in molte malattie, anche da parte della classe medica. Nonostante lo straordinario impatto sulla salute femminile e maschile, spesso ignorato e sottovalutato – sottolinea -, pochi conoscono il ruolo cruciale degli ormoni che resta misterioso per la maggior parte degli italiani, che non sanno come affrontare eventuali squilibri e a chi rivolgersi. Se infatti i sintomi di un infarto o di un ictus sono peculiari e facilmente riconoscibili, gli ormoni agiscono invece in maniera meno chiara ed evidente”.

Sport e ormoni: il workout ormonale

Lo sport ha un grande impatto sulla modulazione ormonale: fare attività fisica costante, ma a intensità moderata e non prolungata, da 90 a 150 minuti a settimana, può aiutare l’organismo a produrre meglio gli ormoni.
“Infatti, ormai si parla anche di workout ormonale, cioè impostare l’allenamento in modo da equilibrare la produzione degli ormoni e far sì che la sua efficacia sia massima con esercizi aerobici quali la corsa, la camminata intensa e la ginnastica dolce – riferisce Aimaretti.

Appena ci muoviamo, il nostro organismo rilascia ormoni che provocano effetti diversi. Un esempio è quello dell’irisina, il cosiddetto ormone dello sport, ‘brucia-grassi’, che per mezzo di un’attività fisica costante ed equilibrata aumenta del 12% e contrasta le cellule adipose ‘cattive’. Il regolare esercizio a bassa intensità aumenta fino al 500%, rispetto a chi è sedentario, la secrezione di endorfine e serotonina, conosciuti come ormoni della felicità, responsabili di benessere e buonumore, e riduce invece la produzione del cortisolo, l’ormone dello stress, contribuendo così a equilibrare la produzione ormonale e far sì che la sua efficacia sia massima. L’attività fisica contribuisce anche ad abbassare la resistenza all’insulina e a migliorare l’utilizzo dello zucchero da parte dei muscoli e del cervello”.

Attenzione alla dipendenza

Come al solito, anche per fare attività fisica, non bisogna esagerare. E bisogna evitare di ritrovarsi completamente a terra dopo il running o ancora sentirsi in una sorta di astinenza se non si indossano scarpette e maglietta per correre, come Forrest Gump. Insomma: se non riuscite a fare a meno di correre quotidianamente, forse state sviluppando una sorta di dipendenza che può risultare nociva, soprattutto per la psiche.

A mettere in guardia – e non è la prima volta che avviene considerando il diffondersi della passione per la corsa – è una ricerca degli esperti dell’Università norvegese di scienza e Tecnologia apparsa su Frontiers in Psychology. Lo studio, coordinato da Frode Stenseng, parla chiaramente di dipendenza patologica. L’indagine ha preso in esame quasi 230 persone di entrambi i sessi, cui sono stati proposti questionari mirati per valutare le componenti psicologiche e soprattutto la possibile dipendenza dall’esercizio e il suo impatto sul benessere psicologico.

Risultato: da parte di molti “runners” è emerso chiaramente come a fronte della spinta psicologica all’esercizio in alcuni casi di verificano vere e proprie tendenze alla dipendenza dallo sforzo, con impatto importante sulle condizioni psicologiche e fisiche. La sensazione è che se non si affronta con la giusta attenzione lo sforzo fisico, facendolo diventare un corollario irrinunciabile di ogni giornata e non sopportando la sua eventuale mancanza con sintomi di vero e proprio malessere, per molte persone la condizione psicologica può peggiorare. E con essa, ovviamente, anche il rapporto con il mondo.

Esiste uno “sballo” per chi corre

I risultati della ricerca possono illuminare le persone nella comprensione della propria motivazione ed essere utilizzati per ragioni terapeutiche per individui che lottano con un impegno disadattivo nella loro attività. Certo è che sempre di più c’è bisogno di evadere, di fuggire, anche superando la consapevolezza di sé. E la corsa può diventare uno strumento utile per andare via, e non solo in senso figurato, dalla realtà.

Il rischio è che chi si appassiona troppo, al punto di non poter più fare a meno del rapporto quotidiano e stancante con l’asfalto o i sentieri del parco, poi si trovi davvero a non poter fare a meno di queste sensazioni, sviluppando una vera e propria dipendenza patologica. In pratica, si verifica il fenomeno che alcuni esperti hanno definito “sballo” di chi corre, confrontando questa necessità di stancarsi correndo con quanto avviene dopo l’assunzione di sostanze stupefacenti. Si tratta ovviamente di un parallelo poco praticabile, visti gli effetti diametralmente opposti sul fisico di un’attività che può aiutare il benessere in confronto ad un’altra che invece lo danneggia. Ma il tema non va sottovalutato ed esprime la potenza di una possibile dipendenza su cui spesso non si riflette.

Il quadro presenta sintomi curiosi e aspecifici, che difficilmente vengono messi in relazione con l’assenza delle sgambate mattinali o serali. Basti pensare in questo senso alla condizione che ha magistralmente dipinto nel 1974 lo psichiatra William Glasser, ricordando come la dipendenza dalla corsa richieda mesi e mesi d’impegno quotidiano per svilupparsi ma poi, una volta presente, si manifesta in modo repentino non appena ci si ferma. I sintomi più classici di questa condizione sarebbero un dolore di stomaco che si associa a difficoltà digestive e soprattutto l’insonnia, intesa come difficoltà a cadere tra le braccia di Morfeo o a mantenere il riposo notturno per il tempo necessario.

Non solo sport, come prevenire gli squilibri ormonali

Gli ormoni sono i “registi” della nostra salute e regolano tutto quello che accade nel nostro organismo. Queste sostanze chimiche, prodotte dalle ghiandole endocrine, agiscono come messaggeri che, viaggiando nel circolo sanguigno, portano informazioni per regolare e coordinare le funzioni dei vari organi: sonno, fame, temperatura corporea, metabolismo, desiderio sessuale, tono dell’umore, crescita e sviluppo.

Dagli estrogeni al testosterone, dall’insulina all’ormone della crescita, nel nostro organismo circolano più di 50 ormoni le cui variazioni possono fare da apripista a moltissime patologie. Il 30% delle malattie croniche e 1 tumore su 4 dipendono infatti da squilibri ormonali. I livelli degli ormoni oscillano non solo in base all’età, ma anche in relazione al tipo di alimentazione e ai cattivi stili di vita.

“Conoscere gli ormoni e la loro importanza, ma soprattutto mettere in atto strategie che possono aiutare a prevenire le tante malattie nelle quali c’è una componente ormonale alterata, significa incidere positivamente sulla salute dei cittadini – segnala Diego Ferone, presidente eletto SIE e Direttore Clinica Endocrinologica presso l’IRCCS Policlinico San Martino, Università di Genova. Ridurre il più possibile l’esposizione agli interferenti endocrini contenuti in imballaggi di plastica, cosmetici e giocattoli. Fare in modo che tutti possano avere un adeguato introito di vitamina D, iodio e calcio significa far sì che si prevengano malattie come l’osteoporosi, le patologie tiroidee e alcuni disturbi metabolici, che assieme colpiscono, soltanto in Italia, 3 persone su 10. È altrettanto fondamentale la pratica regolare dell’esercizio fisico così da ridurre l’impatto di malattie a forte componente ormonale come l’obesità, i tumori, il diabete”.