Malattie tropicali neglette, dalla Dengue alla Chikungunya: chi colpiscono e perché vanno controllate

In Italia sono presenti almeno 12 delle 21 patologie e si registrano circa 4mila-5mila casi all'anno, numeri da tenere sotto attenta osservazione come ricordano Aifa e ISS in occasione della Giornata Mondiale

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Federico Mereta

Giornalista scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica. Raccontare la scienza e la salute è la sua passione, perché crede che la conoscenza sia alla base di ogni nostra scelta. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Pubblicato: 28 Gennaio 2025 11:23

Quando si pensa alle infezioni, classicamente il pensiero corre alla malaria, con i casi recenti anche in Italia, alla tubercolosi o all’infezione da virus HIV. Da tempo, infatti queste patologie sono sotto la lente d’ingrandimento dei medici e delle istituzioni sanitarie di tutto il mondo. Più difficile però è riflettere su infezione che da noi erano (è più difficile dire sono, visto che si possono presentare quadri clinici di questo tipo anche alle nostre latitudini) pressoché sconosciute. Stiamo parlando delle malattie tropicali neglette, una sfida che ancora deve essere combattuta in tutto il mondo. A livello globale sono 1,76 miliardi le persone che richiedono interventi sanitari per queste malattie. Per contrastare ed eliminare le NTDs, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha lanciato una roadmap per le malattie tropicali dimenticate per il decennio 2021-2030 nella quale sono definiti gli obiettivi globali per prevenire, controllare ed eradicare queste patologie. Il tutto, con i decessi che si contano a centinaia di migliaia.

Cosa fare? Bisogna occuparsene, mentre si fa davvero poco per contrastarne la diffusione, legata anche a condizioni ambientali (primi tra tutti i cambiamenti climatici) che possono influire sulla presenza dei responsabili di questi quadri anche ad altre latitudini. In occasione della Giornata Mondiale dedicata alle malattie neglette, si è tenuto una sorta di “stato dell’arte che ha visto protagonisti gli esperti dell’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) e dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS). Ecco qualche dato che può aiutare a comprendere il fenomeno. Un fenomeno che va interpretato a letto in un approccio strategico che interconnette la salute umana, animale e ambientale – la cosiddetta ‘salute unica’ o One Health.

A che punto siamo?

In termini generali in questa definizione si definiscono una ventina di gruppi di patologie molto diverse tra loro, sia per i fattori infettivi che le determinano sia per i sintomi clinici e la gravità. Questi quadri possono essere determinati da batteri, protozoi, virus, vermi, miceti. E non si tratta di condizioni esclusivamente concentrate in Paesi lontani da noi. Basti pensare in questo caso alla scabbia, alla leishmaniosi, o a quadri come dengue e chikungunya. Con il mutare progressivo del clima e l’innalzamento delle temperature, con associati fenomeni alluvionali e comunque un protrarsi di umidità e caldo, si assiste allo sviluppo di grandi quantità di zanzare potenzialmente in grado di essere vettori di malattie.

In questo senso occorre prepararsi. Malattie potenzialmente serie, come appunto la dengue o la chikungunya, hanno già dato chiare prove di potersi replicare anche in Italia. L’aumento delle temperature può portare ad un incremento del rischio di vettori, zanzare ma non solo, che possono fare da ponte facilitando le infezioni da virus.
“Ad oggi, passati quattro anni dall’introduzione del piano, i risultati raggiunti sono confortanti, infatti si è raggiunta l’eliminazione di almeno una malattia tropicale negletta in 54 Paesi tra i 100 previsti dalla roadmap e sono oltre 600 milioni le persone che non avranno più necessità di cure, con un significativo risparmio in termini di risorse economiche e sanitarie – segnala Dora Buonfrate, direttrice del Centro collaboratore dell’Oms per la strongiloidosi e le altre malattie tropicali neglette”.

Con gli sforzi attuali è stato quindi possibile ridurre il numero globale di persone che necessitano interventi contro le malattie tropicali neglette del 25% rispetto a quindici anni fa. “Siamo però ancora lontani dal target ottimale fissato dalla roadmap dell’Oms, pari al 90% di riduzione – puntualizza Buonfrate. Raggiungere questo obiettivo è fondamentale soprattutto per diminuire l’impatto della malattia in termini di anni di vita persi a causa della patologia che, ad oggi, è stato possibile ridurre solamente dell’11% contro il 75% auspicato dall’Oms dieci anni fa”.

I numeri di alcune patologie in Italia

Venendo ai numeri, in Italia la dengue ha fatto registrare poco meno di 700 casi, di cui 213 autoctoni. Per la chikungunya invece sono stati ufficialmente 15 i casi registrati, tutti di importazione. Ma non si tratta di una patologia che non si era mai vista da noi, visto che ci sono anche stati casi completamente “originari” del territorio nazionale. Sotto la lente d’ingrandimento ci sono ovviamente gli insetti che possono determinare la trasmissione all’uomo degli agenti patogeni, come zanzare, zecche e flebotomi. In questo senso, pensate solamente alla Leishmaniosi. La malattia è causata da un parassita che viene trasmesso all’uomo da moscerini flebotomi e si presenta in forme diverse nelle varie aree geografiche. Il rischio di leishmaniosi è estremamente diffuso, tanto che le varie forme della malattia sono endemiche in 88 paesi in quattro continenti. La patologia, infatti, può interessare la pelle e gli organi interni: può determinare decessi soprattutto tra i bambini e in molti casi gravi infermità invalidanti. In assenza di una profilassi efficace – ad oggi non esistono vaccini o farmaci preventivi, solo la prevenzione individuale e il controllo della popolazione animale risultano utili per ridurre i rischi di infezione. Ancora. Occorre fare attenzione alla malattia di Chagas: circa 600 sono stati i casi dal 1998 a oggi. E’ causata da un parassita, il tripanosoma americano. Provoca un’infezione cronica, che inizia frequentemente già nei bambini, e può causare nel 30 per cento dei casi un irreversibile danno al cuore, all’esofago, al colon e al sistema nervoso periferico.

Il peso della dengue

“C’è pertanto ancora molto lavoro da fare per diminuire le infezioni e la circolazione delle malattie e per ridurre il pericolo a livello globale – Segnala Federico Gobbi, direttore del dipartimento di malattie infettive e tropicali dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar (Verona) e professore associato di malattie infettive all’Università di Brescia. È innegabile che per raggiungere quanto fissato dall’Oms la comunità mondiale debba impegnarsi in uno sforzo collettivo, finalizzato a sviluppare metodologie diagnostiche da poter utilizzare sul campo in zone dove il sistema sanitario è quasi inesiste e per scoprire farmaci e vaccini. Si deve ragionare in termini di salute globale – puntualizza -. Curare chi è più lontano significa prevenire le malattie di chi ci sta accanto, considerando che viviamo in un mondo in cui la salute dell’uomo, degli animali e dell’ambiente sono sempre più interconnesse. Occorre perciò continuare a monitorare da vicino il loro andamento, perché cambiamenti climatici, viaggi e migrazioni portano le NTDs fuori dai loro confini tradizionali e creano quindi potenziali focolai di trasmissione in aree precedentemente non interessate. Un esempio è la Dengue, che negli ultimi anni ha causato delle epidemie, per fortuna ancora limitate, anche in Italia, con record di casi nel 2024”.

La Dengue è una malattia infettiva, non trasmissibile da uomo a uomo, ma attraverso la zanzara tigre, che è presente in Italia dal 1990. Asintomatica in più del 50% dei casi, può manifestarsi con sintomi simili a quelli dell’influenza, febbre alta, mal di testa, dolori dietro agli occhi e soprattutto forti dolori ai muscoli, caratteristica per cui la Dengue è conosciuta come “febbre spaccaossa”. In una minima percentuale può evolversi in febbre emorragica, con perdita di sangue da diversi organi, e può avere esiti anche letali. Non esiste terapia farmacologica specifica e il vaccino, introdotto in commercio nel 2023, è indicato solo per i viaggiatori che si recano spesso in zone endemiche o dove è presente un’epidemia. La scorsa estate ha segnato il record nel nostro Paese di casi di Dengue a trasmissione autoctona: 213 che si vanno ad associare ai 474 casi d’importazione. Significativo è stato il focolaio localizzato a Fano, nelle Marche, con 133 persone infette, tutte sintomatiche e con identificazione del virus Dengue. Un altro focolaio, di dimensioni più contenute, 35 casi dello stesso virus, è stato inoltre individuato in un comune della Regione Emilia-Romagna. In Lombardia sono stati invece confermati 10 casi, mentre in Abruzzo è stato segnalato un focolaio con 8 casi.

“In Italia nei prossimi anni assisteremo molto probabilmente a epidemie sempre più importanti di Dengue complice l’innalzamento della temperatura che favorisce la sopravvivenza e la proliferazione della zanzara vettore della malattia – conclude Gobbi. Ma dobbiamo prepararci a epidemie autoctone anche di chikungunya e di altre malattie tropicali neglette”.

Il curioso caso della febbre Oropouche

Nell’ambito delle malattie neglette, la febbre Oropouche è una infezione tropicale causata dall’omonimo virus (OROV), scoperto nel 1955 nel sangue di un lavoratore forestale di Trinidad e Tobago, vicino al fiume Oropouche. Si tratta di un patogeno diffuso normalmente nella regione amazzonica e trasmesso all’uomo dalle punture di insetti: in particolare il culicoides paraensis, un moscerino diffuso in tutto il continente americano, dagli Stati Uniti sino all’Argentina, e la zanzara culex quinquefasciatus. I sintomi della febbre si manifestano di solito dopo 3-8 giorni dalla puntura dell’insetto vettore, e sono in gran parte sovrapponibili a quelli di altre febbri virali tropicali come dengue, Zika o chikungunya: febbre alta (oltre i 39 gradi) accompagnata da mal di testa, dolore retrorbitale, malessere generale, dolore alle articolazioni, nausea e vomito. Sono stati inoltre registrati sporadici casi di interessamento del sistema nervoso centrale, come meningite ed encefalite. Nel 60% circa dei casi dopo la prima fase acuta i sintomi si ripresentano, in forma meno grave: di solito da due a dieci giorni, ma anche dopo un mese dalla prima comparsa”.

L’aggiornamento recentemente pubblicato per le Americhe dell’Organizzazione Mondiale della Sanità riporta che dall’inizio dell’anno ai primi giorni di settembre sono stati registrati quasi 10.000 casi in otto Paesi: Bolivia, Brasile, Canada, Colombia, Repubblica Dominicana, Cuba, Perù, USA, e due decessi confermati, tutti in Brasile, dove è stato riscontrato anche un caso di encefalite e diversi casi di trasmissione del virus durante la gravidanza: morti fetali, anomalie congenite del neonato, aborti spontanei.