Sanità, quanto pesa l’invecchiamento della popolazione sul Servizio Sanitario Nazionale

Il processo di invecchiamento della popolazione ha trasformato la struttura demografica dell’Italia con effetti rilevanti anche sulla spesa sanitaria. Sono ampie le differenze di spesa in prevenzione tra le varie Regioni

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Federico Mereta

Giornalista scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica. Raccontare la scienza e la salute è la sua passione, perché crede che la conoscenza sia alla base di ogni nostra scelta. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Pubblicato: 8 Novembre 2024 16:59

L’Italia invecchia. Con una curva demografica che fa riflettere e nuove sfide economiche da tenere sotto controllo. E’ su questi punti, e soprattutto sulla correlazione tra benessere delle persone e produttività, che si sono concentrati alcuni esperti presenti a Roma in occasione del Forum Meridiano Sanità “Health for all Policies: verso una nuova visione strategica del sistema sanitario per la crescita del Paese”. Tra gli approcci ipotizzati per migliorare la situazione e sostenere la crescita nel lungo periodo si è puntata l’attenzione sulle attività di prevenzione e sull’adozione rapida delle innovazioni in campo scientifico e tecnologico.

Come è cambiata la demografia e quanto pesa sul SSN Nazionale

Negli ultimi 50 anni, il processo di invecchiamento della popolazione ha trasformato la struttura demografica dell’Italia traslando la piramide demografica verso le fasce d’età più anziane, con effetti rilevanti non solo sulla spesa sanitaria ma anche sulla forza lavoro disponibile. Le previsioni indicano per il 2040 un gap di 3,4 milioni di lavoratori.

La proposta che emerge dal Forum è di affrontare con urgenza il tema della sostenibilità nel tempo del finanziamento del SSN in maniera integrata, lavorando congiuntamente su più dimensioni. Cosa fare? Le indicazioni parlano di politiche per incentivare la natalità, politiche per promuovere la partecipazione al mercato del lavoro (in primis skill mismatch, donne e giovani) e aumentare l’attrattività del nostro Paese per attirare capitale umano dall’estero. Con una particolare attenzione, in questo senso, al favorire il rientro dei “cervelli soprattutto nei settori chiave come può essere quello delle life sciences”.

Alla transizione demografica, si aggiungono nuove sfide, tra cui non solo le difficoltà economiche – sono 2,2 milioni le famiglie e 5,7 milioni gli individui in povertà assoluta – ma anche l’aumento delle difformità territoriali, l’incertezza lavorativa, il crescente disagio mentale, il cambiamento climatico e l’aumento delle difformità territoriali – in Italia esiste un divario di 3 anni tra la Regione con l’aspettativa di vita alla nascita maggiore e quella minore.

Come stanno gli italiani

Gli italiani vivono sempre più a lungo ma gli anni vissuti in cattiva salute sono aumentati passando da quasi 11 anni nel 2004 al quasi 16 nel 2023, a causa di una elevata prevalenza di patologie ad alto impatto causate da una molteplicità di fattori di rischio a partire da sedentarietà, obesità, fumo. Le malattie non trasmissibili, insieme a quelle infettive, sono responsabili di oltre 19,5 milioni di DALY (sostanzialmente l’attesa di vita corretta per disabilità, quindi un indice di gravità globale di una patologia) di cui il 40% riguarda la popolazione in età lavorativa, con un impatto maggiore sulle donne, che si traduce in una perdita di produttività di 97 miliardi di euro, pari al 4,6% del PIL italiano.

Cosa si può fare

Dal Forum emerge una visione chiara sul futuro. Una strategia di intervento sui fattori di rischio, sulle vaccinazioni e sugli screening, oltre a migliorare in maniera significativa la salute dei cittadini, contribuirebbe alla sostenibilità del SSN, con costi evitati pari a circa 544 miliardi di euro in 10 anni.
Il valore emerge dalla somma dei costi diretti e indiretti evitati grazie al miglioramento dei fattori di rischio (fumo, alcol, sedentarietà, cattiva alimentazione), alla riduzione dell’incidenza delle malattie prevenibili attraverso la vaccinazione (anti-HPV negli adolescenti e anti-pneumococco, anti-Herpes Zoster e antinfluenzale negli over 65 e nei pazienti oncologici) e alla diagnosi precoce attraverso i programmi di screening oncologici (mammella, cervice uterina e colon-retto).

Il valore della prevenzione

Secondo Valerio De Molli, Managing Partner e CEO di The European House – Ambrosetti e TEHA Group, occorre una visione globale.
“È chiaro che investire nella salute della popolazione è una necessità, non solo per garantire il benessere dei cittadini e della collettività, ma anche per migliorare la produttività e accelerare la crescita economica del Paese”,  ha spiegato l’esperto.
Occorre quindi puntare sulla prevenzione sanitaria, puntando su stili di vita sani, immunizzazione e campagne di screening.
“Si tratta di strumenti fondamentali per migliorare le condizioni di salute e contenere i costi futuri per il sistema sanitario e di welfare, e contribuire alla riduzione delle difformità territoriali – è il parere di De Molli. Accanto al miglioramento della buona salute e al rafforzamento del SSN, obiettivi al centro dell’agenda della sanità, per aumentare la produttività è necessario anche agire sulla politica industriale, puntando su settori strategici come il farmaceutico”.
Per tornare a crescere il Paese ha bisogno di puntare su settori strategici caratterizzati da un’alta intensità di R&S, elevati moltiplicatori dell’attività economica, una maggiore dimensione aziendale, occupazione altamente qualificata.

L’importanza del settore farmaceutico

Con un valore aggiunto per addetto e investimenti in produzione per addetto doppi rispetto alla manifattura e investimenti in R&S per addetto pari a 8 volte quello manifatturiero, il farmaceutico rappresenta un volano di crescita, innovazione e produttività che si inserisce in un ecosistema della Salute fortemente dinamico. Occorre però lavorare per aumentare l’attrattività del Paese, semplificando la normativa e introducendo meccanismi di premialità anche come compensazione degli effetti del payback per le imprese che investono in Italia nel sistema produttivo e della ricerca.

L’impegno nella ricerca e sviluppo riflette la vocazione all’innovazione che caratterizza il settore farmaceutico a livello globale: nel 2024 sono oltre 22.800 i farmaci in sviluppo (+7,2% rispetto al 2023). Con riferimento al 2023, l’Italia è al 2° posto dopo la Germania in termini di numero di farmaci resi accessibili ai pazienti sul territorio nazionale sul totale dei farmaci approvati a livello europeo (129 su 167 farmaci complessivi) e, tra i principali Paesi Europei, al 3° per il tempo medio di accesso (424 giorni tra l’approvazione del farmaco a livello europeo e la rimborsabilità a livello nazionale), dopo Germania e Inghilterra, in progressivo miglioramento.

Alla rimborsabilità a livello nazionale, segue la fase di accesso regionale, valutata da Meridiano Sanità secondo 3 dimensioni:

  • il tempo di accesso ai farmaci (tempo che va dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della determina di riclassificazione / regime di Prezzo & Rimborso al 1° acquisto a livello regionale da parte di almeno una struttura sanitaria)
  • la disponibilità dei farmaci stessi (numero dei farmaci per cui è stato rilevato almeno un consumo a livello regionale sul totale dei farmaci)
  • l’utilizzo effettivo dei farmaci acquistati dalle strutture del SSN.

Su un campione di partenza rappresentato dai 61 farmaci contenenti nuove sostanze attive che hanno ricevuto il parere positivo di EMA nel corso del 2021 per la 1a indicazione terapeutica, ne sono stati selezionati 38 tra quelli rimborsabili e per i quali si è registrata una vendita in almeno una Regione o P.A. Per questi farmaci, siano essi orfani o non orfani o valutati come innovativi da AIFA si rilevano notevoli difformità regionali in termini di accesso per i pazienti.
Il tempo mediano di accesso (pari a 3,7 mesi per i farmaci orfani non innovativi, a 4,1 mesi per i farmaci innovativi e a 5,6 mesi per i farmaci non orfani non innovativi) presenta un gap temporale superiore ai 6 mesi tra la Regione più rapida e quella più lenta nel rendere disponibile il farmaco.

Per quanto riguarda la disponibilità, nessuna Regione ha acquistato, e quindi reso disponibili, tutti i farmaci oggetto dell’analisi (la disponibilità è pari al 63% per i farmaci non orfani non innovativi, al 57% per gli orfani non innovativi e al 52% per gli innovativi).

Sull’utilizzo effettivo dei farmaci, la Regione che utilizza di più i farmaci presenta consumi più di 2 volte superiori a quella che ne consuma meno. Dai dati emergono significative differenze regionali derivanti da sistemi di accesso regionale differenti che generano difformità nei tempi e nell’equità di accesso da parte dei pazienti alle terapie, specialmente in favore di quelle più innovative.