Il cambio di regime in Siria ha decisamente cambiato le carte in tavola per la Russia. Non solo per la sua proiezione in Medio Oriente e in Africa, ma anche per la guerra ancora in corso in Ucraina. Il caos siriano ha senz’altro indebolito la posizione di Mosca, che assieme alle basi militari perde anche prestigio e slancio di potenza.
Se dal punto di vista tattico il Cremlino sta vincendo il conflitto ucraino, lo sta invece miseramente perdendo sul piano strategico. E la caduta di Assad potrebbe pesare in questo senso, finendo sul tavolo delle trattative che i russi intraprenderanno con gli americani, lasciando gli ucraini in piedi dietro le sedie.
Gli effetti del caos siriano sulla Russia
Che i due conflitti fossero intimamente collegati l’avevamo già sottolineato, e ora rischiano di esserlo anche i rispettivi negoziati. Con una netta sproporzione per la contesa ucraina, perché ha chiamato in causa l’Europa a guida americana e perché ha certificato la frattura tra Russia e Occidente. Cosa c’entra allora la Siria? La Russia aveva approfittato dell’instabilità del Paese seguita all’improbabile primavera araba, sostenendo il regime della dinastia Assad e garantendosi il primato securitario e militare. Da lì sarebbe partita ogni direttrice d’influenza verso il resto del Medio Oriente e verso i Paesi africani come Libia, Sudan, Burkina-Faso e Repubblica Centrafricana. La Siria dunque come prisma attraverso il quale irradiare l’influenza del Cremlino verso l’equatore e oltre, profittando della stanchezza imperiale degli Stati Uniti e della crisi delle vecchie potenze coloniali europee.
Ma la Siria non è soltanto questo. Per la Russia, il Paese finito in mano agli islamisti anti-Assad rappresenta da anni il rubinetto principale del jihadismo, dell’indipendentismo e dell’anti-statalismo proveniente da Sud e diretto verso il Caucaso. Rubinetto da tenere ben chiuso e, va senza dire, da controllare. Come l’Ucraina, anche il Caucaso è cuscinetto strategico imprescindibile per Mosca, che nell’arco di secoli e guerre sanguinose è riuscito a prendersi un territorio ulteriore nel quale difendersi dai nemici lontano dal cuore della nazione. Con l’Azerbaigian a fare la voce grossa e l’Armenia piccola sorella abbandonata a se stessa, la Russia fatica non poco a tenere sotto lo schiaffo l’esuberante e instabile Georgia.
Come hanno tristemente insegnato le guerre di Cecenia degli Anni Novanta, le derive islamiste possono colpire al cuore l’impero che fu degli zar e che oggi è guidato da Vladimir Putin. Ciscaucasia e Transcaucasia sono di fatto terre di nessuno attraverso le quali transitano miliziani, armi e tensione. Col preciso intento di minare la presa russa sul ponte tra Asia ed Europa. Un ventre molle che, come previsto, sarebbe stato colpito dalle mosse occidentali per indebolire la posizione di Mosca, prima dei negoziati che ormai si prospettano imminenti.
Verso i negoziati per la guerra in Ucraina
Nei mesi che corrono verso l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca e agli inevitabili e temporanei negoziati per un conflitto che non si estinguerà mai, la Russia tenta un’accelerazione delle ostilità. Si tratta di una prassi consolidata, tramite la quale le parti in conflitto tentano di ottenere il massimo vantaggio possibile sul terreno prima di dare il via ai colloqui. Mosca agisce in questo modo però anche a ragion veduta, a causa proprio della perdita di peso in Siria.
Le difficoltà russe sono legate anche al difficile momento dell’Iran, alleato di comodo uscito malconcio allo stesso modo dallo sconvolgimento mediorientale. Putin punterà dunque tutto sul vantaggio tattico sul campo ucraino e sulle tensioni interne all’Ue e tra Stati europei e Usa. Vedremo quale sarà il peso specifico dei vari dossier, a partire proprio dalla Siria.