La guerra in Ucraina compie mille giorni. E con ogni probabilità non ne vedrà altri mille. O almeno non a questo ritmo di logoramento che, da quasi tre anni, sta consumando gioventù e risorse degli schieramenti opposti. Il fattore tempo avvantaggia la Russia, potenza industriale e demografica che però conta sugli imminenti negoziati per tirare il fiato e ottenere ciò che vuole.
Le minacce di guerra atomica lanciate ancora una volta dal Cremlino – che intanto ha modificato la propria dottrina nucleare – fanno tremare il mondo. Kiev, da parte sua, ha lanciato il primo attacco con missili americani nelle profondità del territorio russo. Una miccia che rischia di accendere l’apocalisse, ma che più verosimilmente squillerà la tromba dell’avanzata russa nel Donbass prima dell’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca. Evento percepito come cambio di rotta del conflitto e delle relazioni, ma che di fatto si tramuterà nell’espediente per una tregua necessaria e fragile.
A che punto siamo
Per l’Ucraina la realtà attuale del conflitto è spietata: le poche e stanche truppe sono impegnate a combattere su più fronti, mentre Kiev assediata da frequenti attacchi di droni e missili e i funzionari che si preparano alla riconquista della Casa Bianca da parte di Donald Trump a gennaio. Per dare una spinta al Paese assediato, l’amministrazione guidata da Joe Biden ha dato il via libera all’uso dei missili Atacms contro obiettivi situati più in profondità all’interno della Russia, limitando potenzialmente le sue possibilità di lanciare attacchi e rifornire il fronte. Un cambiamento di rotta radicale lanciato proprio perché potrebbe essere invertito con l’avvento del tycoon, che tuttavia non riuscirà da solo a cambiare il corso di una guerra che dura ormai da tre anni.
Migliaia di cittadini ucraini sono morti, oltre 6 milioni vivono come rifugiati all’estero e la popolazione è diminuita di un quarto (oggi sono circa 29 milioni) da quando Vladimir Putin ha ordinato l’invasione via terra, mare e aria, dando inizio al più grande conflitto in Europa dall’epoca della Seconda guerra mondiale. Le perdite militari sono state catastrofiche, nonostante l’intelligence lavori per non lasciar trapelare numeri e informazioni top secret. L’orrore della guerra ha travolto famiglie in ogni angolo dell’Ucraina, dove i funerali militari sono all’ordine del giorno nelle grandi città e nei villaggi più remoti e le persone sono stremate dalle notti rese insonni dalle sirene antiaeree e dall’angoscia di essere i prossimi.
Ucraina contro Russia, la situazione sul terreno
Sul campo di battaglia, l’attuale fase del conflitto vede il martellamento russo tramite droni e missili su grandi città e siti energetici ucraini, e simultaneamente una massiccia offensiva nel Donetsk in direzione Pokrovsk. In particolare le forze di Mosca conducono operazioni offensive parallele per conquistare il centro nevralgico che hanno nel mirino dalla primavera scorsa, optando per uno sfondamento su Selydove e il livellamento della linea del fronte da Pokrovsk a Yasna Polyan. Il prossimo obiettivo tattico è far crollare il saliente ucraino a ovest della città di Donetsk e creare le condizioni per future e più significative conquiste territoriali nel Donbass. Le forze del Cremlino avanzano lente ma inesorabili verso Pokrovsk e Kurakhove da marzo 2024, ma devono ancora fare progressi significativi operativi in entrambe le direzioni. Secondo l’Institute for the Study of War, l’avanzamento russo verso questi due centri ucraini rappresentano soltanto una fase e, anche in caso di successo, non comporteranno l’immediato collasso della linea di difesa ucraina. Sul campo, insomma, vittoria e sconfitta sono lontane e difficilmente configurabili.
Con l’arrivo dell’inverno, Mosca ha rinnovato i suoi attacchi aerei contro il sistema energetico ucraino, già in estrema difficoltà. Il 17 novembre i russi hanno lanciato 120 missili e 90 droni nel più grande bombardamento aereo registrato da agosto. Oltre all’autorizzazione degli Stati Uniti a colpire obiettivi militari all’interno della Russia con armi occidentali, per Kiev restano essenziali anche gli aiuti finanziari e militari esterni. Nonostante due anni consecutivi di crescita moderata, l’economia ucraina è ancora solo al 78% delle dimensioni che aveva prima dell’invasione, che ha visto il Pil contrarsi di almeno un terzo nel 2022. Le industrie ucraine dell’acciaio e dei cereali, un tempo giganti, sono state spinte sull’orlo del baratro.
Mosca e Kiev devono fare i conti con tempo e risorse
Il conto alla rovescia va molto di moda, ma per la guerra d’Ucraina diventa una cosa seria. Il tempo avvantaggia la Russia, e lo abbiamo detto. Ma, a differenza di ciò che si possa pensare, la potenza industriale di Mosca non se la passa bene al punto da prolungare ancora un anno i combattimenti. Soprattutto se adesso il nemico lancia missili in profondità e i veri avversari per procura, gli Stati Uniti, sono a un bivio decisivo. Il Cremlino deve fare i conti con i propri limiti produttivi e con le forniture da parte dei suoi alleati non industrializzati, Iran e Corea del Nord, ai quali invece assicura tecnologia e materiali. Il grande cooperante industrializzato, la Cina, fornisce invece a Mosca soltanto componentistica dietro pagamento. In altre parole: la Russia può di fatto contare “qui e ora” sul materiale bellico di origine sovietica, coperto di polvere nei depositi e da rimettere in funzione in brevissimo tempo.
Dall’altra parte della barricata, l’Ucraina deve fare i conti con le nettamente minori risorse demografiche. La mobilitazione generale, lo stato di guerra e l’arruolamento coatto di migliaia di cittadini rappresentano una miccia sociale interna pronta a esplodere. Anche per quanto riguarda le risorse materiali le cose non vanno meglio. Kiev dipende dagli aiuti occidentali, che sono comunque in gran parte a pagamento, e da una fragile produzione interna sostenuta dagli Stati europei che, con l’avvento di Trump, si preparano a sobbarcarsi l’intero peso del supporto al Paese invaso. Al ritmo attuale, secondo una previsione a spanne, sia le risorse russe sia quelle ucraine arriverebbero a un punto di non ritorno nell’ambito del 2025. Tradotto: almeno uno dei due schieramenti terminerà il suo potenziale bellico e non sarà più in grado di condurre una guerra di questa portata. Si giungerà dunque all’esaurimento militare del conflitto, col conseguente congelamento del fronte. Ed è a questo punto che subentra l’incognita dei negoziati e l’azione diplomatica di attori esterni come gli Usa.
Ci saranno negoziati di pace nel 2025?
Come avevamo già anticipato, il conflitto non sarebbe finito nel 2024. Ma nel 2025 i due schieramenti potrebbero giungere a un accordo che cessi momentaneamente le ostilità. Badate: momentaneamente. Perché la contesa fra Russia e Ucraina e, più in generale, fra Russia e Occidente è inestinguibile. L’Europa è da quasi un secolo il premio economicistico dello scontro fra superpotenze. Con la fine della Guerra Fredda, di superpotenza ne è rimasta solo una, con le altre impegnate nella corsa a tornare grandi abbastanza da minacciare l’egemonia globale degli Stati Uniti. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, la nascente Federazione Russa è entrata nel mercato globale approntato dagli americani per rafforzarsi e sferrare la sua vendetta. Dopo essersi affiliata a un consorzio di cooperazione con Cina e Iran, avversari ma alleati di comodo contro gli Usa, Mosca è tornata ad alzare la testa e a sfidare l’ordine mondiale statunitense.
Il ritorno di Trump alla Casa Bianca, che ha promesso di porre fine ai combattimenti in tempi rapidi (senza però specificare come), mette in discussione il futuro degli aiuti militari statunitensi e del fronte unito occidentale contro Putin, e di conseguenza solleva la prospettiva di colloqui per porre fine alle ostilità. E qui bisogna specificare una verità che non molti sembrano ricordare: la prospettiva dei negoziati promuove l’escalation. Da sempre e in ogni guerra. Chi può, vuole raggiungere il massimo vantaggio sul terreno prima di sedersi al tavolo. L’Ucraina si è lanciata anima e corpo nell’incursione nella regione russa di Kursk, ininfluente militarmente ma significativa dal punto di vista simbolico, mentre la Russia ha continuato a far piovere sul nemico droni, proiettili d’artiglieria e missili balistici. Schierando inoltre 11mila soldati nordcoreani, che secondo alcuni analisti potrebbero diventare anche 100mila.
Volodymyr Zelensky ha dichiarato che l’Ucraina deve fare del suo meglio per porre fine alla guerra nel 2025 tramite mezzi diplomatici. Il presidente ucraino ha però categoricamente bloccato ogni discorso su un cessate il fuoco prima che vengano fornite all’Ucraina le dovute garanzie di sicurezza. Per contro, gli obiettivi di guerra della Russia restano invariati da quando Putin ha dichiarato a giugno che Kiev deve abbandonare ogni ambizione di ingresso nella Nato e ritirarsi dalle quattro regioni annesse unilateralmente. Tradotto: l’Ucraina deve accettare la capitolazione.
In questi giorni un mare di piccole bandiere ucraine in onore dei caduti occupa un angolo di Piazza dell’Indipendenza di Kiev, un tempo cuore pulsante delle proteste di massa filo-europee che nel 2014 rovesciarono l’allora presidente ucraino sostenuto da Mosca. La Russia rispose alle proteste occupando la Crimea e sostenendo un’insurrezione paramilitare nel Donbass che portò alla morte di oltre 14mila persone prima che due serie di colloqui, i cosiddetti Accordi di Minsk, interrompessero (per poco) i combattimenti. Un terzo capitolo degli Accordi di Minsk pare impossibile, soprattutto per volontà russa. L’Ucraina rappresenta il cuscinetto strategico in cui la Russia difende il cuore della propria nazione, secondo il principio della profondità difensiva. Verosimilmente si arriverà a un accordo, in forza della retorica e vuota vicinanza fra Putin e Trump, ma la contesa esistenziale resterà intatta. E, con essa, la guerra.