Guerra Ucraina, cosa vuol dire che Zelensky “si arrende” e che Putin apre alla pace

Il presidente ucraino ammette che l'Ucraina non ha la forza per liberare Crimea e Donbass dall'occupazione russa. Ma non vuol dire quel che sembra. Anche Putin si dice pronto a negoziati con Zelensky, ma non vuol dire quel che sembra. Ma allora, cosa vogliono dire?

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Pubblicato: 19 Dicembre 2024 16:45

La guerra in Ucraina si sta avvitando su se stessa, facendo scivolare le parti coinvolte nella spirale che conduce ai negoziati. Nei primi mesi del 2025 andrà in scena una tregua fragile e posticcia, ma intanto il presidente Zelensky ammette che il Paese non è in grado di riprendersi Crimea e Donbass. Contemporaneamente, Putin apre a trattative di pace, ma solo con “legittime autorità ucraine. Perfino Zelensky, se così sarà deciso da elezioni democratiche”.

Noi lo avevamo anticipato settimane fa: l’Ucraina non ha la forza di cacciare i russi dal proprio territorio e il presidente Zelensky lo aveva già detto in altre occasioni senza giri di parole. Quella che tuttavia pare una “resa” è in realtà un calcolo combinato con le potenze che si fronteggiano davvero in Ucraina, e cioè Stati Uniti e Russia.

Cosa ha detto davvero Zelensky su Crimea e Donbass: questione di avverbi

La lingua russa è di una ricchezza incredibile, così come le lingue che da essa derivano come l’ucraino. Questa premessa pomposa vuol evidenziare quanto sia inevitabile che la maggior parte delle traduzioni in italiano semplifichino il contenuto che da Kiev e Mosca vorrebbero comunicare. Nel caso dell’ultima dichiarazione di Volodymyr Zelensky finita su tutti i media del mondo, dobbiamo però constatare che non siamo lontani dal significato letterale. Ma questo va contestualizzato, proprio come lo ha contestualizzato lo stesso presidente ucraino. Ci scusiamo se il discorso sembrerà una dissertazione linguistica, ma riteniamo sia necessario per comprendere al meglio cosa sta davvero mettendo sul piatto l’Ucraina.

Senza farla troppo lunga, le parole del presidente ucraino sono state пока нет сил (“poka net sil”, cioè “non [ha] ancora la forza”), dove evidentemente “ancora” fa tutta la differenza del mondo. Kiev spera ancora nel rinnovo del supporto statunitense, che è giunto sul tramonto della presidenza di Joe Biden – con nuovi miliardi stanziati e col permesso di colpire in terra russa con armi a lungo raggio – ma che con Donald Trump alla Casa Bianca sarà trasferito quasi del tutto sulle spalle degli Stati Ue. Zelensky ha però detto anche altro, ad esempio che la Russia controlla soltanto “fisicamente” (физически, “fizicheski”) la Crimea e il Donbass, senza peraltro distinguere tra Donetsk e Lugansk. L’obiettivo è dunque proprio l’opposto da quanto interpretato da vari analisti: Zelensky vuole allontanare ogni parvenza di resa a Mosca. Pura retorica, certo, ma nei negoziati come nella guerra la retorica è una parte importante del gioco.

A confermare la linea di Zelensky è anche un altro avverbio, Юридически (“yuridicheski”), cioè “legalmente”. Il presidente ucraino lo utilizza dicendo che “legalmente, non possiamo rinunciare ai nostri territori. Ciò è proibito dalla Costituzione ucraina. Ma fisicamente, a cosa servono queste parole grosse? Se oggi fisicamente i russi controllano una parte dei nostri territori, allora purtroppo la controllano. Non noi. E se non avremo la forza di riconquistare tutti i nostri territori, allora l’Occidente potrebbe trovare la forza per mettere Vladimir Putin al suo posto e affrontare questa guerra diplomaticamente”. Ed ecco il terzo avverbio importante, дипломатично (“diplomatichno”, cioè “diplomaticamente”). Zelensky l’aveva pronunciato anche a novembre, proprio per descrivere i negoziati sulla Crimea. E ora ha spinto nuovamente il grande patron, gli Stati Uniti, e il grande sponsor, l’Ue, ad apparecchiare una pace giusta. Fiutando la stanchezza americana e l’insofferenza europea. E sempre più cosciente che i russi vogliono trattare soltanto con gli statunitensi, e non con gli ucraini. O forse no?

Anche Putin apre alla pace, ma sarà vero? E perché ora?

Dopo il caos nella strategica Siria, la Russia ha deciso di concentrarsi con rinnovata forza sulla guerra in Ucraina, puntando alla conquista del cruciale snodo di Pokrovsk, nel Donetsk. Ma le batoste sono state diverse e ravvicinate, e il Mosca deve guardarsi un attimo intorno. Senza trascurare la propaganda che vorrebbe il Cremlino baluardo libertario contro l’imperialismo americano, che è destinato a fagocitare il mondo intero se Mosca dovesse perdere. La prossima presidenza Trump offre a Putin l’occasione di tirare il fiato e ricalibrare le forze, nel più ampio ambito dell’incontro-scontro con la Cina e in vista di una più serrata competizione nell’Artico. Ecco perché il presidente russo ha ufficialmente aperto a una pace “duratura” (le serve tempo, per l’appunto), dicendosi disposto a sedersi al tavolo dei negoziati anche con la controparte ucraina, anche se sempre accomodata dietro le sedie degli americani.

Nel solco di questa retorica, Putin ha dichiarato di essere pronto a firmare accordi di pace “con qualsiasi autorità legittima in Ucraina, persino con Zelensky”. La parola легитимным лидером (“legitimnym liderom”, cioè “leader legittimo” o “autorità legittima”) è cruciale, perché il presidente russo va ancora una volta a colpire Zelensky nella sua ipocrisia politica: grida di combattere per la democrazia e la libertà, ma ha di fatto impedito le elezioni utilizzando come pretesto lo stato di guerra. Ne consegue che, secondo il Cremlino, l’attuale leadership ucraina non è legittima. Ecco quindi lo svolgimento ulteriore: “La Russia è pronta a firmare un accordo solo con le autorità legittime ed è pronta al dialogo con chiunque voglia andare alle urne e ottenere legittimità. E la Rada (il Parlamento ucraino) e il presidente della Rada sono legittimi”. Quasi a suggerire ai protettori occidentali di convincere Zelensky, demonizzato in terra russa, a fare un passo indietro in favore di altre autorità ucraine già pronte a prenderne il posto.

L’intento primario dello “zar” è senza dubbio rilanciare la sua autorità e la sua popolarità in patria. Tantissimi russi non lo considerano con favore, ma guardano a lui come l’uomo forte di cui il sistema di potere russo necessita per costituzione, antropologica più che politologica. La prospettiva di diventare un socio di minoranza dell’emergente superpotenza cinese, poi, agita il sonno dell’intera Federazione. Putin ha messo a nudo gli obiettivi russi in maniera così schietta in un’occasione particolare che capita una volta l’anno: la “linea diretta” coi cittadini russi. Mostrandosi umano, come quando ha affermato di “aver dimenticato come si ride negli ultimi tre anni” o di essersi sacrificato fisicamente, senza dormire per notti, per il bene del Paese.

Ucraina e Russia sono davvero vicine a una tregua?

Gli aiuti militari hanno da mesi ormai il solo scopo di non far collassare del tutto la resistenza ucraina, puntando sul fatto che anche Mosca non versa nelle migliori condizioni. Se da un lato Kiev “non può legalmente riconoscere come russo nessun territorio ucraino occupato”, dall’altro potrebbe essere spinta dagli Usa alle tanto discusse concessioni territoriali come base per i colloqui di pace. In particolare l’elezione di Trump ha suscitato il timore che il Paese invaso possa essere spinto al tavolo delle trattative dietro la minaccia del ritiro degli aiuti statunitensi. Ancora più importante è però la contesa con la Russia. L’Ucraina vuole decidere legittimamente del proprio destino, mentre Mosca non può accettarne l’ingresso nella sfera occidentale a guida americana. Kiev vuole entrare nella Nato più che nel’Ue, Mosca non può permetterlo. Si tratta di una condizione inderogabile nell’ambito di un conflitto esistenziale per il Cremlino, una cui sconfitta all’estero porterebbe – come ci ricorda la storia – al cambio di regime a uno sconvolgimento rivoluzionario che affosserebbe la Federazione.

Se tregua sarà, nei primi mesi del 2025, sarà una tregua fragile e posticcia proprio perché le posizioni dei due contendenti sono inconciliabili. La Russia vuole un’Ucraina neutrale, possibilmente filo-russa, in quanto cuscinetto strategico nel quale difendersi lontano dal cuore della nazione. L’Ucraina nazionalista fomentata dagli Usa vuole chiudere con la Russia, ma c’è anche una parte che non è convinta di cosa troverà alla periferia dell’Occidente. Ne consegue che le rispettive proposte di pace resteranno di fatto lettera morta. Su QuiFinanza avevamo interpretato il cambio di postura ucraino, dalla resistenza a oltranza alla resilienza, già in occasione della riformulazione del piano di pace di Zelensky. Una tappa che ha portato alla situazione odierne.

Il presidente ucraino, da parte sua, si oppone all’idea di conflitto congelato perseguita finora da Usa e Russia. L’apertura a cedere anche territori del Donbass a Mosca serve a prendere tempo, senza però sacrificare i pochi e stanchi soldati rimasti nelle fila di Kiev. Il fatto che il termine Donbass sia vago (quello attualmente libero? Donetsk o Lugansk? Quello libero nel 2014?) offre a Zelensky uno spiraglio: piegarsi a un accordo transitorio per poi magari riaprire la questione col Cremlino tra qualche anno, confidando in un cambio di regime. Ma anche senza Putin, la Russia non muterà le proprie esigenze strategiche.