Pace solo a queste condizioni: cosa vogliono davvero Russia e Ucraina

Il vertice di Gedda ha aperto spiragli per nuove trattative. Nel frattempo Mosca e Kiev hanno formulato con maggiore chiarezza le loro condizioni per cessare la guerra. Ecco la scheda completa

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Le difficoltà incontrate dall’avanzata russa e dalla controffensiva ucraina, al netto delle esagerazioni delle rispettive propagande e dei sempre più frequenti e mortali attacchi a infrastrutture civili, hanno in qualche maniera rilanciato una sorta di “dialogo sulla pace a distanza” fra Kiev e Mosca. Mai diretto e mai distensivo, ovviamente, con soprattutto la Russia a ribadire le proprie inamovibili posizioni per la cessazione delle ostilità.

Ad aprire lo spiraglio per nuova trattative è stato il summit sulla pace organizzato a Gedda, in Arabia Saudita, al quale ha preso parte anche l’ambigua Cina. Assente soltanto la Russia, che ha negato alcun progresso verso la pace, mentre Kiev ha ribadito fermezza assoluta sull’integrità territoriale ucraina. Un buco nell’acqua, apparentemente, che però ha portato entrambi i Paesi a riformulare in maniera più chiara e netta le rispettive condizioni. Consentendoci, dunque, di capire ancora meglio e in maniera schematica cosa vogliono davvero per finire questa guerra.

Qui abbiamo parlato del colpo di Stato in Niger, di cosa c’entra la Russia e perché ci interessa.

Cosa vuole la Russia: le condizioni di Putin per la pace

La formula russa di pace per l’Ucraina viene pubblicata in lungo e in largo sui canali Telegram filorussi e sulla TV di Stato, senza troppi giri di parole. Le istanze del Cremlino sono state confermate anche dai portavoce istituzionali, nonché da report di think tank occidentali. Ricorre praticamente sempre il riferimento russo a un “primo blocco”, una sorta di premessa indispensabile per sedersi a un ipotetico tavolo della pace, denominato “Principi fondamentali dell’insediamento”.

In altre parole: la Russia non vuole abbandonare Donbass, Crimea, Kherson e Zaporizhzhia, i quattro oblast occupati e annessi unilateralmente, oltre che “confermati” da referendum popolari per l’entrata nella Federazione. Basterebbe già questo primissimo punto a spingere, com’è avvenuto, l’Ucraina a non accettare ulteriori condizioni (intanto la Russia potrebbe schierare ancora milioni di soldati: cosa sappiamo). Tuttavia i punti successivi sono stati riformulati ammettendo che, prima o poi, il conflitto dovrà terminare. Ecco di seguito un elenco schematico di tutte le condizioni russe per sottoscrivere un accordo con il Paese invaso.

  1. “L’attuale guerra in Ucraina non è una guerra tra Russia e Ucraina, ma una guerra civile all’interno dell’Ucraina“. La tesi di Mosca è la stessa, ma posta in maniera lievemente ma significativamente diversa: il Cremlino vuole un’Ucraina pacificata, in cui la popolazione nel 2014 si è divisa in filo-russi e filo-occidentali. E in cui Russia e Usa sono intervenute per sostenere militarmente le rispettive fazioni. “Pertanto, la pace in Ucraina è, prima di tutto, un accordo pacifico ed equo dell’Ucraina”, afferma in maniera ambigua il politologo ed ex consigliere di Putin Sergej Markov.
  2. Non poteva mancare il riferimento alla rivolta di Piazza Maidan, definita la causa principale della guerra in Ucraina in quanto “violento colpo di Stato illegale antidemocratico del 2014”. Visto che i ribelli filo-europei hanno sovvertito i risultati di libere elezioni democratiche che portarono alla presidenza Yanukovich, Mosca sostiene che “tutte le conseguenze del golpe ucraino del 2014 debbano essere eliminate”.
  3. Per lo stesso motivo, “tutte le leggi ucraine adottate dopo il 2014 devono essere abrogate”. Un altro punto sicuramente inaccettabile per il governo Zelensky.
  4. Diretta conseguenza: secondo l’entourage di Putin, “il governo dell’Ucraina nella sua interezza, compreso Zelensky, deve dimettersi”. Al suo posto sarà formato un esecutivo tecnico di transizione ad interim, “composto da esperti che non hanno mai partecipato al governo dal 2014”. Ma non è tutto: alcuni incarichi del nuovo regime dovranno essere assunti da “persone emigrate dall’Ucraina dopo il 2014”. Gli analisti russi tengono a precisare che non si vuole un ritorno al passato: “Non Yanukovich e Medvedchuk, ma esperti per dar vita a un governo tecnico”.
  5. Fase successiva: “neutralizzazione dell’Ucraina”. La Russia fa riferimento all’ordinamento stesso del Paese invaso, in questo caso riconoscendone implicitamente la legittima indipendenza. “La neutralità è introdotta come principio fondamentale nella Costituzione dell’Ucraina”, evidenzia Markov.
  6. “Denazificazione”. Questo è forze il punto più scabroso a livello di propaganda, perché richiama un passato collaborazionista di gruppi di ucraini a favore degli invasori nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale. “Tutte le organizzazioni neonaziste sono bandite. Tutti i monumenti ai nazisti e ai neonazisti vengono demoliti. Tutti i libri di testo vengono riscritti. Chi ha partecipato ai lavori delle organizzazioni neonaziste è interdetto a vita dai pubblici uffici”.
  7. “Democratizzazione”. Nella retorica del Cremlino, la cacciata di Zelensky e la “liberazione” dal giogo occidentale rappresentano un ritorno alla democrazia. In questo senso la propaganda russa ripercorre capisaldi urlati a gran voce dai filorussi delle Repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk dal 2014 a oggi. “Tutti i prigionieri politici, gli emigranti politici, i partiti vietati e i media silenziati saranno riabilitati. La loro proprietà sarà completamente compensata da un fondo speciale. Sei mesi dopo la liberazione si terranno elezioni libere. La Commissione elettorale centrale è formata congiuntamente da Russia, Ue, Cina, India e Stati Uniti”.
  8. “Lotta alla derussificazione”. Una volta normalizzato il Paese a livello istituzionale e internazionale, si passa all’aspetto fondamentale della lingua. “Tutte le leggi che limitano la lingua russa devono essere abrogate e il russo diventerà la seconda lingua di Stato, com’è sempre stato”.
  9. “Smilitarizzazione”. Vengono ribaditi contorni e scenari diplomatici da Guerra Fredda, insistendo su quei punti che, secondo Mosca, hanno portato al crollo dell’Unione Sovietica e all’inasprimento delle relazioni con Usa e Ue. “Tutte le armi e i consiglieri della NATO dovranno ritirarsi dall’Ucraina, con il divieto permanente di rientrare nel Paese”.
  10. Poi la religione, altra grande àncora popolare: “Tutte le repressioni contro la Chiesa ortodossa sono cancellate”.

P.S. L’elenco si completa con una conclusione “ciclica”, che richiama la premessa: “L’adesione alla Russia delle cinque ex regioni dell’Ucraina deve essere riconosciuta ufficialmente da Kiev”.

Cosa vuole l’Ucraina: le condizioni di Zelensky (e dell’Occidente)

Ci sono poi quelle che Mosca definisce “le tesi di Zelensky”, ironico richiamo alle celebri direttive politiche scritte da Lenin nel 1917, anno della Rivoluzione Russa. Anche le condizioni per la pace dettate dall’Ucraina, sviluppate insieme a Stati Uniti e Regno Unito, partono da una premessa irrinunciabile: il rispetto della sovranità e dell’integrità territoriali del Paese. “L’unica base per i negoziati è quella la Formula di pace del presidente Zelensky” (qui avevamo parlato di cosa vuole l’Ucraina dopo la guerra: una Russia divisa e spartita). Non possono esserci posizioni di compromesso come “cessate il fuoco immediati” e “negoziati qui e ora” che diano alla Russia il tempo di restare nei territori occupati: “Solo il ritiro delle truppe russe al confine stabilito nel 1991“. Un punto inconciliabile, lo abbiamo visto, con alcune richieste da parte di Mosca. Ecco di seguito i punti salienti della proposta di Kiev.

  1. Sicurezza nucleare: con particolare attenzione alla centrale di Zaporizhzhia. In parole povere, la Russia deve rinunciare al controllo della regione e, dunque, dell’impianto.
  2. Sicurezza alimentare: cioè garanzia dell’export di grano e cereali dai porti ucraini ai mercati oltremare, come prima della guerra.
  3. Sicurezza energetica: restrizioni sui prezzi di petrolio e gas provenienti dalla Russia e finanziamenti internazionali per il ripristino dei sistemi energetici dell’Ucraina distrutti e danneggiati durante il conflitto.
  4. La Russia deve rilasciare tutti i prigionieri di guerra e trasferire in Ucraina tutti i bambini deportati.
  5. La spiegazione della premessa irrinunciabile: all’Ucraina dovranno tornare Donbass, la Novorossiya (che comprende anche la fascia meridionale ucraina sul Mar Nero) e la Crimea.
  6. Ritiro totale delle truppe russe dal territorio ucraino.
  7. Un tribunale speciale per i crimini di guerra, si sottolinea, “commessi dalla Russia”.
  8. “Stop all’ecocidio”: una formula con cui si intende il finanziamento internazionale per lo sminamento del territorio dell’Ucraina.
  9. Garanzie di sicurezza per l’Ucraina nella nuova architettura internazionale dello spazio euro-atlantico. Un chiaro, ma implicito riferimento all’adesione a NATO e Unione europea.
  10. Ratificazione della fine della guerra con la firma di un trattato di pace tra Russia e Ucraina.

Il risultato al momento? Il Cremlino ha definito “accettabile” soltanto il punto sullo sminamento. Tutto il resto è percepito da Mosca come condizioni di una resa inaccettabile, un ultimatum che vuole annientare la Russia e “consegnarla” agli Usa. Da qui la decisione della Russia di non partecipare al summit di Gedda.

A che punto è la guerra: la “regia” degli Usa

La conferenza di Gedda sulla pace in Ucraina ha condiviso l’obiettivo di sviluppare un approccio congiunto dell’Occidente e del Sud del mondo per la fine della guerra. Dal punto di vista statunitense, la situazione militare è favorevole: Mosca non è riuscita a prendere il controllo di grandi città ucraine, trincerandosi a fatica e insanguinando soprattutto il già annesso Donbass, mentre l’esercito ucraino è molto più forte ed equipaggiato rispetto ai primi mesi del 2022. Washington sa bene che, nell’ultimo anno, l’esercito russo ha perso e non guadagnato territorio in Ucraina, ripiegando su una strategia difensiva. Gli ammutinamenti e le diserzioni tra le truppe, le tensioni interne registrate con i mercenari del Gruppo Wagner (qui sveliamo tutti gli “affari sporchi” di Prigozhin) e le sanzioni occidentali non fanno che rafforzare questo generale senso di crisi della Russia.

Il mancato invito della Russia alla conferenza di Gedda, per volontà dagli Stati Uniti, ha avuto lo scopo di rafforzare ulteriormente questa immagine della Russia come un Paese che ha ormai perso la guerra e che altri Stati possono partecipare alla stesura di un piano per la pace. Non è da escludere neanche l’effetto che il summit in Arabia ha esercitato sul terreno di battaglia: secondo gli Usa essa ha contribuito allo stop dell’avanzata dell’esercito russo, che avrebbe potuto approfittare di qualche difficoltà incontrata dagli ucraini ad esempio nella zona di Illovaisk. Una tattica, secondo Mosca, già vista nel 2014, quando l’Occidente propose la conferenza di Minsk per “distrarre” il mondo e frenare gli attacchi russi che si stavano facendo importanti.