Usare i profitti per assumere: la riforma fiscale conviene alle imprese?

Il ministro Giancarlo Giorgetti vuole vincolare gli sgravi fiscali alla formulazione di nuovi contratti di lavoro: ecco chi verrà chiamato dalle aziende

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Luca Incoronato

Giornalista

Giornalista pubblicista e copywriter, ha accumulato esperienze in TV, redazioni giornalistiche fisiche e online, così come in TV, come autore, giornalista e copywriter. È esperto in materie economiche.

La riunione che si è tenuta nel pomeriggio di martedì 7 marzo al ministero dell’Economia fra il titolare Giancarlo Giorgetti e i suoi più stretti collaboratori certifica lo stato avanzato della riforma fiscale annunciata dai partiti di centrodestra in campagna elettorale. I più alti esponenti del dicastero si sono visti nelle stanze di via XX Settembre per formulare la versione definitiva della bozza da presentare in una delle prossime riunione dell’esecutivo: la sede non sarà quella di Crotone (dove il governo ha in programma l’approvazione delle nuove regole per la gestione dei flussi migratori), ma è certo che entro la fine di marzo il dossier finirà sul tavolo di Palazzo Chigi.

Nel frattempo emergono i primi dettagli del progetto che vuole riformare in profondità l’infrastruttura del Fisco in Italia. Innanzitutto verrà rivoluzionato il sistema delle agevolazioni ai cittadini, un capitolo che oggi è composto da ben 626 voci, per un valore complessivo che l’Ufficio parlamentare di bilancio ha stimato in oltre 83 miliardi di euro. Nel corso dei prossimi dodici mesi molti bonus verranno stralciati (o rivisti radicalmente), lasciando attivi solo quelli di natura sociale come le spese sanitarie, i costi per l’istruzione e tutte le altre spese a carico delle famiglie. Ma c’è di più.

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La partita più importante si giocherà in merito alla cosiddetta Imposta sui Redditi delle Società, meglio conosciuta dagli addetti ai lavori con il nome di Ires. Stiamo parlando di un’imposta proporzionale che una parte delle aziende e degli enti operanti in Italia deve versare ogni anno nelle casse dello Stato. Ad oggi l’aliquota viene fissata per legge ed è calcolata sulla base imponibile, ma non è detto che il meccanismo rimanga quello anche in futuro, data l’urgenza sempre più forte per la maggioranza di trovare nuovi fondi pubblici.

Di certo – almeno stando alle parole pronunciate da Maurizio Leo, esponente di Fratelli d’Italia e viceministro dell’Economia – si tenterà di intervenire sulle multinazionali che dichiarano un fatturato superiore ai 750 milioni di euro annui, imponendo loro una tassazione più severa. Questo avverrà nei primi mesi del 2024, quando nel nostro Paese entrerà in vigore la Global Minimum Tax, che consente ai singoli governi nazionali di aumentare le imposte qualora l’imponibile dei grandi colossi mondiali operanti sul territorio nazionale rimanga al di sotto del 15% (fissato come limite minimo).

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Lo stesso tipo di valutazioni si stanno facendo anche per quanto riguarda le imprese italiane più piccole. L’obiettivo è quello di arrivare ad una pressione fiscale proporzionata agli introiti dei singoli soggetti, con la possibilità di abbassare fino al già citato 15% l’attuale soglia Ires del 24%. Un alleggerimento che però dovrà essere conseguente ad un cambio di paradigma per gli imprenditori interessati, che dovranno modificare la propria gestione degli introiti.

Infatti, stando a quanto emerso al termine della riunione al dicastero, il calo della tassazione verrà messo in atto solamente se l’azienda interessata dimostrerà di aver utilizzato gli utili per l’assunzione di nuovo personale. In particolare, lo sgravio fiscale sarà vincolato alla sottoscrizione di nuovi contratti per i disoccupati che si trovano ai margini del mercato del lavoro. Nello specifico, sono 3 le categorie di cittadini individuati dal Mef che dovranno essere integrate negli organici delle imprese:

  • percettori del Reddito di cittadinanza;
  • donne in età lavorativa;
  • ultracinquantenni rimasti senza occupazione negli ultimi anni.