Una pensione di garanzia da 650 euro mensili per i giovani, scivoli all’uscita non generalizzati e attenzione alle fasce deboli, come le donne e chi svolge lavori faticosi. Queste le linee guida che seguirà il Pd per mettere a punto una sua proposta di riforma, dando una spinta al dibattito sulla cosiddetta ‘fase due’ della riforma previdenziale.
La contributiva minima
Tra le proposte emerse spicca quella avanzata da Stefano Patriarca, consigliere economico della presidenza del Consiglio, che ha illustrato l’ipotesi di una pensione contributiva minima di 650 euro mensili per chi ha 20 anni di contributi. Secondo il consigliere di Palazzo Chigi si potrebbe “introdurre anche nel sistema contributivo l’integrazione ad un minimo presidenziale come c’è attualmente nel sistema retributivo”.
Per Patriarca, la struttura “potrebbe essere pari all’attuale minimo complessivo dell’assegno sociale, pari a 650 euro mensili per 20 anni di contributi e potrebbe essere legata in modo parziale alla presenza sul mercato del lavoro. “I 650 euro mensili possono aumentare di 30 euro al mese per ogni anno di contribuzione superiore al 20esimo anno – ha rimarcato Patriarca – fino a un massimo di mille euro” e l’assegno potrebbe valere anche per gli anticipi.
Le reazioni
E’ più di un ipotesi di studio, conferma il responsabile del lavoro all’interno della segreteria del Pd, Tommaso Nannicini: “Il Pd farà una proposta, che studieremo e approfondiremo, sulla pensione di garanzia per i giovani, con un reddito minimo e per rivedere il meccanismo di adeguamento automatico dell’età pensionabile”.
“Bisogna sostenere l’occupazione dei giovani anche attraverso un intervento che nel tempo garantisca una diversità di costo tra il lavoro stabile e quello temporaneo”, spiega il ministro del lavoro, Giuliano Poletti. “Questo è un impegno al quale dobbiamo trovare una risposta, alcune le abbiamo già date, ma su questo versante si può e si deve fare un altro passo avanti”. Ancora il ministro: “Come è accaduto con il primo accordo, dobbiamo sapere che abbiamo dei limiti, ma dentro quei limiti ci sono cose diverse che possono essere fatte, nello spirito che abbiamo utilizzato e definito”.
L’introduzione dell’integrazione a un minimo previdenziale come nel retributivo, inoltre, determinerebbe un tasso di sostituzione per una carriera piena (40 anni di contributi) pari al 65% della retribuzione media netta.