Chi andrà in pensione nel 2021 perderà una piccola quota di assegno perché il calcolo col sistema contributivo sarà fatto con i nuovi coefficienti di trasformazione che saranno più bassi rispetto ai pensionati 2019-2020.
Cos’è il coefficiente di trasformazione
Il coefficiente di trasformazione è un valore, espresso in percentuale, che si applica alla somma dei contributi accantonati dal lavoratore per trasformarli in assegno di pensione.
Il valore cresce con l’età pensionabile, ma è diminuito periodicamente, se si riscontrano aumenti della speranza di vita media.
Gli ultimi incrementi rilevati dall’Istat hanno determinato un calo dei coefficienti sino allo 0,04%: in pratica su un montante contributivo pari a 300mila euro l’applicazione dei nuovi coefficienti comporta una perdita di 120 euro l’anno, che diventano 500 euro se confrontati coi coefficienti utilizzati sino al 2018 e ben mille euro al confronto dei valori utilizzati sino al 2015. Un impoverimento notevole dei nuovi pensionati che sembra non avere fine, così come pare aumentare all’infinito la speranza di vita media.
Assegni pensionistici più bassi, le cause
I principali colpevoli della diminuzione delle pensioni risultano dunque il Pil, l’indice dei prezzi al consumo e gli adeguamenti alla speranza di vita media.
Il problema delle pensioni più basse dal 2021 riguarda anche chi si è già pensionato da tempo. Ogni anno, difatti, l’importo di tutte le prestazioni erogate dall’Inps viene adeguato all’inflazione (o meglio all’indice Istat Foi, l’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati), attraverso il cosiddetto meccanismo della perequazione.
Considerando il pessimo andamento del 2020, emerge non solo il rischio che le pensioni non aumentino, ma addirittura che diminuiscano.
Al termine di ogni anno, è infatti emanato dal ministero dell’Economia e delle Finanze un decreto che fissa in via previsionale la variazione percentuale da applicare alle pensioni erogate nell’anno successivo. Proprio perché provvisorio, il valore viene poi sostituito, al termine dell’anno considerato, da un indice di variazione definitiva, sulla cui base è effettuato un conguaglio tra la stima iniziale e il valore effettivo riscontrato.
Il conguaglio può essere negativo, nell’ipotesi in cui la variazione definitiva si riveli inferiore a quella prevista: se il conguaglio è negativo, la differenza viene sottratta dalla pensione. Sarebbero comunque allo studio specifici interventi per evitare il decremento dei trattamenti liquidati dall’Inps.
Per quanto riguarda infine il crollo del Pil, che dovrebbe riflettersi sul tasso di capitalizzazione dei contributi per la pensione, indicato annualmente dall’Istat, le conseguenze si vedranno a partire dal 2023. Solo il tasso di capitalizzazione del 2022, che riguarda i pensionamenti tra il 1° gennaio 2023 ed il 31 dicembre 2023, sarà difatti influenzato dalla crisi del 2020, in quanto calcolato sulla base della variazione media del Pil del quinquennio 2015-2020.
In collaborazione con Adnkronos