Riforma pensioni, torna sul tavolo Quota 41. Le ipotesi al vaglio

Quota 100, fortemente voluta dal leader della Lega, verso l'addio (forse): che succede dopo?

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Redazione

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Torna sul tavolo del Governo il tema, sempre attuale, delle pensioni alle quali bisogna mettere mano con urgenza. Poche ore fa Antonio Misiani – viceministro dell’Economia e delle Finanze – intervistato alla Summer School della Scuola di Politiche fondata da Enrico Letta – ha confermato quanto era nell’aria da tempo: la riforma delle pensioni varata dal governo gialloverde, Quota 100 (si lascia il lavoro a 62 anni di età e 38 di contributi)  fortemente voluta da Matteo Salvini, non verrà prorogata oltre la scadenza naturale del 2021.

Ci si muove ancora nel campo dei se, ma l’esecutivo che viaggia su un doppio binario (rimpiazzare Quota 100 e anticipare l’età della pensione al di sotto dei 67 anni) studia Quota 41, ossia tutti in pensione con 41 anni di contributi al di là dell’età anagrafica. Governo e parti sociali si sono dati appuntamento nei prossimi giorni per gettare le basi di una riforma, quella pensionistica, a dir poco complessa e piena di incognite.

Superare lo scalone

Scrive il Corriere della Sera: Come superare, tra un anno, lo scalone di 5 anni che si formerà tra chi è riuscito ad andare a riposo con 62 anni di età e 38 di contributi e chi, dal 2022, sarà costretto a restare al lavoro fino a 67 anni? I sindacati — secondo quanto ha ricostruito nelle scorse ore Il Messaggero — ritengono che chi ha 41 anni di contribuzione debba andare in pensione a prescindere dall’età. Oggi questa opzione è possibile solo per i lavoratori precoci che all’età di 19 anni avevano alle spalle almeno un anno di contributi versati.

Secondo alcuni studi condotti prima dell’introduzione di “Quota 100”, passare a quota 41 avrebbe fatto salire la spesa a 12 miliardi già a partire dal primo anno. Un livello non facile da sostenere, vista anche la crisi economica scaturita dall’epidemia di Covid-19.

Quota 100 con taglio maggiorato?

Ancora non del tutto tramontata, l’idea di una sorta di Quota 100 maggiormente penalizzata. Ossia l’introduzione di un meccanismo flessibile per consentire le uscite a partire da 62, o 63, anni di età anagrafica e un’anzianità contributiva minima di 38 anni, o forse anche 36, prevedendo una penalizzazione, con l’aggancio pieno al sistema contributivo puro, sotto forma di riduzione del trattamento del 2,8-3% per ogni anno di anticipo rispetto alla soglia del pensionamento di vecchiaia (67 anni)

Nel frattempo, il leader della Lega intanto è tornato a difendere la “sua” riforma: “Facciamo poche promesse ma le manteniamo. Il Pd si è impegnato con l’Europa a cancellare Quota 100 e tornare alla legge Fornero. Ma se torna la gabbia della legge Fornero le persone che perdono il lavoro come pagano l’affitto? Alla legge Fornero non si torna». E ancora: “Non voglio che i nostri imprenditori e i nostri figli dipendano dagli umori e dei cambi di idea di qualcuno a Berlino o a Parigi. Se in cambio dei prestiti, l’Europa ci chiede di tornare alla legge Fornero noi faremo tutta l’opposizione del mondo dentro e fuori dal Parlamento”.

“Grazie a Quota 100 la disoccupazione giovanile è diminuita dal 33 al 23% e abbiamo registrato 285.000 occupati in più rispetto all’anno precedente, nonostante la crescita zero del Paese. Trecentomila italiani sono andati in pensione garantendo così un ricambio generazionale nel mondo del lavoro fondamentale per i giovani»” aveva detto nei giorni scorsi l’ex sottosegretario leghista Claudio Durigon.