Pensioni, tre mesi di lavoro in più per 170mila italiani: chi rischia

Nel 2027 circa 170mila lavoratori potrebbero dover lavorare tre mesi in più per accedere alla pensione anticipata. Il governo valuta ipotesi e correttivi nella Manovra

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Giorgio Pirani

Giornalista economico-culturale

Giornalista professionista esperto di tematiche di attualità, cultura ed economia. Collabora con diverse testate giornalistiche a livello nazionale.

Pubblicato: 7 Ottobre 2025 10:53

Nel 2024 sono stati 215mila i lavoratori che hanno ottenuto una pensione anticipata. La stragrande maggioranza, 195mila, aveva meno di 65 anni, confermando una tendenza all’uscita dal lavoro prima del traguardo anagrafico. Solo il 17% di chi opta per la pensione anticipata lascia il lavoro dopo i 64 anni, in linea con quanto previsto dalla riforma del 2019. Se queste tendenze continueranno, una futura manovra potrebbe riservare una sorpresa per molti.

Il rischio del trimestre in più

Si discute, infatti, di bloccare l’aumento dell’età pensionabile solo per chi va in pensione di vecchiaia (a 67 anni) o per chi ha già compiuto i 64 anni. In questo scenario, chi non rientra in queste categorie potrebbe dover lavorare più a lungo.

Si stima che, dal 2027, circa 170mila persone potrebbero essere costrette a lavorare tre mesi in più, raggiungendo 43 anni e un mese di contributi per l’anticipata (un anno in meno per le donne). Per tutelare chi compie 64 anni durante questo “trimestre in più”, sarà necessaria una norma di salvaguardia.

Le ipotesi in campo

Per trovare una quadra, il governo sta valutando altre opzioni:

  • introdurre un aumento di solo 1 mese nel 2027, per poi recuperare i 2 mesi rimanenti nel 2028;
  • una finestra selettiva per chi ha 64 anni, che potrebbe essere una soluzione temporanea in attesa di una riforma più strutturale.
  • la pensione a 64 anni utilizzando il TFR come rendita integrativa, per garantire un assegno dignitoso.

Intanto, il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon assicura che l’incremento di tre mesi verrà fermato “per tutti”. Tuttavia, la partita è tutt’altro che chiusa.

Il dossier pensioni è pronto a finire sul tavolo di un vertice a Palazzo Chigi, con la maggioranza chiamata a definire gli interventi per la prossima Manovra. Le incognite sono tante, e tutte ruotano attorno allo stesso nodo: la disponibilità di risorse.

Il costo proibitivo del blocco totale

La riflessione del governo si muove all’interno di un perimetro di rigore contabile, imposto dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, intenzionato a evitare scossoni ai conti pubblici. In una fase in cui mercati e agenzie di rating osservano con attenzione l’andamento della spesa previdenziale, ogni mossa è sotto esame.

Proprio per questi vincoli di bilancio, secondo gli esperti, l’ipotesi di un blocco totale e permanente dell’adeguamento all’aumento della speranza di vita sembra ormai tramontata. Un intervento di tale portata avrebbe un costo proibitivo: secondo le stime dell’Osservatorio sui conti pubblici, comporterebbe un incremento del debito fino a 15 punti di Pil entro il 2045.

Il vertice di Palazzo Chigi sarà dunque una sfida per trovare una sintesi: da un lato la promessa politica di fermare l’aumento dell’età, dall’altra la sostenibilità dei conti. Una partita che si giocherà in parallelo su altri dossier caldi, come la rottamazione delle cartelle esattoriali e il taglio dell’Irpef.

Manovra tra pensioni, Irpef e rottamazione

La manovra non riguarda solo le pensioni. Sul capitolo fiscale, è prioritaria la riduzione dell’aliquota Irpef per il secondo scaglione (redditi da 28mila a 50mila euro), che passerebbe dal 35% al 33%. Si valuta anche un’estensione della sforbiciata fino a 60mila euro di reddito.

Sul fronte rottamazione delle cartelle esattoriali, l’idea di rateizzare in 10 anni (120 rate) sembra essere stata accantonata. Prende piede una soluzione più snella di 96 rate in 8 anni, con l’aggiunta di un versamento minimo per chiudere rapidamente i micro-debiti.