In pensione a 70 anni e forse oltre o condannati a ricevere assegni previdenziali minimi. È lo scenario che emerge da un’analisi del World Economic Forum secondo cui il gap pensionistico (cioè il buco fra contributi versati e prestazioni erogate) nei principali sei sistemi pensionistici occidentali più Cina e India passerà dai 70mila miliardi di dollari del 2015 a 400mila miliardi nel 2050.
Una crescita esponenziale legata a doppio filo all’incremento dell’aspettativa di vita: dunque entro il 2050 si dovrà lavorare fino a 70 anni prima di andare in pensione, per evitare ciò che in tanti studiosi hanno definito come la più grande crisi previdenziale della storia.
Il WEF ha analizzato i principali sei sistemi pensionistici occidentali (Stati Uniti, Regno Unito, Giappone, Olanda, Canada e Australia) compresi quelli di Cina e India, ipotizzando che dai 70mila miliardi di dollari del 2015 si arrivi a una spesa di 400mila miliardi nel 2050. Secondo lo studio, in generale si vive ovunque sempre più a lungo: in particolare l’età media aumenta di un anno ogni cinque, e così nel 2066 un quarto della popolazione sarà over 65. Secondo il Wef quindi lavorare più a lungo sarà inevitabile, ma aiuteranno anche risparmi e investimenti.
Visto che entro il 2050 l’età pensionabile dovrà salire a 70 anni, in paesi come Italia, Inghilterra, Stati Uniti, si alzerà, già nel prossimo decennio, a 67 anni la soglia minima per il pensionamento. In realtà per l’Italia si parla già da tempo di ulteriore prolungamento, come aveva spiegato a fine 2015 Tito Boeri, il presidente dell’Inps: anche fino a 75 anni per i nati a partire dal 1980, in caso di mancata crescita economica (almeno un aumento annuo dell’1% del Pil) e di stabilizzazione del lavoro, rischieranno di lavorare fino a 75 anni, con una pensione ridotta fino al 38%.