Michele Lupi e il progetto “Fay Archive”

Viaggio alla riscoperta del Dna di Fay, attraverso un percorso fotografico nel mondo

Foto di Paolo Gelmi

Paolo Gelmi

Esperto di moda e lifestyle maschile

Esperto di moda e lifestyle, è stato direttore di svariate riviste cartacee nel settore luxury.

Pubblicato: 3 Agosto 2023 10:58

Il brand Fay nasce negli anni sessanta negli Stati Uniti D’America, un’azienda che produceva abiti da lavoro per i pompieri del Maine. L’idea fu proprio di mister Fay, che volle creare capi resistenti, versatili, con caratteristiche uniche adatti per il lavoro. Saranno gli anni 80, esattamente il 1987 con l’acquisto da parte della famiglia Della Valle, che questo brand assumerà una connotazione fashion riconoscibile in tutto il mondo. Iconico il suo giubbotto “Workwear” con i 4 ganci in metallo.

Il Gruppo Tod’s guidato da Diego e Andrea Della Valle, in questi quarant’anni ha saputo mantenere vivo il DNA di questo progetto simbolo di versatilità, rendendolo glamour e creando intere collezioni attorno al suo giubbotto iconico, per un total look uomo/donna capace di soddisfare le esigenze dei clienti più esigenti.

Grande il successo che la maison marchigiana ha regalato a questo marchio, indossato non più soltanto dai pompieri o dai lavoratori in genere, ma soprattutto negli anni 90 da personaggi famosi del calibro dell’Avvocato Agnelli, Carolina di Monaco e Niki Lauda per citarne alcuni. Non solo il jet set internazionale ma tantissimi clienti in tutto il pianeta e buyer di tutto il mondo, si riconoscono nella filosofia di questo marchio. Un giaccone, quello a “4 ganci”,  che in breve tempo diventerà il simbolo di una intera generazione senza età, sino ad arrivare al meritato successo dei giorni nostri, grazie alle sue notevoli capacità di rinnovarsi con il passare delle mode e delle tendenze.

QF Lifestyle incontra Michele Lupi,  responsabile progetti speciali del Gruppo Tod’s, per farsi raccontare qualche nuovo progetto di questo iconico marchio e qualche aneddoto sul brand.

Cosa ha spinto un giornalista importante come lei ad abbandonare la carta stampata per occuparsi di un brand come Fay?
Un giorno ricevetti una telefonata da Diego Della Valle che mi invitava a prendere un caffè, inizialmente pensai volesse parlare di qualche progetto editoriale oppure di pubblicità, al nostro incontro invece mi disse che aveva letto alcuni miei articoli su il magazine che dirigevo e che questi lo avevano colpito moltissimo, mi propose una collaborazione con il Gruppo Tod’s. Chiaramente rifiutai perché la cosa era inconciliabile con il mio ruolo di Direttore responsabile e per etica, comunque un giornalista non dovrebbe collaborare con un brand, lui a quel punto mi disse che potevo cambiare mestiere, che sarebbe stata per me una nuova avventura. Ci pensai un po’ ed alla fine decisi di percorrere questa nuova strada, d’altronde sono un uomo che ama le sfide, sono curioso ed il cambiamento non mi spaventa, poi da buon giornalista sono sempre stato innamorato ed attratto dagli archivi dei brand e dalla loro storia, motivo per cui eccomi qui a ricoprire il ruolo di “responsabile progetti speciali e culturali del Gruppo Tod’s.

Negli anni ’80 la famiglia Della Valle scopre le giacche dei pompieri del Maine per portarle sul mercato urbano facendo diventare Fay un marchio di moda internazionale e Made in Italy. Quanto di quel DNA è ancora presente oggi nel brand?
Appena entrato nel gruppo, il mio compito fu da subito analizzare gli archivi della Fay per riscoprire il suo DNA e riportarlo in chiave moderna all’interno di un nuovo progetto dal nome “Fay Archive”. Attraverso questo studio e questa approfondita ricerca abbiamo cominciato a pensare in termini di approfondimento dei valori di questo marchio, che nasceva con una connotazione lavorativa atta a soddisfare le esigente di un certo tipo di lavoratori, vedi i Pompieri del Maine. Durante il look down del 2020 quando tutto il mondo era bloccato abbiamo cominciato a mettere in atto le nostre nuove strategie di comunicazione, la Russia in quel momento era in parte ancora accessibile, quindi contattai un amico fotografo “Davide Monteleone” che viveva a Mosca e gli proposi di inviargli delle nostre giacche al fine di farle indossare da alcuni lavoratori sul territorio, specialmente in campagna, per scattare delle fotografie che avessero una duplice funzione, la prima quella di catturare l’anima di questi lavoratori durante la loro attività, la seconda catturare i nostri giacconi all’interno di una fotografia spontanea e realista. Fu un grande successo, una riscoperta degli intramontabili valori  del brand attraverso un giaccone, “Workwear”, americano con uno stile tutto italiano, un progetto che portammo successivamente anche in Perù, Cile, Alaska, Islanda ed ultimamente in Nepal sempre con dei protagonisti veri e spontanei come pompieri, pescatori, pastori, contadini; ognuno con la propria storia e con il proprio modus vivendi a raccontare attraverso una fotografia il proprio lavoro e lo spirito del nostro giaccone a 4 ganci, questa operazione la facciamo ogni 6 mesi cambiando ogni volta la destinazione. In questa fase di studio del nostro archivio abbiamo collaborato con Alessandro Squarzi, che personalmente possiede un archivio di oltre 6.000 capi ed ha una grande conoscenza del nostro segmento, insieme abbiamo cominciato a riproporre dei classici rivisitati. Un aneddoto interessante fu quando un giorno Diego Della Valle mi chiese di trovare un punto di equilibrio, tra una città come Parma, tipica cittadina della provincia italiana, molto ricca di cultura e con i suoi abitanti attenti alle mode e le tendenze, con lo stato nord Americano del Wayomi, una sfida davvero interessante per andare a riscoprire il Dna di un brand.

Che differenza c’è tra Fay e Fay Archive?
Fay brand ha una declinazione più fashion, anche se non è questa la sua reale filosofia, crea collezione urbane per uomini e donne che nella vita svolgono professioni importanti. Se girate un aeroporto troverete incolonnati ai vari check in, persone che indossano i nostri capi, perché sono eleganti, confortevoli, contemporanei e allo stesso tempo adatti per viaggiare. Fay non crea solo giubbotti ma un intero total look; considerate che Fay negli anni novanta è stato indossato da personaggi come Giovanni Agnelli e Niki Lauda ed è stato il primo marchio da lavoro a diventare un vero lifestyle indossabile tutti i giorni. Mentre “ Fay Archive 021”, il ventuno fa parte del logo ed indica la data di nascita del progetto, lavora sullo storytelling del brand, va alla ricerca delle sue origini, le riadatta in chiave contemporanea, studia e reinterpreta gli archivi ed apre le porte ad un target molto più giovane. Il prodotto, pur essendo il protagonista, passa in secondo piano rispetto alla sua storia e al valore intrinseco dettato dalla funzionalità di un prodotto costruito per chi lavora; i 4 ganci in metallo nascono proprio per questo motivo, dare sicurezza e adattabilità ad un giaccone da lavoro. Oggi Fay Archive vale il 25% del marchio Fay : direi che il progetto funziona bene.

In termini di sostenibilità, come siete messi in Fay?
È vero, molti amano parlare di questo argomento senza poi fare davvero qualcosa di concreto, noi del Gruppo Tod’s, in questo caso per il brand Fay abbiamo deciso di riscoprire i tessuti degli anni 90 del nostro iconico “4 ganci”, ed abbiamo realizzato un giaccone con patchwork di vari tessuti. Non abbiamo davvero inquinato ed abbiamo creato un nuovo capo spalla utilizzando, se mi permettete il termine, il sistema del “riciclo”: abbiamo dato vita ad una nuova storia creativa utilizzando tessuti del passato dandogli un anima contemporanea, mantenendo in vita il nostro DNA.

Quali sono i vostri mercati di riferimento?
L’Italia è il nostro mercato principale, ma anche il nord dell’Europa. Stiamo facendo piccoli ma calibrati passi per andare alla conquista di tutti i mercati, sia con Fay che con Fay Archive.

In termini di comunicazione, come sono cambiate le vostre strategie con l’avvento dei social network?
Purtroppo o per fortuna tutto è cambiato, le cose inevitabilmente sono mutate, il nostro approccio è molto attento, ad esempio quando abbiamo attivato Instagram non abbiamo comprato follower per partire già forti, abbiamo preferito conquistarci la fiducia delle persone ed abbiamo puntato sulla fidelizzazione dei nostri seguaci. Le immagini e la storia del brand sono la nostra forza e utilizziamo tutti i mezzi idonei a raggiungere i nostri obiettivi, per noi le nostre origini sono il punto di partenza per una buona comunicazione.

Secondo lei le fiere oggi hanno ancora importanza?
Credo che le fiere abbiano ancora un grandissimo valore, magari non più per le stesse ragioni del passato, oggi i buyer e la stampa li puoi sentire quotidianamente. Il valore dell’incontro, lo scambio di idee e le visioni dal vivo unite alle emozioni che il contatto umano ti può regalare, sono elementi irrinunciabili e indissolubili; solo le fiere possono creare ed alimentare queste situazioni. Quindi la mia risposta e si, sono ancora utili ed essenziali.