Riso italiano leader grazie a 3 province, ma la produzione è minacciata

L'Italia si conferma leader nella produzione di riso in Europa con una crescita del 4%. Nonostante il primato, il settore è a rischio a causa dell'aumento dei costi

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Federica Petrucci

Editor esperta di economia e attualità

Laureata in Scienze Politiche presso l'Università di Palermo e Consulente del Lavoro abilitato.

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La campagna di raccolta del riso 2025/2026 si apre in Italia con una notizia positiva: le superfici coltivate crescono del 4%, raggiungendo i 235mila ettari complessivi. Un dato che conferma il primato del nostro Paese come leader europeo per estensione e capacità produttiva.

In un momento storico in cui le tensioni internazionali e il cambiamento climatico mettono in discussione la stabilità delle filiere agroalimentari, il riso italiano è non solo un patrimonio culturale, ma anche economico e identitario del Made in Italy.

Il Nord Italia traina la produzione di riso

Se l’Italia è il cuore pulsante della risicoltura europea, lo deve in particolare ad alcune regioni chiave.

Secondo i dati Coldiretti:, tre territori trainano l’intero settore:

  • Pavia;
  • Vercelli;
  • Novara.

A Pavia sono 83.000 gli ettari coltivati, mentre le province piemontesi di Vercelli e Novara insieme superano i 100.000 ettari.

Da sole queste aree rappresentano circa il 90% della produzione nazionale: la Pianura Padana è una delle riserve di riso più importanti al mondo.

Queste province hanno saputo costruire nei decenni un modello produttivo integrato che coinvolge 3.500 aziende agricole e dà lavoro a oltre 10.000 famiglie tra imprenditori e addetti alla filiera.

Una concentrazione tale da fare del Nord Italia non solo un polo produttivo, ma un laboratorio di innovazione e tradizione, dove l’esperienza delle generazioni passate si fonde con tecniche moderne di irrigazione, meccanizzazione e sostenibilità ambientale.

Le sfide economiche: costi alle stelle e concorrenza sleale

Dietro al primato italiano, però, si nascondono fragilità che rischiano di compromettere la competitività della filiera.

I costi di produzione sono aumentati in modo esponenziale. Fertilizzanti, energia e altri mezzi tecnici hanno subito rincari a doppia cifra, spinti dalle conseguenze della pandemia e dalle guerre che hanno destabilizzato i mercati globali.

Oggi produrre un chilo di riso in Italia costa sensibilmente di più rispetto a 10 anni fa, senza che i prezzi al consumo riflettano questo divario.

A questo si aggiunge il tema delle importazioni a basso costo. Oltre il 60% del riso importato in Italia entra con dazi agevolati, grazie ad accordi commerciali come l’iniziativa Eba (Everything but Arms) che, dal 2009, ha fatto crescere le importazioni dai Paesi meno sviluppati da 9 milioni a quasi 500 milioni di chili.

È un fenomeno che ha distorto il mercato, consentendo l’ingresso di riso coltivato con fitofarmaci vietati in Europa e in contesti sociali dove non mancano sospetti di sfruttamento del lavoro minorile.

Ora si teme un ulteriore squilibrio con l’accordo Ue-Mercosur, che potrebbe aprire le porte a 60 milioni di chili di riso brasiliano a dazio zero. Un rischio concreto per un comparto che fatica già a reggere il confronto con Paesi dove i costi di produzione sono drasticamente più bassi e le regole ambientali meno stringenti.

Il ruolo delle politiche europee

La questione non è soltanto economica, ma anche politica. Se l’Unione Europea non interverrà con misure di tutela, l’Italia rischia di perdere parte del suo primato, sacrificando un comparto che produce 1,4 miliardi di chili di risone all’anno e che rappresenta un presidio strategico per la sicurezza alimentare europea.

La concorrenza sleale, infatti, non si traduce soltanto in minori margini per gli agricoltori italiani, ma anche in un indebolimento complessivo del sistema produttivo continentale.

Proprio per questo Coldiretti rilancia due principi fondamentali:

  • l’introduzione di una clausola di salvaguardia automatica – con misure restrittive nel momento in cui le importazioni superino una certa soglia rispetto all’anno precedente;
  • il principio di reciprocità – se l’Europa impone standard severi in materia di ambiente, sicurezza alimentare e diritti dei lavoratori, lo stesso deve valere per i prodotti importati.

Per l’associazione, infatti, non è accettabile che il riso europeo debba competere con quello prodotto in condizioni meno stringenti e spesso poco trasparenti e devono essere controllati i flussi commerciali, oggi improvvisi e destabilizzanti.