Con un provvedimento del Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, l’Italia ha ufficialmente trasmesso alla Commissione europea la richiesta di cancellazione di sette Indicazioni Geografiche Protette (IGP) per il settore vinicolo.
A un primo sguardo, la cancellazione di queste IGP potrebbe apparire come un’azione tecnica o una semplice razionalizzazione del panorama delle denominazioni.
Ma dietro questa scelta si cela una dinamica più ampia che riguarda il posizionamento competitivo del vino italiano, la sostenibilità economica del sistema delle IGP e la capacità di valorizzare territori attraverso marchi distintivi.
Indice
Le etichette di vino IGP cancellate
Le denominazioni coinvolte, per cui il ministero ha richiesto la cancellazione, sono tutte riferite alla regione Abruzzo e sono:
- Terre di Chieti;
- Colline Pescaresi;
- Colline Teatine;
- Colline Frentane;
- Colli Aprutini;
- Colli del Sangro;
- del Vastese/Histonium.
Questa decisione, è stata ai sensi dell’articolo 25, paragrafo 2, del nuovo Regolamento (UE) 2024/1143, secondo cui uno Stato membro può chiedere la cancellazione di una IGP se ne constata il disuso, la mancanza di rilevanza commerciale o la sovrapposizione con altre denominazioni più ampie ed efficaci.
Non a caso, le IGP oggetto della cancellazione appartengono tutte alla regione Abruzzo, che si caratterizza per un’articolata frammentazione dei marchi geografici.
Negli ultimi anni, tuttavia, molte di queste denominazioni hanno registrato una scarsa o nulla attività produttiva.
In alcuni casi, le etichette non risultano più utilizzate da alcuna azienda o sono state progressivamente sostituite da marchi collettivi regionali più forti, come nel caso della IGP Terre d’Abruzzo, riconosciuta nel 2020.
La decisione italiana si inserisce quindi in questo nuovo assetto e rappresenta, in un certo senso, la prima grande “operazione di pulizia” del registro europeo delle IGP vinicole da parte di un Paese produttore.
Le motivazioni dietro la cancellazione
Secondo quanto si apprende dai documenti ufficiali, la richiesta di cancellazione è stata avanzata su impulso delle stesse organizzazioni del settore vitivinicolo regionale, in particolare dei consorzi di tutela e delle principali aziende locali.
L’obiettivo dichiarato è concentrare le risorse promozionali e di marketing su denominazioni più forti e riconoscibili a livello internazionale.
Nel caso specifico dell’Abruzzo, la coesistenza di numerose IGP a basso utilizzo avrebbe finito per disperdere il valore territoriale e generare confusione nei consumatori.
L’accentramento sulle IGP principali, come la già citata Terre d’Abruzzo, consentirebbe invece di rafforzare l’identità regionale e costruire un racconto coerente del territorio.
Implicazioni economiche per il comparto
Il comparto del vino italiano è uno dei pilastri dell’agroalimentare nazionale, con oltre 14 miliardi di euro di fatturato e un export che ha superato i 7,8 miliardi nel 2024.
Le denominazioni IGP e DOP rappresentano una leva fondamentale per valorizzare la produzione locale, garantire la tracciabilità e sostenere i prezzi sui mercati internazionali. La cancellazione di 7 etichette IGP, però, apre anche a considerazioni meno ottimistiche.
Segnala che non tutte le indicazioni geografiche riescono a reggere la competizione, soprattutto se non supportate da una strategia di comunicazione, da investimenti in qualità e da un’effettiva aggregazione di produttori.
In Abruzzo i piccoli produttori che si appoggiavano a queste IGP secondarie potrebbero ora trovarsi senza un marchio riconosciuto con cui etichettare il proprio vino.
Ciò potrebbe tradursi, nel breve periodo, in una perdita di identità e di posizionamento commerciale, a meno che non venga favorita la migrazione verso denominazioni più forti o verso DOP locali.
Il caso abruzzese può essere letto anche come un laboratorio di politica vitivinicola territoriale. Mentre in passato l’Italia tendeva ad ampliare il numero delle IGP e DOP, oggi si assiste a un processo opposto.
Ci si avvia infatti verso la semplificazione e la concentrazione delle denominazioni come risposta alla saturazione del mercato e alla difficoltà di raccontare centinaia di micro-marchi ai consumatori internazionali. In quest’ottica, la scelta può essere vista come una strategia di branding territoriale.