L’Italia apre le porte ai nomadi digitali che lavorano in smart working. Per i cittadini comunitari non cambia nulla. Invece i cosiddetti lavoratori “altamente specializzati” extracomunitari potranno trasferire la propria sede di lavoro in Italia rispettando alcune regole, a partire dalla richiesta del visto.
Visto per nomadi digitali
La norma, che era attesa da quasi due anni, è finalizzata ad attrarre professionisti (collaboratori o anche dipendenti) che coniugano un alto profilo lavorativo con la passione per i viaggi. Le nuove regole arrivano dopo il via libera di quattro ministeri: il decreto attuativo è stato firmato da Esteri, Interno, Turismo e Lavoro.
L’ingresso e il soggiorno sul territorio nazionale dei nomadi digitali che intendano soggiornare in Italia per un periodo superiore ai 90 giorni ricade all’infuori delle quote annuali fissate per i lavoratori extracomunitari. Chiunque intenda lavorare da remoto in Italia, anche per periodi inferiori ai 90 giorni, dovrà richiedere un visto di ingresso e un apposito permesso di soggiorno.
Rifiuto e revoca del visto per nomadi digitali
Il visto può essere rifiutato se già rilasciato. Può inoltre essere revocato se il datore di lavoro, o il committente, residente nel territorio dello Stato è stato condannato negli ultimi cinque anni, anche con sentenza non definitiva, compresa quella adottata dopo l’applicazione di una pena, anche pecuniaria ridotta a un terzo e se detentiva non superiore a un massimo di 5 anni di detenzione.
I requisiti dei nomadi digitali
L’ingresso in Italia e il soggiorno dei nomadi digitali è consentito solo a quei lavoratori che abbiano un reddito minimo che si aggira attorno ai 28.000 euro. La cifra è ricavata calcolando un reddito minimo annuo non inferiore al triplo del livello minimo previsto per l’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria. Agli aspiranti nomadi digitali si chiede poi di essere in possesso di una assicurazione sanitaria per cure mediche e ricovero ospedaliero valida per il territorio nazionale e per tutto il periodo del soggiorno, così da non gravare sullo già sgangherato Servizio sanitario nazionale.
L’aspirante dovrà inoltre dimostrare di avere a disposizione un alloggio e di avere maturato un’esperienza lavorativa di almeno 6 mesi.
I documenti
Il visto andrà chiesto all’ufficio diplomatico-consolare competente. Il suo rilascio sarà subordinato alla presentazione di una dichiarazione sottoscritta dal datore di lavoro e accompagnata dai documenti di identità. Il lavoratore dovrà anche attestare tramite autocertificazione l’assenza di condanne a suo carico negli ultimi 5 anni per reati correlati all’immigrazione clandestina, alla prostituzione, allo sfruttamento di minori e allo sfruttamento del lavoro (caporalato). Gli uffici diplomatici-consolari effettueranno verifiche a campione.
Se le regole italiane sono stringenti, altri Paesi hanno fatto anche di più: in Giappone i nomadi digitali verranno accolti dal prossimo mese. Il Giappone aprirà le porte (temporaneamente) solo ai professionisti in smart working che provengano da uno dei 49 Paesi presenti nella lista del ministero degli Esteri. Gli aspiranti dovranno avere un reddito minimo di 68.000 euro (10 milioni di yen).