Donne, che lavoro: 257 anni per la parità. Finalmente arriva il taglio Iva agli assorbenti

Il divario di genere è allarmante, in Italia e nel mondo. E il Covid ha peggiorato la situazione. “Stop Tampon Tax!" è l'iniziativa per chiedere il taglio dell'Iva su un bene non certo di lusso

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Miriam Carraretto

Giornalista politico-economica

Esperienza ventennale come caporedattrice e giornalista, sia carta che web. Specializzata in politica, economia, società, green e scenari internazionali.

Ci vorranno 257 anni prima che venga raggiunta la parità di genere, rispetto ai 202 preventivati nel rapporto 2019. 95 anni “solo” per colmare il divario di genere nella rappresentanza politica, con le donne nel 2019 che detengono appena il 25,2% dei seggi parlamentari e il 21,2% delle posizioni ministeriali.

Parità di genere nel mondo: chi fa meglio e chi peggio

La parità di genere, oggi, si attesta al 68,6% e gli ultimi 10 Paesi hanno colmato solo il 40% del divario. In 72 Paesi alle donne è vietato aprire conti bancari o ottenere crediti. A livello globale, solo il 55% delle donne, di età compresa tra 15 e 64 anni, è coinvolto nel mercato del lavoro rispetto al 78% degli uomini.

L’Europa occidentale ha fatto i maggiori progressi, attestandosi al 76,7%, seguita da Nord America (72,9%), America Latina e Caraibi (72,2%), Europa orientale e Asia centrale (71,3%), Africa sub-sahariana (68,2%), Asia meridionale (66,1%) e Medio Oriente e Nord Africa (60,5%).

L’aumento della partecipazione delle donne al mercato del lavoro, oggi, si è fermata e le disparità economiche stanno crescendo vertiginosamente. A livello globale, la tendenza è quella di un deterioramento generalizzato nelle economie emergenti e in via di sviluppo, solo in parte compensato dai guadagni realizzati nei paesi OCSE.

La parità di genere ha un impatto fondamentale sulla prosperità o meno delle economie e delle società. Così come sulla crescita, la competitività e la preparazione per il futuro delle imprese di tutto il mondo.

Giunto alla sua 14esimo edizione, il Global Gender Gap Report 2020 analizza ogni anno 153 Paesi sui progressi compiuti verso la parità di genere in quattro dimensioni: partecipazione e opportunità economiche, rendimento scolastico, salute e sopravvivenza ed empowerment politico. In più, la relazione 2020 esamina le prospettive del divario di genere nelle professioni del futuro.

Il rapporto presenta un quadro decisamente eterogeneo. Nel complesso, la ricerca della parità di genere è migliorata, tornando indietro di meno di un secolo e registrando un netto miglioramento rispetto ai 108 anni dell’indice del 2018. A ciò ha contribuito una maggiore rappresentanza politica delle donne, ma comunque l’arena politica rimane la dimensione con le prestazioni peggiori.

Dove il gender gap si sente di più

All’altro estremo della scala, si prevede che ci vorranno appena 12 anni per raggiungere la parità di genere nell’istruzione, e in effetti, in questo senso, la parità di genere è stata pienamente raggiunta in 40 dei 153 Paesi classificati.

Sebbene il livello di istruzione, la salute e la sopravvivenza siano molto più vicini alla parità (rispettivamente 96,1% e 95,7%), a preoccupare sono però la partecipazione delle donne e le loro reali opportunità economiche. Questa è l’unica dimensione in cui il progresso è regredito. Le cifre fanno riflettere, con un deterioramento della situazione che costringe la parità di genere a un modesto 57,8%.

L’ultimo dato Istat riferisce che dei 101mila posti di lavoro persi a dicembre 2020, 99mila erano di donne, e lo stesso smart working visto dal lato delle donne ha in molti casi contribuito ad aumentare il loro carico di lavoro. Non è certo un caso se la parità di genere figuri tra i 17 obiettivi dell’Agenda 2030 Onu per assicurare al pianeta uno sviluppo sostenibile.

Il primo paese per parità di genere è, per l’undicesimo anno consecutivo, l’Islanda. I Paesi con il miglioramento più marcato sono Albania, Etiopia, Mali, Messico e Spagna. Dei 149 Paesi classificati, 101 hanno migliorato i loro punteggi nell’indice 2019, esclusi i cinque nuovi Paesi che si sono aggiunti alla classifica quest’anno. 35 Paesi hanno raggiunto la parità di genere nell’istruzione. Nel settore sanitario, 48 Paesi hanno raggiunto la quasi parità e 71 hanno colmato almeno il 97% del divario.

Secondo il Global Gender Gap Index sui temi dell’equità di genere l’Italia figura al 76esimo posto tra i 153 censiti e al 17esimo sui 20 dell’Europa Occidentale. Peggio di noi ci sono solo Grecia, Malta e Cipro. La pandemia ha solo aggravato una situazione già di per sé non invidiabile.

Le cause delle disuguaglianze tra uomini e donne

Perché la situazione delle donne è più fragile rispetto a quella degli uomini? Il rapporto evidenzia tre ragioni principali: le donne hanno una maggiore rappresentanza nei ruoli che vengono automatizzati; non abbastanza donne stanno entrando in professioni in cui la crescita dei salari è più pronunciata (soprattutto quelle tecnologiche) e le donne affrontano il problema perenne di infrastrutture di assistenza e accesso al capitale insufficienti.

Guardando al futuro, il rapporto rivela che la sfida più grande per frenare il gender gap è superare la sottorappresentanza delle donne nei settori professionali emergenti: nei lavori del futuro, insomma. Nel cloud computing, ad esempio, solo il 12% dei professionisti sono donne. Allo stesso modo, nel settore ingegneria i numeri sono del 15% e nei dati e intelligenza artificiale del 26%.

Per affrontare queste carenze, serve che le donne siano meglio attrezzate in termini di competenze o riqualificazione per affrontare le sfide e trarre vantaggio dalle opportunità della Quarta Rivoluzione Industriale. Ridurre le differenze è il monito. Deve essere il monito.

L’esempio virtuoso di Coop: la campagna “Close the Gap”

Proprio per rispondere a questo appello non più rinviabile, sono diverse le realtà che si stanno muovendo, anche in Italia. Tra queste, Coop. Qui, il 70% dei 55mila dipendenti sparsi in tutta Italia è donna. Tra i soci, più della metà di quelli attivi sui territori è donna.

In occasione della Festa della Donna 2021 Coop ha lanciato la campagna “Close the Gap – Riduciamo le differenze”. In campo ci sono tutte le cooperative di consumatori, i dipendenti, i soci e i fornitori di prodotto a marchio. Nessuna pretesa di risolvere un problema che necessita di molti diversi interventi e che non può essere solo affidato alle singole imprese, precisa, ma la volontà urgente di fare la propria parte.

“Vogliamo percorrere con maggiore decisione la strada a favore di una cultura della diversità e dell’inclusione, con l’idea di darci obiettivi non di facciata – spiega Marco Pedroni, Presidente Coop Italia e Ancc-Coop (Associazione Nazionale Cooperative di Consumatori). Coop è molto sensibile al tema, “il principio dell’integrazione e dell’eguaglianza è parte costitutiva dell’essere cooperativa”.

Pedroni spiega che i dati Coop fotografano una situazione migliore della media per quanto attiene ad esempio la composizione dei consigli di amministrazione (oltre il 44% è donna) e la presenza di donne nei ruoli direttivi sul totale degli occupati (oltre il 32%). Inoltre, tutte le cooperative Coop contemplano nei contratti integrativi la presenza di Commissioni Pari Opportunità e la presenza di donne è al 50% tra chi frequenta i corsi formazione finalizzati ai posti di responsabilità.

In molti punti della rete vendita il personale è composto unicamente da donne; nei ruoli di caponegozio e capireparto si attesta sul 43% di presenza femminile. “Ma vogliamo fare di più e rendicontarlo, cercando di agire con più determinazione sul versante della leadership femminile che è un importante punto di arrivo anche per noi”.

“Stop Tampon Tax!”: la disuguaglianza negli assorbenti

Tra le prime azioni del gruppo Coop c’è l’adesione alla petizione “Stop Tampon Tax! Il ciclo non è un lusso” promossa dall’associazione Onde Rosa su Chiange.org per tagliare l’Iva sugli assorbenti: hanno già aderito oltre 500mila persone. Fino al 13 marzo tutti gli assorbenti a scaffale saranno venduti nei supermercati Coop con Iva ridotta al 4% al posto del 22%. Inoltre le clienti troveranno una special edition degli assorbenti Vivi Verde Coop, già con aliquota ridotta perché compostabili, “vestiti” in confezioni ad hoc che invitano a firmare la petizione.

L’azione di Coop agisce su un segmento di mercato molto presidiato dalla grande distribuzione, dove si concentra la gran parte delle vendite di assorbenti femminili: sono infatti in un anno circa 3,9 miliardi gli assorbenti venduti di cui 270 milioni in Coop. In termini di fatturato ciò si traduce in 400 milioni di euro di cui 72 sono Iva.

La disuguaglianza è generata in primo luogo da elementi strutturali, “come per esempio la scarsa rappresentanza di genere che non trasferisce modelli e quindi aspirazioni per le giovani donne, ma inizia anche dalle piccole differenze” spiega Maura Latini, AD Coop Italia, proprio come quella che si riscontra tra la tassazione dei prodotti di igiene e cura.

Gli assorbenti femminili, che non sono certo un bene di lusso, subiscono un’Iva del 22%, al pari di articoli di abbigliamento, sigarette, vino, che non sono considerati di prima necessità. Quella dell’abbassamento dell’Iva sugli assorbenti non è solo una questione economica, di puro risparmio, ma anche culturale. “La scelta di tassare come bene di lusso un assorbente è prima di tutto un errore di valutazione e un messaggio sbagliato, che si traduce in una discriminazione concreta contro la quale vogliamo contribuire ad attivare l’attenzione di donne e uomini”.

Nella Legge di bilancio del 2019 l’aliquota sul tartufo è stata ridotta dal 10% al 5% mentre il taglio dell’imposta al 5% è stato applicato dalla Legge di bilancio del 2020 solo agli assorbenti compostabili e lavabili ma è rimasta lettera morta per la totalità degli assorbenti di largo consumo. Intanto Inghilterra, Belgio e Olanda hanno già ridotto l’aliquota, Canada, Irlanda e l’India l’hanno abolita e la Scozia, seguita ora dalla Francia, fornirà gratuitamente gli assorbenti alle sue cittadine.