Licenziato per uno sciopero spontaneo: la Cassazione ribalta tutto

Una nuova sentenza della Suprema Corte tutela lo sciopero spontaneo, niente licenziamento per chi protesta in modo collettivo. Ecco i limiti e le condizioni

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Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

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Lo sciopero è oggetto di un diritto fondamentale dei lavoratori, tutelato nella Costituzione, nello Statuto del 1970 e nei contratti collettivi. Ma anche quando è fatto valere in modo “spontaneo” e senza l’appoggio delle sigle sindacali, può dirsi legale? Oppure i dipendenti rischiano gravi conseguenze disciplinari, fino al licenziamento?

Una risposta chiara è stata offerta dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 11347 di quest’anno, che rappresenta una decisione di grande rilievo nelle relazioni industriali. Vediamo insieme che cosa dice e perché è importante conoscerla, specialmente se c’è intenzione di organizzare quanto prima un’astensione dal lavoro collettiva e organizzata.

Il caso concreto e l’astensione dal lavoro senza l’appoggio di sigle sindacali

Ripercorriamo in sintesi i punti chiave della disputa. Tre lavoratori di un’azienda privata avevano deciso di scioperare per un’ora e in modo spontaneo, ossia astenendosi dallo svolgimento delle mansioni contrattuali ma senza partecipare a un’iniziativa proclamata formalmente e ufficialmente dai sindacati. Insomma, uno sciopero libero e specchio autentico delle loro rivendicazioni, contro un salario ritenuto inadeguato all’impegno profuso in azienda e al loro inquadramento contrattuale.

La motivazione economica dello sciopero insieme alla scelta spontanea e non concordata né con un sindacato, né tanto meno con lo stesso datore, furono fattori che spinsero l’azienda a disporre il licenziamento per giusta causa. Il datore, in particolare, affermava che l’assenza era ingiustificata e lesiva dell’organizzazione e produttività aziendale.

Uno dei dipendenti, però, aveva impugnato il recesso, chiedendo al giudice del lavoro di accertarne il carattere ritorsivo e discriminatorio. Sia il tribunale che la corte d’appello gli avevano dato ragione, ordinando reintegra e risarcimento.

In particolare, il giudice di secondo grado ha confermato la nullità del recesso unilaterale e spiegato che ogni comportamento datoriale che sanziona o dissuade i lavoratori dal partecipare a uno sciopero è contrario ai principi dell’art. 40 della Costituzione e dell’art. 15 dello Statuto dei Lavoratori. Quest’ultimo, in particolare, vieta qualsiasi atto aziendale discriminatorio nei confronti dell’esercizio dei diritti sindacali, compreso quello dello sciopero.

La Cassazione conferma la nullità del licenziamento disciplinare a specifiche condizioni

L’azienda datrice fece ricorso presso i giudici di piazza Cavour, ma l’esito non cambiò. È nullo il licenziamento anche senza sindacato ed è stato giuridicamente e logicamente corretto il ragionamento con cui la corte d’appello è giunta alla sua sentenza. Così si è espressa la Suprema Corte, chiudendo la disputa giudiziaria in questione.

In particolare, la sentenza n. 11347 stabilisce che l’espulsione di un dipendente, che partecipa a uno  sciopero spontaneo è priva di effetto, se l’astensione è:

  • collettiva, coinvolgendo più persone senza essere una semplice assenza individuale;
  • mirata a tutelare interessi o finalità comuni dei lavoratori (in questo caso quello alla miglior retribuzione);
  • rispettosa dei limiti costituzionali del diritto di sciopero, non andando cioè a compromettere altri beni o diritti costituzionali di identico rango.

La pronuncia ha il merito di rafforzare e chiarire ulteriormente un orientamento già presente in giurisprudenza e ribadisce un principio fondamentale: il diritto di sciopero appartiene direttamente ai lavoratori, non soltanto alle organizzazioni sindacali. Per renderne legittimo l’esercizio, quindi, non è necessaria intermediazione o compartecipazione dei sindacati e non possono esservi conseguenze disciplinari, in caso di partecipazione a proteste non sindacali.

Inoltre, come accennato sopra, il diritto di sciopero è pienamente riconosciuto dall’art. 40 della Costituzione, il quale garantisce ai lavoratori la possibilità di astenersi collettivamente dalle mansioni, ma l’esercizio di questo diritto è sempre indipendente dalla proclamazione formale dello stop temporaneo delle attività lavorative.

Non solo. La Corte rimarca che non è richiesto un preavviso al datore di lavoro, salvo che si tratti di servizi pubblici essenziali per la collettività, per i quali – come è noto – vigono le regole specifiche della legge n. 146/1990 (tra cui quelle in merito alla garanzia di prestazioni indispensabili).

La tutela integrale disposta dalla magistratura

Uno dei passaggi più importanti della sentenza riguarda le conseguenze del licenziamento illegittimo e nullo. Si applica infatti la tutela reintegratoria piena a favore del dipendente mandato via senza fondato motivo.

Alla luce del complesso di regole previste dallo Statuto dei lavoratori e dal d. lgs. 23/2015, siamo innanzi a un caso di licenziamento ritorsivo e discriminatorio dal quale scaturisce l’obbligo di reintegro del dipendente (salva la possibilità di indennità sostitutiva) nel suo posto di lavoro e il risarcimento del danno pari alle retribuzioni perdute dal licenziamento fino alla reintegrazione, non inferiore a cinque mensilità.

Inoltre al lavoratore vanno riconosciuti i contributi previdenziali e assistenziali relativi al periodo di ingiusta estromissione.

Che cosa cambia

Come abbiamo visto recentemente, quello dello sciopero illegittimo è un tema ricorrente. La Cassazione, con sentenza 11347/2025, ha stabilito che è nullo il licenziamento per partecipazione a sciopero spontaneo e non indetto da sigle sindacali, laddove la protesta sia stata fatta nell’interesse dei lavoratori. La sentenza ha l’utilità di rafforzare la protezione dei lavoratori, specie in quegli ambiti privi di ramificata rappresentanza sindacale, e in cui le proteste possono nascere in modo spontaneo.

Per legge, non sono imposte forme specifiche di proclamazione dell’astensione, se quest’ultima è esercitata in modo collettivo nell’ambito del lavoro privato e – anzi – il diritto di sciopero non può essere svuotato da clausole o prassi aziendali, che ne rendano difficile o rischioso l’esercizio.

La Suprema Corte, nel motivare la propria decisione, ha ricordato che l’unico limite allo sciopero è rappresentato dalla tutela di altri diritti costituzionali di pari rango. In particolare, uno sciopero può considerarsi illegittimo – e quindi potenzialmente sanzionabile – solo se:

  • compromette irreparabilmente la produttività dell’impresa. Si pensi ad es. un blocco improvviso e prolungato della produzione in uno stabilimento alimentare che causa il deterioramento irreversibile delle materie prime;
  • causa la distruzione o l’inutilizzabilità duratura di impianti e strutture aziendali.  È il caso ad es. dell’astensione che interrompe il funzionamento dei macchinari, provocando danni permanenti al reparto;
  • mette a rischio beni fondamentali come vita o sicurezza. Si pensi ad es. un’astensione improvvisa del personale sanitario;
  • determina un pregiudizio grave e permanente per attività economica e occupazione. Si tratta ad es. della situazione delle conseguenze di uno sciopero nel settore dei trasporti.

In assenza di questi effetti nocivi per beni e diritti protetti costituzionalmente, lo sciopero – anche se privo di proclamazione sindacale o preavviso – resta pienamente legale, perché l’astensione collettiva dal lavoro è legittimo esercizio di libertà sindacale e autodeterminazione.

Concludendo, la Cassazione richiama le imprese a un maggiore rispetto dei diritti collettivi, evitando di confondere mancanza di forma con illiceità. Al contempo, nella sentenza 11347/2025, la Corte afferma con chiarezza che, nel lavoro privato, la libertà sindacale non è monopolio delle sigle tradizionali: il potere di scioperare appartiene ai lavoratori stessi, ogni volta che agiscono per la tutela di interessi comuni e nel rispetto delle regole generali di convivenza civile e produttiva.