Pubblico impiego, arriva il bonus “una tantum”: cosa è e quanto vale

La manovra ha stanziato 1 miliardo per un bonus una tantum pari all'1,5% dello stipendio ai dipendenti pubblici ma il contributo non è adeguato a coprire l'inflazione ed avvantaggerà i redditi più alti

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Redazione

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La vecchia indennità di vacanza contrattuale, prevista per i dipendenti pubblici fra la scadenza di un contratto collettivo ed il suo rinnovo, verrà sostituita l’anno prossimo da un bonus “una tantum” pari all’1,5% dello stipendio. E’ quanto ha previsto la Legge d Bilancio 2023, appena firmata dal Presidente Sergio Mattarella.

Risorse stanziate e platea

La Manovra ha stanziato circa 1 miliardo di euro (che diventano 1,15 miliardi comprensivo de contributi Irap) per il pagamento del bonus sugli stipendi dei dipendenti pubblici, cioè quelli che lavorano nelle amministrazioni centrali quali Ministeri, agenzie fiscali, enti non economici come INPS ed Inail e scuola. Si tratta però del 55% dei dipendenti pubblici che ammontano complessivamente a 3,2 milioni di individui.

Il resto è rappresentato da altri comparti del pubblico impiego come sanità, università, regioni, province e comuni e le città metropolitane. La spesa effettiva per il bonus una tantum dovrebbe quindi aggirarsi sugli 1,8 miliardi di euro, con un ammanco che dovrebbe essere ripianato dagli Enti locali con i propri bilanci autonomi.

Il miliardo stanziato dal governo verrà formalmente attribuito al Fondo per la contrattazione, ma non entrerà in contrattazione, da momento che si tratta di un contributo fisso. Le risorse saranno ripartite del MEF.

Come sarà pagato

Il bonus “una tantum” pari all’1,5% dello stipendio verrà spalmato su 13 mensilità, quindi verrà pagato mensilmente, compresa la tredicesima.

Questo aumento fisso dell’1,5% dello stipendio, costituirà un “emolumento accessorio” in busta paga, pagato per compensare il mancato pagamento dell’indennità di vacanza contrattuale, che non può essere pagata per mancanza di fondi. Questa, introdotta i 23 luglio 1993, prevede il recupero dell’inflazione e più precisamente: fino al 6° mese di vuoto contrattuale il recupero del 30% del tasso di inflazione; dal 6° mese in poi il recupero del 50% del tasso di inflazione.

Dal momento che l’inflazione ha superato l’11% ad ottobre e si avvia a chiudere l’anno ai massimi dagli anni ’80, pagare la prevista indennità di vacanza contrattuale sarebbe proibitivo per lo Stato, la cui spesa dovrebbe aggirarsi sui 10 miliardi per la PA centrale e circa 16 miliardi per tutto il pubblico impiego.  Il rinnovo del contratto siglato di recente, infatti, copriva il triennio 2019-2021 e manca ancora da erogare l’indennità per l’anno 2022 in attesa del rinnovo del CCNL.

Facendo due conti…

Il bonus una tantum non servirà a compensare l’inflazione, non solo perché è molto più basso del caro vita, ma anche perché è pari ad una percentuale dello stipendio e quindi compenserà maggiormente coloro che hanno uno stipendio medio-alto rispetto a quelli che hanno uno stipendio medio-basso.

Ne deriva che il compenso sarà pari a circa 20,8 euro lordi al mese per la fascia retributiva più bassa e 54 euro lordi al mese per i dirigenti di seconda fascia, per arrivare a 74 euro al mese per la prima fascia dirigenziale.