Una nuova ricerca ha analizzato la situazione dei cosiddetti Neet italiani, i giovani che non lavorano e non studiano. Secondo i dati ufficiali nel nostro Paese questo fenomeno si presenta con una frequenza nettamente superiore a quella europea. Il report Lost in Transition però ha riscontrato che una percentuale altissima dei ragazzi tra i 15 e i 29 anni che vivono in città in questa situazione in realtà lavorano, ma in nero.
Anche se c’è una distinzione netta tra i cosiddetti Neet che vivono in città e quelli delle aree interne, che vivono effettivamente una situazione più simile a quella che ci si aspetta da persone categorizzate sotto questa dicitura. Il rapporto arriva a definire i ragazzi che vivono in città “ancora in gioco“, mentre per coloro che si trovano in una situazione di difficoltà in provincia si preferisce la designazione “per ora in pausa“.
Neet in Italia, gli ingannevoli dati ufficiali
Negli ultimi anni si parla sempre più spesso di una precisa categoria di giovani denominata con l’acronimo inglese Neet, che sta per “Not in education, emploiment nor training”. La definizione più comune di questa porzione di popolazione è quella che limita l’età tra i 15 e i 29 anni e pone la condizione che queste persone non studino, non lavorino e non siano coinvolte in nessun tipo di apprendistato o di formazione. Ma al di là della definizione formale, la categoria dei Neet individua un preciso comportamento sociale.
La figura che più comunemente si associa a questo acronimo è quella del giovane isolato, non solo senza lavoro o progetti di studio ma anche con pochissimi contatti sociali al di fuori della propria famiglia stretta. In Italia, stando ai dati ufficiali, questo fenomeno presenta una gravità quasi emergenziale. Secondo i dati Eurostat, il nostro Paese in Europa è battuto solo dalla Romania per numero di giovani Neet, e si mantiene ai livelli di Grecia e Bulgaria. Circa il 16% dei giovani in questa fascia di età si troverebbe in una condizione di gravissima marginalizzazione sociale.
Il confronto con i Paesi che hanno un’economia paragonabile alla nostra fa apparire la situazione ancora più grave. La Francia presenta dati di 4 punti percentuali inferiori ai nostri, numeri simili a quelli della Spagna, mentre la Germania è in piena media europea, al 10%. Secondo le ultime rilevazioni Istat, in Italia ci sarebbero quindi 2,1 milioni di giovani che non lavorano e non studiano e che, di conseguenza, rischiano di essere emarginati dalla società.
Il 90% dei Neet nelle città italiane in realtà lavora
Se questi dati corrispondessero alla realtà si tratterebbe di un problema sociale molto grave. Il rapporto Lost in Transition del Consiglio nazionale dei Giovani però traccia un quadro molto diverso da quello dei dati Eurostat. Pur non negando quanto raccolto dall’istituto di statistica europeo e confermando che, a livello ufficiale, poco più di due milioni di giovani non studia e non lavora, il rapporto qualifica questa cifra con dettagli che assumono una grande importanza per chiarire quale sia la natura del fenomeno Neet in Italia.
Lost in Transition riporta infatti che, stando ai dati raccolti, l’88,9% dei Neet italiani che vivono nelle città e quasi il 75% di quelli che vivono nelle aree interne ha o avrebbe avuto di recente un lavoro. Questi impieghi però non emergono nelle statistiche ufficiali perché in buona parte si tratta di lavori irregolari, senza contratti e senza una retribuzione a norma di legge. Come riassume lo stesso rapporto, si tratta quindi di lavoro nero.
Non si tratta però soltanto di lavoretti. Il 50% dei Neet nelle aree urbane dichiara di essere economicamente indipendente, percentuale simile a quella dei Neet che risulta avere un diploma di laurea o accademico nelle aree urbane, oltre il 63%. Anche se questi dati sono confortanti per quanto riguarda la situazione sociale dei giovani italiani, rimangono però comunque gravi dal punto di vista economico.
Una fascia significativa della popolazione attiva, tra quella che dovrebbe essere maggiormente coinvolta nell’attività economica, è relegata a un ruolo marginale. I lavori saltuari, senza contratti e garanzie, comportano un’incertezza che compromette i progetti futuri di queste persone e ha impatti seri su diversi aspetti della società italiana, dai consumi fino allo sviluppo di una famiglia e alla crisi delle nascite.
Le grandi differenze tra città e aree interne
Il tema centrale del rapporto Lost in Transition è però in confronto tra quelle che all’interno della ricerca sono state individuate come aree metropolitane e il resto del Paese, denominato aree interne. Buona parte dei dati positivi per quanto riguarda i Neet proviene infatti dalle prime, con l’eccezione soltanto del numero di giovani che effettivamente lavora anche se in nero, molto alto anche in provincia (74,8%) seppur lontano 15 punti percentuali dai risultati fatti registrare in città.
Le notizie positive per i giovani in difficoltà nelle aree rurali del Paese si fermano però qui. La loro condizione è sotto tutti gli aspetti peggiore di quella dei loro pari età che vivono nelle aree urbane. Il confronto diretto rivela quanto diverse siano le vite di queste due categorie, che il rapporto ha infatti individuato come giovani “Ancora in gioco” per quanto riguarda le città e “Per ora in pausa” per quanto riguarda le zone interne.
- Lavoro sommerso: aree urbane 88.9%, aree interne 74,8%
- Possesso di una laurea o di un titolo accademico: aree urbane 65,3%, aree interne 9,6%
- Interazioni sociali e sportive: aree urbane 72,5%, aree interne 53,2%
- Attività sportiva quotidiana: aree urbane 59,3%, aree interne 34%
- Tempo trascorso giocando ai videogiochi: aree urbane 58,8%, aree interne 35%
Secondo la presidente del Consiglio Nazionale dei Giovani Maria Cristina Pisani, questo rapporto sarebbe “l’ennesima dimostrazione di quanto non sia realistica la narrazione dei giovani choosy e di quanto siano estese la zona grigia di formazione non riconosciuta e quella di lavoro sommerso e in deroga. Giovani che, peraltro, affrontano sfide uniche e variegate a seconda del loro contesto territoriale. È cruciale che le politiche pubbliche riconoscano queste differenze e adottino approcci personalizzati per supportare efficacemente i Neet e accompagnarli verso una formazione e un’occupazione di qualità”.
“A differenza dei Neet delle aree metropolitane, quelli delle aree interne subiscono maggiormente l’assenza di opportunità vivendo la loro condizione con maggiore rassegnazione. Questo ci obbliga a ragionare sulla necessità di interventi mirati per fornire opportunità concrete e costruire reti di supporto adeguate per ciascuno. È necessario lavorare per promuovere politiche che riconoscano e valorizzino l’iniziativa dei giovani, offrendo loro gli strumenti e le risorse necessari per costruire un futuro più stabile e all’altezza delle loro aspirazioni”, ha poi concluso Pisani a margine della presentazione del rapporto.