Tutto costa di più: di quanto dovrebbero aumentare gli stipendi?

A fronte della forte spinta inflazionistica, di quanto dovrebbero aumentare gli stipendi per essere considerati davvero competitivi? Come è cambiato il potere di acquisto?

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Federica Petrucci

Editor esperta di economia e attualità

Laureata in Scienze Politiche presso l'Università di Palermo e Consulente del Lavoro abilitato.

Ci sono una serie di fattori economici molto rilevanti da considerare quando si parla di redditi e potere di acquisto: prima di tutto, a fronte della forte spinta inflazionistica, di quanto dovrebbero aumentare gli stipendi per essere considerati competitivi? 

Come è cambiato il mercato del lavoro

Insieme all’aumento dell’inflazione, la carenza di manodopera a livello nazionale ha dato oggi ai lavoratori molto più potere contrattuale di quello che avevano tradizionalmente quando i mercati erano più deboli (qui, per esempio, vi abbiamo parlato di un settore a rischio per mancanza di personale).

Con il fenomeno delle cd. “grandi dimissioni”, e l’emergenza Covid che ha fatto emergere i problemi strutturali del mercato lavorativo italiano, il modo in cui le persone si approcciano alla propria professione è cambiato: si cercano occupazioni flessibili, sostenibili e soddisfacenti, sia da un punto di vista formativo che remunerativo. Inoltre, c’è una nuova consapevolezza: c’è – come già detto – una carenza di manodopera evidente in molti settori e, con l’inflazione, per molti è giustificato chiedere di più.

Adesso i candidati si informano, si guardano intorno e vedono che cosa ha da offrire la concorrenza, poi si rivolgono al proprio datore di lavoro, cercando di ottenere quello che meritano (o che comunque risulta essere in linea con le retribuzioni medie per quella specifica posizione). Se non lo ottengono, valutano di cambiare.

Tuttavia, è vero anche che abbiamo al momento due narrazioni ricorrenti e – per molti aspetti – anche paradossali: perché se da un lato sono tanti i disoccupati in cerca di lavoro, dall’altro ci sono sempre più aziende che affermano di non riuscire a trovare personale? I dati, in entrambi i casi non mentono, ma dimostrano che c’è una discrepanza di competenze tra lavoratori in cerca e opportunità di carriera.

Le tendenze demografiche sono un’altra parte del problema. I cd. baby pensionati hanno lasciato la forza lavoro più velocemente di quanto i giovani vi entrino, il che non facilita il turnover, e crea un buco insostenibile per le casse dello stato (ma questa è un’altra storia, per approfondire: del problema che l’Italia ha le pensioni ne avevamo parlato già qui).

Di quanto dovrebbero aumentare gli stipendi?

Chi ha deciso di cambiare lavoro durante o dopo l’emergenza Covid, di fatto, non ha preso questa decisione solo per una questione di soldi. La pandemia ha portato molti a riconsiderare le proprie vite, da qui l’esigenza di puntare a un lavoro più sostenibile e in linea con quelle erano le proprie esigenze personali (e la richiesta sempre più alta di lavori da remoto).

Poi, però, è arrivata la guerra e l’instabilità economica, i prezzi hanno iniziato a oscillare e l’inflazione ha continuato ad alimentare il rischio di una forte recessione. I soldi, quindi, sono ritornati a essere un fattore importante. L’inflazione sta spingendo verso l’alto i prezzi del cibo e del carburante a livelli, per alcuni, impossibili. Per molti, quindi, l’unica opzione è chiedere un aumento della retribuzione, tale da attutire il colpo, oppure ancora cercare un lavoro – diverso dall’attuale – che garantisca maggiori entrate.

Ma di quanto dovrebbero aumentare gli stipendi per riuscire a fronteggiare la spinta inflazionistica? L’aumento dell’inflazione significa che il valore, o il potere di spesa, delle buste paga sta diminuendo.

Qualsiasi aumento annuo pari o inferiore all’attuale tasso di inflazione è, in termini di denaro reale, una riduzione dello stipendio. In pratica vuol dire che più aumenta l’inflazione più diminuisce il potere di spesa dello stipendio. Seguendo le indicazioni dell’Office for National Statistics, con l’inflazione che in Italia ha registrato un aumento del +11,6% a dicembre 2022, per ogni 100 euro di stipendio l’aumento non dovrebbe essere minore a 111/112 euro per essere considerato competitivo (o comunque tale da far acquisire alla retribuzione lo stesso valore pre-impennata dei prezzi).

Come l’inflazione influisce su stipendi e salari

Questo vuol dire che tutte le imprese, col tempo, riconosceranno un aumento ai propri dipendenti? Rispondere a questa domanda non è facile, forse perché è meglio cambiare prospettiva. Prima di tutto, è probabile che saranno i lavoratori più qualificati – ovvero le figure professionali più richieste – ad avere maggiori opportunità di crescita salariare (e quindi a chiedere e ottenere di più). Le aziende potrebbero disporre maggiore budget per stipendi, bonus e vari benefit ma solo per trattenere e attrarre i migliori talenti

Dal punto di vista della BCE, è una fortuna che la pratica di collegare gli aumenti salariali al tasso di inflazione sia oggi meno comune in Europa di quanto non fosse negli anni ’70. L’inflazione sta aumentando a un tasso annuo del 7,5% e la banca cerca disperatamente di evitare una spirale in cui prezzi al consumo più elevati generano salari più alti, che aumentano ulteriormente il prezzo di beni e servizi (il datore di lavoro, in qualche modo, cerca di recuperare quanto speso per i maggiori stipendi: quindi aumenta il costo del servizio che offre).

Diverse imprese, ad esempio, insistono spesso sulle clausole di indicizzazione, che consentono loro di trasferire ai clienti gli aumenti dei prezzi delle materie prime e altri costi. I servizi pubblici regolamentati, le società di telecomunicazioni e i fornitori di immobili commerciali sono particolarmente abili in questo. Tuttavia, i lavoratori, non le aziende, sopportano il peso maggiore dell’inflazione.

Forse, nel frattempo, un’applicazione più rigorosa dell’antitrust può aiutare a correggere lo squilibrio tra le realtà economiche che hanno troppo potere di determinazione dei prezzi, e i lavoratori, che ne hanno troppo poco.