L’IA ruberà davvero il lavoro? Lo spettro della speculazione in un recente caso

La tecnologia è sempre più pervasiva nella società e nel mondo del lavoro. La vicenda Keyword Studios, i licenziamenti in vista e la denuncia dei sindacati

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Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

Pubblicato: 3 Agosto 2024 09:00

La diffusione dell’intelligenza artificiale (IA) nel mondo del lavoro è tema oggetto di un dibattito sempre più ricco di spunti, osservazioni e opinioni anche decisamente contrastanti. I sostenitori ne sottolineano vantaggi e potenzialità, come ad esempio l’automatizzazione dei compiti ripetitivi, la riduzione degli errori umani, il supporto ai clienti h24 o l’attento monitoraggio delle condizioni di lavoro – con annessa rilevazione delle situazioni di rischio per salute e sicurezza dei dipendenti.

Coloro che invece hanno un’impostazione critica, denunciano i pericoli più o meno nascosti derivanti dal ricorso sempre più massiccio all’IA. Tra essi la dipendenza dei lavoratori dalla tecnologia e la diminuzione delle capacità di svolgere mansioni senza quest’ultima, la possibilità che informazioni personali e aziendali circolino oltre il perimetro della privacy o quelli che vengono definitivi bias algoritmici. Con quest’ultima espressione ci si riferisce al fatto che gli algoritmi che reggono il funzionamento dell’IA potrebbero essere influenzati da pregiudizi inclusi nei dati di addestramento, conducendo a decisioni discriminatorie o ingiuste anche sul fronte lavorativo.

Vero è insomma che l’intelligenza artificiale non mette tutti d’accordo e un recente caso riguardante decine di lavoratori tra Roma e Milano, conferma che non è tutto oro quello che luccica. Anzi l’IA potrebbe essere utilizzata non per sostituire dipendenti, bensì come pretesto per tagliare eccessivamente i costi del personale e coprire possibili speculazioni. Vediamo più da vicino.

Intelligenza artificiale e lavoratori in esubero: il caso Keywords Studios

Nel nostro paese il giro d’affari nel mondo dei videogiochi continua a crescere. 2,3 miliardi di euro è il suo valore aggiornato, così come indicato dall’ultimo rapporto recentemente pubblicato da Iidea, associazione di categoria dell’industria videoludica italiana. E nel 2023 circa 13 milioni sono stati i videogiocatori in Italia, a testimonianza di quanto il settore sia in voga e attrattivo anche sul fronte degli investimenti e dei ricavi.

Insomma con questi numeri pare davvero difficile parlare di crisi o difficoltà organizzative per un’azienda americana ben nota nel settore, come Keywords Studios  – avente sedi in tutto il mondo e anche in Italia – ma la vicenda che ha trovato spazio nelle notizie di cronaca di questo periodo, in parte stupisce ed è sicuramente degna di nota.

L’intelligenza artificiale minaccerebbe una non piccola parte dei posti di lavoro dell’industria videoludica e in questa maniera si potrebbe spiegare – almeno a prima vista – il massiccio taglio di personale compiuto in questi giorni dalla società statunitense. Si tratta di un big del settore a livello mondiale e di un’azienda che si occupa di servizi di supporto per i videogiochi, in particolare per quanto riguarda localizzazione, doppiaggio, testing e Quality assurance, supporto artistico e sviluppo di software. Per capire la sua importanza nel mondo del gaming, sono i traduttori di Fortnite a vedere nubi sempre più cupe sul fronte lavorativo.

Dalla scelta di Keywords Studios è scaturita la proclamazione di uno sciopero da parte dei sindacati, per porre l’attenzione su una flessione che apre le porte al licenziamento collettivo e alla ristrutturazione della forza lavoro, con alle porte non più lo stipendio ma la Naspi. In sintesi, la divisione italiana dell’azienda Usa – con annuncio ufficiale del 27 giugno scorso – ha ritenuto opportuno fare a meno di 31 persone su un organico di 159 dipendenti sul territorio del nostro paese, distribuiti tra Roma e Milano – nell’idea di sostituirli con l’intelligenza artificiale. 

Lo stato di agitazione e lo sciopero

Dieci anni di crescita ininterrotta nei ricavi non sono bastati a salvare i posti di lavoro – questo il succo del comunicato Filcams, Fisascat e Uiltucs – e alla prima flessione dei ricavi nel 2023, la Keywords Studios ha scelto di sostituire 31 dipendenti con la tecnologia.

Ecco allora la proclamazione dello stato di agitazione da parte di Cgil, Cisl e Uil, criticando le modalità e tempistiche con cui è stata avviata la procedura di licenziamento collettivo dei lavoratori della grande azienda americana, nelle immediate vicinanze delle ferie estive e con esclusione a priori del ricorso agli ammortizzatori sociali o a qualunque piano aziendale, che possa evitare 31 licenziamenti per esubero del personale.

Due giornate di sciopero con la richiesta all’azienda di modificare la propria linea mirata al drastico taglio del personale di Roma e Cinisello Balsamo e di mostrarsi disponibile a cercare soluzioni alternative per salvare i posti di lavoro. A dire il vero questa è un’estate molto calda anche sul fronte dei licenziamenti collettivi, come abbiamo già visto ad esempio con il caso Euronics o con quello dei licenziamenti Intel.

Il taglio dei costi e l’accusa di speculazione delle sigle sindacali

Al fine di ridurre i costi delle attività e tornare – conseguentemente – a un livello di incassi ritenuto adeguato rispetto alle uscite, la Keywords ha optato per affidare alcune attività umane all’intelligenza artificiale, insieme al trasferimento di un’ampia fetta dell’area produttiva in un mega hub già attivo in territorio polacco. Ecco spiegati gli altri tagli del personale Keywords Studios in altre sedi sparse per il globo, come ad es. in Spagna, Germania o Giappone.

Tuttavia, secondo i sindacati, la flessione dei ricavi e l’avvento dell’IA altro non sarebbe che una giustificazione ‘di facciata’ al taglio dei posti e al licenziamento collettivo. Dietro ci sarebbe infatti la volontà sì di tagliare i costi, ma per rendere più appetibile la futura vendita. Questa è la non velata accusa dei sindacati: dietro la mossa della riduzione dei posti per ristrutturazione aziendale e l’impatto dell’IA, ci sarebbe una vera e propria speculazione.

Come riporta anche il quotidiano Repubblica, la ristrutturazione – e il taglio delle spese – agevolerebbe la cessione per due miliardi di euro di Keywords a EQT, un fondo di investimenti svedese. Non solo. Questa interpretazione delle ultime scelte dell’azienda americana è avvalorata dai recenti aumenti di stipendio per gli AD. Infatti i lavoratori di Keywords hanno segnalato che, nonostante il comunicato del licenziamenti, contestualmente nei bilanci pubblicati è stato approvato uno stipendio per i tre amministratori delegati di 380.000 euro, 14mila in più rispetto all’anteriore (con bonus di circa 48.000 euro). Come a voler suggerire che – in fin dei conti – il vero problema non sono i costi in sé dei dipendenti per il loro contributo professionale, ma le politiche senza scrupoli dei ‘piani alti’ delle aziende.