Senza posto di lavoro per colpa dell’algoritmo ma questa sentenza ribalta tutto

Quando la tecnologia sbaglia, a rimetterci sono anche i lavoratori che perdono il loro legittimo diritto ad insegnare. Una recente caso testimonia i rischi di inefficienza dell'IA

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Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

Pubblicato: 9 Ottobre 2024 06:00

La tecnologia è sempre più presente nel mondo del lavoro, basti pensare alla nascita e sviluppo delle nuove professioni del web, oppure alla diffusione dello smart working o ancora al ruolo dell’intelligenza artificiale in vari campi dell’occupazione. Talvolta però anche le macchine sbagliano. Ne sa qualcosa una prof che aveva perso (momentaneamente) l’opportunità di insegnare, perché scavalcata da un collega con un punteggio più basso. Tutto per colpa di un algoritmo che, di fatto, non ha riconosciuto e applicato il suo diritto a lavorare.

Vediamo più da vicino questa vicenda, che si colloca alla perfezione nel XXI secolo e dimostra ancora una volta che non esiste solo lo sbaglio umano. Ma consideriamo anche un fresco precedente, che ribadisce come l’errore informatico non sia affatto una rarità nel mondo del lavoro.

Il caso

La donna si era impegnata a trovare la cattedra ed insegnare ma, pur avendo i requisiti per iniziare a lavorare, l’algoritmo ministeriale che assegna le cattedre annuali l’ha erroneamente fatta ‘retrocedere’, dando il posto di lavoro a chi aveva un minor numero di punti. Il risultato è stato un anno di disoccupazione ingiustificata per una persona che, tra l’altro, si era trasferita dal sud Italia al capoluogo lombardo per coronare finalmente il suo sogno lavorativo.

Non dandosi per vinta, la prof – per il tramite dei sindacati – si è così rivolta al giudice del lavoro del tribunale di Milano, consapevole di poter dimostrare il suo legittimo diritto e farsi riconoscere così stipendi e punti persi. Per colpa di un errore non umano, ma della macchina.

Il paradosso è che la donna veniva qualificata come ‘rinunciataria’ rispetto alla cattedra, finendo nel dimenticatoio senza motivo.

Scendendo un po’ più nel dettaglio, agli organi di informazione la vittima dell’errore informatico ha raccontato che lo scorso anno non aveva ricevuto alcuna chiamata dalle graduatorie provinciali per le supplenze (gps), ma nel bollettino pubblicato aveva notato cattedre assegnate a persone con punteggi minori del suo. Da qui la classificazione come rinunciataria senza motivo.

La causa giudiziaria che ne è inevitabilmente seguita, si è conclusa favorevolmente, visto che il magistrato incaricato ha disposto – oltre al pagamento delle spese legali – il risarcimento da parte del Ministero dell’Istruzione e del Merito, con l’erogazione degli stipendi collegati alla cattedra in cui per un anno non aveva potuto insegnare, e i dodici punti persi.

L’errore dell’algoritmo

Nel testo della sentenza con chiarezza sono indicati i fatti che hanno portato alla decisione. In particolare, la donna aveva correttamente indicato le 150 sedi in cui avrebbe voluto svolgere il lavoro di professoressa, ma nel momento in cui l’algoritmo era arrivato alla posizione anteriore alla sua, pur con rinuncia del titolare il sistema invece di dare la cattedra a lei, aveva ricominciato dall’ultimo della graduatoria.

Un errore grossolano e inaspettato se pensiamo che si tratta di tecnologia del XXI secolo, ma tant’è. L’algoritmo ha così assegnato incarichi a chi non aveva l’effettivo diritto in virtù del punteggio e:

in violazione del principio meritocratico e del principio costituzionale del buon andamento della pubblica amministrazione“.

Queste le limpide parole usate nel testo del provvedimento del giudice del lavoro di Milano, il quale ha riconosciuto le ragioni di una lavoratrice del settore dell’istruzione, che peraltro si era imbattuta in un momento delicato dal lato economico. La donna infatti dovette nel frattempo sostenere il pagamento delle tasse universitarie per il corso di specializzazione in sostegno, trovandosi costretta a chiedere la disoccupazione.

La raccomandazione del sindacato

La vicenda in oggetto ha gettato dubbi sulla bontà delle procedure telematiche per ciò che riguarda l’assegnazione delle cattedre o incarichi e, proprio per questo, in Lombardia la Uil ha rimarcato che – alla bocciatura del sistema con algoritmo da parte del tribunale di Milano – dovrebbe conseguire il pieno ritorno alle nomine in presenza. Con quest’ultima espressione ci si riferisce ad una modalità di assegnazione dei posti di lavoro, in cui i candidati sono convocati fisicamente per scegliere e accettare incarichi disponibili. Ovviamente si tratta di una  procedura che può aver luogo soltanto dopo la redazione delle graduatorie in base a titoli e punteggi.

Negli ultimi anni, come dimostra anche il caso finito in tribunale, ha preso piede la procedura di assegnazione delle nomine in formato digitale, per semplificare il processo e ridurre gli spostamenti degli insegnanti. Ma nonostante il ricorso sempre più ampio ad una evoluta tecnologia, l’errore informatico resta una eventualità di non poco conto.

Quando l’intelligenza artificiale sbaglia

Non è di certo il primo caso nel mondo della scuola. Con una certa frequenza compaiono notizie di cronaca in cui si parla di rischi di cattedre vuote, caos graduatorie, algoritmi malfunzionanti e reclami. E anche l’anno scorso avevamo parlato di problemi in tema di supplenze. Tuttavia l’intelligenza artificiale non sbaglia soltanto in questo settore.

Qualche settimana fa ci eravamo occupati ad esempio del caso di Just Eat e dell’algoritmo utilizzato per valutare le prestazioni dei suoi rider, finito nel bersaglio dei sindacati toscani perché in grado di penalizzare – ingiustamente – i lavoratori dei servizi di delivery, facendo decrescere i loro guadagni e disponendone la sospensione con sanzioni orarie, in relazione alla loro velocità di consegna e alla loro performance.

Un algoritmo fortemente criticato perché, per come è stato progettato, non considera l’importanza delle pause per la salute del lavoratore, specialmente in situazioni di eventi meteo estremi. Anzi l’intelligenza artificiale utilizzata nell’algoritmo punisce gli operatori per “low performance”, se non sono in grado di raggiungere la meta nei tempi previsti. Il punto è che, come segnalato dalla Cgil, i calcoli sono sbagliati, con richieste impossibili e che non considerano la variabile del traffico o la topografia della città. Ecco perché nonostante il progresso tecnologico, talvolta il mondo del lavoro paga a caro prezzo le inefficienze delle macchine.